Ovviamente in quel periodo il tessuto sociale di Contessa E. era caratterizzato quasi in assoluto dall’agricoltura e da un processo migratorio ormai secolare e addirittura ultra-secolare, fortemente acceleratosi nel post terremoto ‘68. Esisteva comunque in quegli anni immediatamente successivi al sisma ‘68 ancora una significativa diversificazione di attività extra-agricole con una estrema varietà di mestieri commerciali ed artigianali, taluni svolti in condizione di estrema povertà.
Nei pressi della piazza di Contessa E. insistevano almeno sei o forse più saloni di barbiere, alcuni con più operatori fra loro legati da vincoli familiari e alcuni di essi operavano direttamente all’interno della casa di abitazione, nella stanza da pranzo o comunque nell’unico vano abitativo disponibile e poi, nel post-terremoto, nell’ambito della baraccopoli. C’erano gli storici bar della zia Ciccina Manale, di don Ciccio Schiro’ che disponeva pure di una sala bigliardo e che, nell’ante-sisma ‘68, la sera era divenuta sala per assistere ai programmi televisivi Rai. Altro bar prossimo alla piazza era quello della famiglia Dai’, situato all’inizio della via Musacchia.
Dopo questa preliminare pagina di ricordi, in buona parte provenienti dai primi anni sessanta, ci proponiamo di riportare e rievocare il tessuto socio umano dei primi anni settanta, quando l’emigrazione fu il modo prevalente di sostentamento della vita nella stragrande maggioranza delle famiglie contessiate. Emigrazione questa volta non più per gli USA, ma in Germania, Svizzera, Australia e Gran Bretagna.
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