“Senza vedere la Sicilia non si può capire l'Italia. La Sicilia è la chiave di tutto.”
“Incredibile è l'Italia: e bisogna andare in Sicilia per constatare quanto è incredibile l'Italia.”
Johann Wolfgang Goethe
Periodicamente torniamo a ricordare, a celebrare in una maniera tutta nostra (intendiamo del Blog), i secoli bui attraversati dalla nostra comunità contessiota dal XV secolo all'Unità d'Italia e poi, da allora, quelli non certamente spendidi e civili fino ai nostri giorni. Oggi non esiste politico dai municipi siciliani al Parlamento nazionale, passando per l'Ars che si accorga del deflusso della popolazione o della irregolare e strana condizione di vita nell'Isola priva di strade decenti, carente di senso civico, ma ricca di gangli ed assetti clientelari esasperati. Tutto in effetti sfugge nel 2020 ai nostri eletti. Ciò avviene ai nostri giorni, giorni che vedono i qualunquisti (o come li si definisce: i populisti) che siedono nelle Aule legislative, che legiferano e subito dopo, sapendo che sono stati loro a volere un certo taglio normativo, gridano contro chi nel rispetto delle loro leggi ha ottenuto benefici che forse -con norme diverse- non avrebbero meritato.
Questo tipo di ipocrisia in Sicilia la conosciamo da sempre.
Vediamola lungo i frammenti di storia che di tanto in tanto proviamo, a modo tutto nostro, ad esplorare.
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E' ovvio che ogni vicenda va collocata nel tempo in cui si è dispiegata. Tuttavia la Storia siciliana al di là delle enfasi sui monumenti normanno-bizantini, ben poco lascia di entusiasmante se la si legge specialmente con gli occhi ed i parametri del XXI secolo.
Noi ci proponiamo su questa pagina di capire l'assetto istituzionale esistente nel nostro piccolo paese sul finire del Settecento, quando il regno dei Borboni si adoperò parecchio per provare a tagliare le unghia ai Baroni (con Caracciolo sopratutti e non solo con lui), veri Signori di governo entro i confini delle loro rispettive baronie. Questi legiferavano, governavano, esercitavano giustizia e imponevano tributi anche non consonanti alle norme regie; lo facevano avvalendosi, nell'ambito amministrativo/civico, di quello che era definito il ceto dei civili, che -in loco, quindi pure a Contessa- costituiva e rappresentava la Signoria dei Colonna.
Ci proponiamo di capire chi fossero, come esercitavano il Potere e dove risiedevano.
Premettiamo che la Baronia locale, per il gravissimo indebitamento del tutto privato che la famiglia Colonna aveva accumulato, fu in un certo senso per lungo tempo "commissariata", usando termini dei giorni recenti.
Ci proponiamo ancora di capire come localmente, a Contessa, si configurava e veniva esercitato il Potere e chi per conto dei Colonna assenteisti quel potere lo rappresentava e lo esercitava.
In seguito proveremo ad esplorare le condizioni di vita degli arbereshe ed il loro rapporto col Potere, agli albori della rivoluzione francese, prima che i Borboni concedessero la loro prima Costituzione liberale.
Vogliamo evidenziare come dal cinquecento alla fine del Settecento nulla nel sistema feudale di base e nelle condizione di vita locale fosse sostanzialmente cambiato.
Introduzione generale:
aristocrazia
Il periodo che ci siamo proposti di scandagliare vedeva i nobili, i Colonna, coperti di debiti e gran parte del loro reddito era assorbito dal pagamento delle ipoteche. Molti altri individui ed istituzioni traevano in quel contesto i mezzi di sussistenza dagli interessi sui prestiti e sulle ipoteche.
L’orgoglio di famiglia era ancora uno degli stimoli più potenti. Le figlie e i figli cadetti dell'aristocrazia venivano comunemente fatti entrare in conventi e monasteri si che le proprietà della famiglia rimanessero in mano a uno solo; la vita ecclesiastica aveva i suoi privilegi e in quel contesto non significava una perdita di rango.
Anche i non nobili cercavano di copiare questa moda e a loro volta istituivano dei fidecommessi e facevano entrare i figli più giovani nella Chiesa. L’unica alternativa a mettere una figlia in convento era darle una dote, poichè senza essa nessuna ragazza aveva probabilità di trovare marito. La prodigalità era socialmente inevitabile una volta che l’aristocrazia si era trasferita a Palermo e/o a Roma, le proprietà dovevano essere trascurate, si doveva spendere in prodotti di lusso per il consumo privato piuttosto che in strade che avrebbero potuto dimezzare i costi agricoli e rendere nuovamente lucrative le esportazioni.
Scrive Rossella Cancilla, dell'Università di Palermo, che il diritto di amministrare, la giustizia sui propri vassalli era,
in termini politici e sociali, il privilegio più rilevante
di cui godevano i baroni siciliani e che derivava
loro dalla concessione del mero e misto imperio: il misto imperio
corrispondeva alla bassa giustizia, «cioè al diritto di comminare
lievi pene corporali infra relegazione e pena pecuniaria fino ad onze
quattro», poi sette; mentre il mero imperio consisteva nella potestà di infligere ai facinorosos morte, exilio et
relegatione.
L’esercizio della giurisdizione civile e criminale consentiva
al baronre, o meglio ai funzionari che egli sceglieva un forte controllo sul territorio e sulla popolazione.
Il potere
pubblico baronale, pur operando, con riferimento al territorio, all’accertamento di illeciti, all’applicazione di
sanzioni, alla composizione di conflitti, concretamente interveniva nella realtà complessiva (che oggi definiremmo privata) non esistendo garanzie a tutela dell'indiziato.
Era quello un contesto istituzionaler entro cui il governo del territorio era esercitato con
strumenti giurisdizionali da una autorità che era contemporaneamente giudice e
amministratore e spesso legislatore sia pure improprio.
(Segue)
Una prima introduzione alla tematica locale può essere letta qui: https://www.blogger.com/blog/post/edit/6763167267352133705/1795050984580679674
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