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sabato 4 gennaio 2025

Leggiamo il mondo, senza dover ricorrere al mappamondo.

La realtà è un unicum continuo

 Parlando con un già compagno della scuola media (da ragazzo a Contessa Entellina dopo la quinta elementare bisognava scegliere di frequentare la media a Bisacquino oppure accedere al seminario di Piana degli Albanesi) e rievocando l’elenco dei compagni di classe con cui avevamo seguito il corso triennale, quell’amico  col quale non mi incontravo da decenni, ebbe -più o meno- a dire: “ Caro Mimmo, ricordati che la vicenda umana scorre come le acque di un fiume dall’andamento lento oppure vorticoso e, seppure ci si imbatte nelle misteriose correnti, quelle vicende si confondono e quei singoli dettagli e particolari che sembrano insignificanti lasciano comunque impronte che seppure dimenticate, influiscono nel corso della vita”.  Così, più  o meno, si espresse quel compagno di banco.  

 Egli si riferiva a cattiverie, vere o presunte, da lui subite da altri compagni di classe di allora. 

  In relazione a quanto asserito ho pure io provato ad immaginare il corso della vita come un film con le sue sequenze, però non ho assolutamente immaginato di aderire alla conclusione del mio amico ed ex compagno di banco.

 Ogni immagine parcellare della vita non può e non deve essere inserita nell’intelaiatura, non deve far parte del montaggio perché così facendo la storia nostra e quella della società entro cui viviamo sarebbe un inferno.  Inserendo nel film della vita tutti i pezzi, tutti i frammenti, compresi quelli dei torti subiti, davvero saremmo fuori dal disegno della vita che non solo può, ma deve, essere finalizzata sul positivo.

  La realtà che frequentemente selezioniamo per la ricostruzione della nostra vita è falsata, discrasica, rispetto a quella realmente vissuta, e ciò  avviene per molte ragioni e fattori. Deformata. E nella deformazione influiscono più fattori che la sociologia moderna spiega. 

   Con l’ausilio di più impostazioni sociologiche proveremo sul blog a fare chiarezza  culturale sul perché dopo sessant’anni una persona può continuare a portare rancore. 

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