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venerdì 24 febbraio 2023

Innalzare l'età dell'anzianità? -//- La Scienza: «Sì, ma l’importante è mantenere le relazioni»

 La recente ricorrenza del 105° compleanno di Frances LoJacono, a Contessa Entellina, ha spontaneamente -sul web- coinvolto parecchie persone, in stragrandissima parte gente emigrata e/o figli di gente emigrata dal luogo, per  far sentire il compiacimento e la vicinanza alla festeggiata e ai familiari, ma anche all'intera comunità locale di Contessa E.

 Effettivamente l'evento, quello di superare il centesimo anno di vita, spontaneamente spinge l'animo di chiunque a compiacersi nei confronti di chi è stata conosciuta, sia pure cinquanta o settanta anni prima, o addirittura di chi -lontanissima da Contessa E.-, è nata all'estero e ha avuto trasmesso dai genitori l'attaccamento ed il ricordo nei confronti della terra degli avi. 

 Questa ci è sembrata essere la situazione dei tanti che si sono compiaciuti ed hanno inviato auguri a Frances, pur vivendo nel Sud-America o in Australia o nel Nord Europa. E su questa realtà dell'anzianità, aiutandoci con libri, riviste, giornali ed esperienza anche altrui, ci piace  riflettere sul blog per i prossimi giorni ancora.

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Diventare vecchi. 

 Cosa significa diventare vecchi? (piuttosto che anziani?).  Chi è abilitato a indicare lo spartiacque e a stabilire che prima si è adulti e il giorno dopo si appartiene alla terza (o quarta) età?

  Ho letto che la Società italiana di gerontologia e geriatria ha invitato ad alzare la soglia ufficiale della vecchiaia a 75 anni. La situazione corrente ai nostri giorni fissa l'inizio della vecchiaia a 65 anni, e pare che il politico europeo che l'abbia fissata per la prima volta sia stato il cancelliere tedesco Otto von Bismarck, quasi due secoli fa.  Quelli erano altri tempi, altra società, altre aspettative. 

  Il tema di alzare l’età in cui ci si dovrebbe considerare vecchi è stato rilanciato dall’Aip (Associazione italiana di psicogeriatria) fissandola a dopo i 75 anni, quando iniziano a manifestarsi i primi segnali di decadimento fisico e mentale. La motivazione a sfondo psicologica è che «L’idea di far parte di un gruppo demografico caratterizzato da persone considerate ancora funzionalmente attive, dinamiche e piene di risorse non può che tradursi in un migliore senso di accettazione. E quindi nella possibilità di generare migliori condizioni di salute».

  Pare che dall'inizio del '900 l’aspettativa di vita sia aumentata di 20 anni e l’Istat stima che nel 2050 potranno esserci in Italia 160 mila centenari. Sempre l'Istat distingue ormai tra «giovani anziani» (tra 64 e 74 anni), anziani (75-84) e «grandi vecchi».

  Tutti effettivamente ci accorgiamo che si vive di più, ma il problema è, come?. «La mancanza della famiglia e della comunità sono fattori di invecchiamento, la solitudine è la peggior nemica dell’anziano — sostiene il professor Marco Trabucchi, presidente dell’Aip —. Chi è solo è soggetto maggiormente a malattie cardiovascolari, endocrine, cerebrali». 

  Il professor Trabucchi -fresco di pochi giorni nell'aver incontrato Biden in Ucraina- dice «Ha 80 anni, ha rischiato le bombe, ha fatto un discorso di grande forza, ha ritrovato energie che non avrebbe avuto in altre circostanze. Di fronte a questo esempio, non ha senso parlare di età, esiste invece la scelta della donna e dell’uomo di rispondere alle esigenze della vita in modo adeguato», tutti dovremmo impegnarci «ad accompagnare chi è in età avanzata, adeguando gli interventi. È importante anche la visita periodica di un parente o di un amico». 

 Per chiudere questa pagina: a 75 anni non si è «vecchi». Purché gli stessi anziani, e chi li circonda, decidano che non sia così.

(Segue) 

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