Il ruolo degli stratioti albanesi nel famoso caso di Sciacca
di Domenico Cuccia
Molti coloni albanesi delle prime comunità arbëreshe
siciliane erano di origine militare. Questa circostanza è riconosciuta dagli
storici siciliani che narrano degli avvenimenti dell’Isola tra la fine del 1400
e i primi cinquanta anni del 1500 (nota 1). Non sempre, comunque, vi sono prove evidenti
atte a dimostrare tali origini. In un caso, però, le vicende determinate dalla
presenza di mercenari albanesi in Sicilia sono ampiamente documentate e sono
descritte sia da storici siciliani che da storici arbëreshë. Mi riferisco al
famoso caso di Sciacca che nell’anno 1529 vide contrapposti due nobili, il
conte Sigismondo Luna e il barone Giacomo Perollo, in competizione tra di loro
per la supremazia sulla città di Sciacca. La vicenda si concluse con la
vittoria del conte Luna che, novello Achille, legò ad un cavallo il corpo
straziato del barone Perollo e lo fece trascinare per le strade della città di
Sciacca. Dopo fu costretto a lasciare Sciacca e a rifugiarsi a Roma, dove
sperava di ottenere la protezione del Papa Clemente VII, suo zio. Il Pontefice
chiese all’imperatore Carlo V clemenza per suo nipote, ma l’imperatore,
sdegnato per il comportamento del conte Luna, gliela negò. Il conte, pertanto,
per sottrarsi alla condanna capitale comminata contro di lui dall’Imperatore o
a una vita da esule fuggiasco, morì suicida, lanciandosi nel Tevere.
Ma tornando alla contrapposizione tra i due nobili saccensi,
un ruolo determinante per la vittoria del conte Luna fu data dagli 80 cavalieri
albanesi, provenienti dalla colonia di Palazzo Adriano, comandati da Giorgio
Camizzi di Palazzo, “il Georgius Comes Albanesis, nequissimus vir delle
cronache siciliane”. La vicenda è descritta, da parte arbëreshe, da Gabriele
Dara in un articolo pubblicato nel Fjàmuri del DE RADA (an.I, n.7, 30 aprile 1884).
Gli stessi fatti sono descritti anche da Giuseppe Schirò, a pag. 245 del volume
VIII, Saggi (nota 2). Secondo tali narrazioni il Camizzi affrontò le truppe
inviate dal Viceré in soccorso del barone Perollo e sfidò a duello il barone
Statella che ne era il duce. Quindi, dopo averlo ucciso, tornò indietro tra le schiere
realiste che rimasero attonite e non ebbero animo di recargli alcuna offesa.Il testo richiamato alla nota 6
Della stessa e di altre vicende riguardanti gli stratioti albanesi
si occuparono pure gli storici siciliani che hanno narrato i fatti del caso di
Sciacca. Si cita in particolare il testo “Il Famoso Caso di Sciacca”, di
Francesco Savasta, Palermo 1843 (nota 3); “Il Compendio del caso di Sciacca di
Renda Ragusa”, scritto in latino, (nota n. 4); “La Sicilia sotto Carlo V.
Imperatore” di Isidoro La Lumia (nota n. 5).
I giudizi che gli storici siciliani danno nei confronti dei
cavalieri albanesi non sono molto lusinghieri. Nel testo del Savasta, pag. 211,
parlando delle truppe del Conte Sigismondo Luna, si afferma: “Vennero pure a
servirlo truppe di soldati facinorosi, stipendiati a sue spese, come molti
greci di pessima vita, sotto la condotta di Giorgio Comitivo Greco, uomo di
assai scellerati costumi, e che si metteva in ogni pericolo: tutti questi
insieme formarono il numero di 400 pedoni e di 300 cavalli.” E ancora, il
Savasta riferisce che, tra le condizioni poste dal barone Statella al Luna, per
il perdono del Viceré, vi era la consegna del capo dei greco-albanesi Giorgio
Comito. Sempre nella pagina 292 del Savasta si parla del ruolo dei “greci”
nella presa del castello del barone Perollo e nella pagina 293 viene descritta la
crudeltà dei soldati “greci”. Nel testo di Renda Ragusa, che era un sacerdote
gesuita, a pag. 10 si parla così delle truppe del conte Luna: “Tra questi
ultimi primeggiava un certo Giorgio Comito, uomo scelleratissimo dei Greci
Albanesi dimoranti in Sicilia, conduttore di soldati”. Sempre lo stesso autore
parla di un certo Erasmo Lorìa che, “con una masnada di greci”, ritrova il
barone Perollo che si era nascosto per sfuggire alla furia assassina del conte
Luna e dei suoi uomini. Il La Lumia, che si dilunga, in nota, in una
descrizione sull’origine delle colonie albanesi di Sicilia, così si esprime:
“veniva agli stipendi del Conte un Giorgio Comito, arrisicatissimo masnadiere,
con una banda di Greci-Albanesi tolti alle colonie di fresco stabilite nell’isola;
e colle fogge, colla lingua, colle armi e colle usanze natie questi figli dei
commilitoni del famoso Castriotta recavano la originaria ferocia, ch’era
bastata a rintuzzar tanto tempo la potenza invaditrice dei Turchi. “
Sia le fonti siciliane che quelle arbëreshe mettono in
risalto il ruolo fondamentale avuto dai mercenari albanesi nella vittoria del
conte Luna. Le fonti non sono concordi sul numero preciso di soldati albanesi
che hanno partecipato alla guerra tra le due grandi case nobiliari saccensi. Quelle
arbëreshe (Dara, Schirò) parlano di 80 cavalieri provenienti dalla colonia di
Palazzo Adriano; le fonti siciliane parlano di 300 cavalieri e 400 fanti al
servizio del conte Luna, includendo, però, anche le truppe provenienti da altri
territori siciliani, quali, ad esempio quelli di Bivona. La presenza di
numerosi mercenari di origine albanese provenienti dalla colonia di Palazzo
Adriano, dimostra, comunque, che anche successivamente alla fondazione delle
colonie (nota n.6), molti albanesi non avevano abbandonato le antiche abitudini
di intervenire nelle guerre come stratioti che combattevano, dietro compenso,
al servizio di una causa e di un Signore.
