Dalla rivista Limes stralciamo alcuni testi
Con
l’apertura delle frontiere albanesi nel 1991 e, soprattutto, con il crollo
dello Stato agli inizi del 1997 e il riaprirsi della «questione albanese» in Macedonia e nel
Kosovo, si è nuovamente posto il problema dell’identità
nazionale albanese.
Se gli studi storici permettono di farsi un’idea dello
sviluppo del movimento nazionale albanese a partire dalla seconda metà del XIX
secolo, si sa ben poco circa le forme che l’identità nazionale ha oggi assunto
tra la popolazione.
Il movimento nazionale albanese, per la sua origine e
la sua storia, non può essere distinto dagli altri movimenti nazionali
balcanici.
Anziché postulare una specificità
albanese, sostenuta dai discorsi nazionalisti e implicitamente o esplicitamente
riaffermata in alcuni lavori storici, è preferibile partire dal quadro generale
dei nazionalismi balcanici fornito da Barbara Jelavich¹ quando scrive che le
nazioni balcaniche si fondano su tre elementi determinanti:
la lingua (che
delimita il gruppo chiamato a formare uno Stato),
l’associazione storica (che
determina il territorio che il gruppo deve occupare),
e la religione (che
oppone le nazioni cristiane all’impero ottomano, pur distinguendole tra loro).
La presenza della religione nel caso dell’Albania può sorprendere, dato che
l’assenza di unità confessionale è stata spesso prospettata per affermare che
la religione non rientra nella definizione dell’identità nazionale albanese; ma
ciò non deve impedirci di insistere sull’importanza del fattore religioso nel
ragionamento sull’identità.
In Albania, come in altri paesi balcanici, il
territorio sul quale la nazione può rivendicare un’esistenza politica è
definito mediante un’associazione storica tra la popolazione attuale e una
popolazione del passato, elevata al rango di antenato, o precursore.
L’impero bizantino per i greci, o quello dello
zar Dušan per i serbi, disegnano per le popolazioni attuali un paesaggio
nazionale che, sebbene non corrisponda all’estensione dello Stato (o proprio
perché non corrisponde ad esso), contribuisce a tener ferma la nozione di
patria, nozione alla quale il deficit di spazio è inerente. Poiché si
sovrappongono su uno stesso territorio rivendicazioni concorrenti, l’intento di
queste associazioni storiche è anche quello di affermare l’autoctonia della
nazione, cioè un diritto esclusivo e irriducibile a occupare un certo
territorio.
La storia albanese, contrariamente a quella greca o
serba, non è imperiale.
L’Albania, come
la Macedonia dal 1991, è anche uno degli Stati balcanici che non hanno avuto un
predecessore nel medioevo: la legittimità storica non può essere trovata in un
ambito statale. Per questa ragione, gli storici albanesi si sforzano, valorizzando
una storia fatta di resistenza e di rivolte contro gli invasori – vale a dire
contro i vicini che hanno una storia statale e imperiale – di costruire un
passato di Stato, in particolare attorno agli illirici, da una parte, e a
Giorgio Castriota, detto Skënderbe, o Skanderbeg, dall’altra.
(continua)
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