Col Rinascimento, fra le tante novità che via via andavano sorgendo nel vivere comunitario cominciarono a sorgere pure i dubbi sulla capacità delle parole, sulla materia dei libri, di essere in grado di rispecchiare la realtà. Si preferiva contrapporre le cose alle parole. Nel Romeo e Giulietta di Shakespeare si imbatta in "Cos'è un nome?".
Montaigne dichiarava di preferire le cose: "Via l'eloquenza che ci lascia desiderio di sé e non delle cose". Nelle controversie gli avversari si accusavano regolarmente l'un l'altro di usare parole senza sostanza. In un certo senso capitava allora come ai nostri giorni si accusano i politici di produrre chiacchiere piuttosto che fatti.
Per chiudere questo aspetto di vita e letteratura di allora possiamo sostenere che il linguaggio andava perdendo la presunta corrispondenza con la realtà, essendo esso "segno" che si andava dimostranddo via via sempre più convenzionale ed arbitrario. In questo scenario si sviluppò ovviamente lo scetticismo che andò a rafforzare il cristianesimo sulla fede piuttosto che sulla argomentazione e sulla ragione.
Fede quindi nelle promesse delle Scritture per i protestanti e nell'insegnamento della Chiesa per i cattolici. Montagne, filosofo ( 1533-1592), alla base dello scetticismo pone l'onestà e l'umiltà in presenza della Fede che "raffigura l'uomo nudo e vuoto, riconosce la sua debolezza naturale, atto a ricevere dall'alto una certa forza estranea, sfornito di scienza umana e tanto più adatto ad albergare in sé quella divina, mentre annulla il suo giudizio per fare più posto alla fede".
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