I cronisti e gli storici siciliani, come abbiamo visto,
attribuivano a questi soldati albanesi terribili epiteti, che dimostrano la
concezione negativa che avevano nei confronti degli stessi. Il capo degli
stratioti albanesi, Giorgio Camizzi di Palazzo, come abbiamo detto, veniva
definito Georgius Comes albanesis, nequissimus vir. Il più notò degli
storici che hanno raccontato i fatti, Isidoro La Lumia, mette poi in
correlazione l’abilità guerriera e la crudeltà dei mercenari che hanno
combattuto per il conte Luna, con gli albanesi che, sotto la guida di Giorgio
Castriota Skanderbeg, combattevano contro i turchi.
Dalle cronache siciliane che hanno descritto il caso Sciacca emerge,
quindi, l’ostilità che i siciliani avevano nei confronti degli albanesi, di cui
è un esempio il famoso detto “Si viri un grecu e un lupu spara a lu grecu e
lassa lu lupu”. Traducendo in italiano “Se vedi un greco e un lupo spara
al greco e lascia stare il lupo” (nota n.7). Il detto è molto significativo
perché nella realtà contadina del 1500, il lupo costituiva il maggiore pericolo
che si poteva incontrare nelle campagne siciliane.
Con il passare degli anni gli arbëreshë si sono, comunque,
completamente integrati, mantenendo, però, vivi alcuni valori propri della loro
identità e dalla loro storia. E proprio dalla comunità palazzese proviene una
delle figure più importanti che gli arbëreshë hanno espresso in Italia, quella
di Francesco Crispi, patriota e artefice dell’Unità d’Italia, più volte
Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d’Italia.
Nota 1. Secondo lo storico Tommaso Fazzello (De Rebus
Siculis, Dec 1, lib. X ed. 1558 pag. 233) la colonia albanese di Contessa è
stata fondata da soldati albanesi residenti prima nel casale di Bisiri, presso
Mazara del Vallo. Non è certo l’anno preciso della fondazione che alcuni
indicano nel 1450.
Nota 2. Giuseppe Schirò “Opere, volume VIII Saggi”, a cura di
Matteo Mandalà pag. 245, pubblicato da Rubbettino Editore, anno 1997.
Nota 3. Francesco Savasta “Il Famoso Caso di Sciacca”, Sigma
edizioni, Palermo 2000, Ristampa anastatica dell’edizione di Palermo del 1843.
Nota 4. Girolamo Renda-Ragusa “Compendio del Famoso caso di
Sciacca”, tradotto dal latino dal sacerdote G. Di Marzo-Ferro.
Nota 5. Isidoro La Lumia “La Sicilia sotto Carlo V.
Imperatore”, pubblicato nell’anno 1862 a Palermo presso I Fratelli Pedone
Lauriel. pagine 225,229.
Nota 6. I capitoli di Palazzo Adriano sono stati stipulati
nell’anno 1482. Vedasi il volume “I Capitoli delle Colonie Greco Albanesi di
Sicilia” raccolti e pubblicati da Giuseppe La Mantia nel 1904. II edizione, con
prefazione di Ignazio Parrino, pubblicata nell’anno 2000 dalla Tipografia
Cortimiglia Corleone.
Nota 7. Alcuni sostengono che il detto non sia nato contro
gli arbëreshë (comunemente definiti dai siciliani, cattolici di rito latino, greci), ma contro i bizantini che dal 551 d.c.
sino alla conquista araba, completata nel 963 d.c., avevano dominato la
Sicilia. Ad avviso di chi scrive, però, nel periodo bizantino non c’erano
ancora armi da fuoco che, invece, erano presenti alla fine del 1400 e nel 1500,
quando gli arbëreshë si stabilirono in Sicilia, quindi anche se il detto fu
forgiato contro i bizantini, sicuramente è stato poi riferito agli albanesi
venuti in Sicilia.
Avv. Domenico Cuccia
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