StatCounter

sabato 25 febbraio 2023

Anziani e Società. Si può invecchiare bene, purché in "inclusione sociale"

Gli anziani e la solitudine

Nelle società avanzate (dell'Occidente) è in corso, da alcuni decenni una accentuata trasformazione sociale entro cui però taluni studiosi colgono un virus. Si tratterebbe dell’epidemia di solitudine che la rivista Economist ha definito «la lebbra del ventunesimo secolo», che non  sarebbe annidato nell'invecchiamento, ma -appunto- nella solitudine.

Il problema, 
stralcio da una relazione

«Studi condotti in varie parti del mondo, ma soprattutto negli Usa e nel Regno Unito, hanno dimostrato che potrebbe soffrire di solitudine fino al 50 per cento della popolazione» ha dichiarato Diego de Leo, psichiatra, presidente della quinta Giornata Nazionale AIP contro la solitudine dell’anziano, tenutasi a Padova al Centro Culturale Altinate San Gaetano.

 «Sono soli bambini e ragazzi, sole sono anche le giovani madri, le persone divorziate, gli anziani, le persone che fanno loro assistenza e le persone in lutto. In effetti, paesi come la Norvegia, la Danimarca e la Finlandia avevano da qualche tempo segnalato la gravità e lo spessore del problema solitudine. Uno studio promosso dalla Fondation de France ha evidenziato come siano diversi milioni i francesi che si dichiarano soli e che soffrono in conseguenza di tale condizione. 

 Per non parlare del Giappone, dove il problema della solitudine ha raggiunto dimensioni drammatiche ed è sfociato anche in rappresentazioni crudeli del vivere da soli, come il fenomeno del kodokushi, il morire in modo completamente solitario e spesso ignoto agli altri».


In Italia  già nel 2018 l’Istat aveva segnalato l’esistenza di un grave problema di solitudine, soprattutto tra gli anziani. «Circa il 30 per cento delle persone con più di 75 anni di età dichiara di non avere nessuna persona a cui riferirsi in caso di bisogno, e solo l’undici per cento degli anziani intervistati dichiara di ritenere di poter contare, in caso di bisogno, sul sostegno di un vicino di casa. È una situazione preoccupante, visto che l’Italia figura tra le nazioni a sbilanciamento demografico più marcato, con una quota di ultrasessantacinquenni che già sfiora il 25 per cento della popolazione totale. E secondo le stime dell’Ocse, l’Italia diventerà entro il 2050 il terzo paese più anziano del pianeta, rispettivamente dopo Giappone e Spagna».

Dopo i 75 anni

Nei Paesi ad alto reddito, le persone di età compresa tra i 65 e i 74 anni sono generalmente in buona salute e continuano a beneficiare, come nelle età più giovani, di livelli soddisfacenti di inclusione sociale e disponibilità di risorse.
Sono le persone di età superiore ai 75 anni, invece, che iniziano spesso a mostrare segni di decadimento fisico o mentale e che quindi rischiano di varcare la soglia della dipendenza dagli altri. La Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (Sigg) ha suggerito di spostare formalmente a 75 anni l’inizio della vecchiaia «ufficiale», in un’ottica più consona al tempo attuale. «L’idea di far parte di un gruppo demografico caratterizzato da persone considerate ancora funzionalmente attive, dinamiche e piene di risorse, non può che tradursi in un migliore senso di accettazione» dice ancora De Leo. «E quindi nella possibilità di generare migliori condizioni di salute».

Nessun commento:

Posta un commento