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| Nel XXI secolo, nel tempo dell’iper connessione, della globalizzazione, della condivisione continua, riflettere sulla fruizione della cultura significa voler cogliere ogni spicchio evolutivo che va sviluppandosi in seno alla società, alla comunità, fino -forse esagerando- a voler rispecchiare le caratteristiche comunitarie. Al fare cultura intendiamo dare il significato di dare voce al cambiamento; che e’ cosa diversa dalla stagnazione. Ovviamente fare cultura è pure il preservare il patrimonio ricevuto dalle generazioni che ci hanno preceduto, amando nel contempo i nuovi traguardi che giornalmente si intravedono. |
A chi chiede e si chiede perché sul Blog abbiamo dedicato tanto tempo, tanti anni del nostro tempo, diciamo che lo facciamo perché crediamo che pure per questa via possiamo cambiare il mondo, ed ancora perché crediamo che nella condivisione della conoscenza si sviluppa fiducia, amore, bellezza, passione.
Perché ad Entella tutto langue?
La trasmissione culturale è merito dei Fenici che già nel VI secolo a.C. usavano la “scrittura” e l’avevano trasmessa ai Greci. Furono questi che dalla cultura orale avviarono quella che ancora ai nostri giorni resta la cultura scritta. Fu con i greci che inizia la poesia epica e lirica, fra processi ora di continuità e innovazioni.
E’ ovvio che il passaggio dalla cultura orale a quella scritta portò alla costante “verifica”, all’ “adattamento continuo” e ovviamente allo “sviluppo di nuove concezioni”, e allo spuntare di “nuove teorie sul vivere”. Tutto ciò che prima discendeva dalla cultura orale, prevalentemente in forma di poesia, con l’introduzione della scrittura comincia a diventare irrilevante. Gli uomini di pensiero cominciarono ad abbandonare la poesia e avviarono la “cultura scritta” e sopratutto la “lettura silenziosa e riflessiva”. I Greci non tardarono ad adottare l’alfabeto fenicio e fu grazie a questa innovazione che oggi noi riusciamo a disporre dei testi poetici dei primi albori di civiltà. E’ scontato che il mutamento non va immaginato in un periodo breve o improvviso. L’oralità epica dei cantori e la poesia didascalica non scomparvero, sono arrivate fino ai nostri giorni (si fa per dire), se e’ vero, come e’ infatti vero, che chi scrive ha memoria di quando era ragazzino di cinque/sei anni di un personaggio influente nella società ancora prettamente contadina degli anni cinquanta/sessanta, pre-terremoto ‘68 locale, di Contessa Entellina: il nonno del già sindaco Piero Cuccia (Pitrinu Strolaco), padrino di cresima di mio padre, questi sapeva recitare a memoria versi di opere letterarie di autori cinquecenteschi che duravano anche dieci o quindici minuti. Opere apprese non a scuola, ma da precedenti antenati o maestri familiari. Nelle case contadine, quando ancora non esisteva né la corrente elettrica, né conseguentemente la tv, le famiglie trascorrevano le serate, invernali e no, ascoltando queste recite di opere letterarie apprese non dai libri, ma oralmente.
(Segue ancora il fine che ci siamo proposto con questa pagina)

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