Cosa c'era prima che arrivassero
gli arbëreshë ?
Ogni qual volta ci impegniamo nella ricerca, intesa sia come esplorazione del territorio che come lettura di documenti ed elaborati storici su Contessa Entellina, spuntano sempre gli interrogativi se prima che arrivassero gli arbëreshe c'erano stati o meno altri nuclei o comunità umane ad avere fissato la loro residenza -più o meno stabile- quivi, in queste contrade dell'attuale territorio contessioto.
Fermo restando che il piccolo e poco valorizzato museo locale sta lì a ricordarci che sin dalla lontana emersione della civiltà o verosimilmente dal basso neolitico in poi sino all'alto Medio Evo sul terrazzo fluviale di Entella è esistita una comunità, che in precisi periodi storici ha assunto persino l'appellativo di città, è ovvio che tutto il territorio della Sicilia è da sempre -più o meno intensamente- stato abitato dall'uomo.
Sin dalla distruzione di Entella (l'Entella saracena, distrutta dagli uomini di Federico II nel 1248) e per i due secoli successivi è continuata la presenza umana, sia pure rarefatta, in tutte le zone interne dell'isola e pure sull'attuale territorio di Contessa Entellina. Rarefatta perchè via via, già dal 1300, era iniziato l'abbandono dei casali a beneficio delle Terre (=paesi agricoli muniti di mura e di presidi sia civili che militari). Terre erano, prossime all'attuale territorio di Contessa, Giuliana, Chiusa Sclafani, Bisacquino, Corleone, Sambuca.
Cosa erano i casali ?
Da sempre le aree interne della Sicilia hanno avuto la vocazione agricola. L'isola -leggiamo ovunque- fu non per nulla il granaio di Roma. Con la cacciata degli arabi a metà del XIII secolo, prima i Normanni e poi gli Svevi, gli Angioini e gli Aragonesi svilupparono e ramificarono nell'isola quel sistema socio-economico che i libri ci hanno insegnato a definre "feudalesimo", organizzazione sociale con la quale in tutta Europa si colmava l'assenza di un potere centrale capace di governare vasti territori perchè talvolta geograficamente lontano e talvolta perchè mancava la forza sufficiente ad imporsi sulle signorie locali.
Il regno normanno di Sicilia istituì il sistema baronale, che si protrarrà fino al Settecento, assegnando ai personaggi più prossimi e fedeli agli Altavilla il governo di vasti, vastissimi territori dell'isola se solo si pensa che all'arrivo degli arbereshe i domini Peralta-Cardona andavano da Salemia a Caltanissetta quasi senza interruzioni. Quello baronale era un sistema che si sostanziava nell'esercizio dei tipici poteri che oggi definiremmo statuali (forza pubblica, autorità civile e amministrativa, giustizia civile e penale, imposizione fiscale e in certi frangenti storici possibilità di battere moneta, etc.).
Ai baroni oltre che fare riferimento gli uomini preposti ai poteri pubblici locali (amministrazione, ordine pubblico e giustizia) competeva la gestione dei patrimoni terrieri, quelli destinati all'agricoltura.
Era completamente assente -nel regime feudale- la proprietà privata, se non per eccezionalissime situazioni di benevolenza nei confronti dei "clienti" che erano completamente asserviti al potere baronale.
Era completamente assente -nel regime feudale- la proprietà privata, se non per eccezionalissime situazioni di benevolenza nei confronti dei "clienti" che erano completamente asserviti al potere baronale.
I baroni per coltivare la campagna siciliana non trovarono altra soluzione che schiavizzare le popolazioni saracene sottomesse durante l'epopea degli Altavilla. Nell'isola i saraceni durante il loro dominio avevano -a loro volta- schiavizzato gran parte della popolazione indigena di religione cristiana, prevalentemente cristiano-bizantina. Nell'isola -va ricordato- anche durante il dominio romano la popolazione locale parlava il greco.
Nei casali, fino al 1300, ossia 150 anni prima dell'arrivo degli arbëreshe, vivevano piccoli gruppi di lavoratori mussulmani, mai superiori a 15/18, persone schiavizzate dedite alla coltivazione dei campi per conto della baronia. Non si trattava quindi di "paesi" e nemmeno di villaggi.
I casali erano, usando il linguaggio dei nostri giorni, delle fattorie agricole ove in condizioni vicine alla disumanità della schiavitu' e dentro capanne articolate in tre/quattro unità abitative, costitute da ambienti rettangolari, disposti attorno ad un cortile centrale (tipico della tradizione islamica) vivevano appunto degli schiavi. Gli ambienti erano realizzati con materiali deperibili (mattoni crudi) impastati con paglia e argilla.
I casali erano, usando il linguaggio dei nostri giorni, delle fattorie agricole ove in condizioni vicine alla disumanità della schiavitu' e dentro capanne articolate in tre/quattro unità abitative, costitute da ambienti rettangolari, disposti attorno ad un cortile centrale (tipico della tradizione islamica) vivevano appunto degli schiavi. Gli ambienti erano realizzati con materiali deperibili (mattoni crudi) impastati con paglia e argilla.
Gli storici assicurano che già nei primi decenni del 1300 i "casali" erano stati abbandonati per l'assoluta insicurezza che regnava nelle campagne dell'isola.
La gente "libera", non schiavizzata, già dal XIV secolo viveva percio' nelle "Terre", ossia in quelle realtà umane abitate da oltre ottanta famiglie e protette -ai fini della sicurezza- da una cinta muraria.
Nelle Terre, avremo modo di conoscerle meglio, vigevano come sopra ricordato gli apparati burocratici, gestionali ed ecclesiastici, tutti facenti capo e sostenuti dalla baronia del luogo.
Nelle Terre, avremo modo di conoscerle meglio, vigevano come sopra ricordato gli apparati burocratici, gestionali ed ecclesiastici, tutti facenti capo e sostenuti dalla baronia del luogo.
Di casali, sull'attuale circoscrizione territoriale di Contessa Entellina l'uno distanziato dall'altro e asserviti a finalità agricole, ne esistitettero una decina (almeno quelli rilevabili con i criteri della ricerca storica) fino a poco prima del 1300.
Da quando la popolazione già schiavizzata si era trasferita nelle "Terre" vicine, da Sambuca a Bisacquino e Corleone, per sottrarsi alle scorrerie banditesche e allo status giuridico di schiavi, tutti i casali erano rimasti abbandonati.
Da quando la popolazione già schiavizzata si era trasferita nelle "Terre" vicine, da Sambuca a Bisacquino e Corleone, per sottrarsi alle scorrerie banditesche e allo status giuridico di schiavi, tutti i casali erano rimasti abbandonati.
Sicuramente l'essenziale presenza umana era rimasta invece nell'area Castello Calatamauro-Scirotta-Bagnitelle. Lì insisteva fino al 1500 inoltrato un presidio militare baronale e forse pure regio, nonchè un centro, diremmo oggi, amministrativo dei feudi dei Cardona-Peralta. Li stavano due o tre mulini allineati uno dopo l'altro, con annesso fondaco e stazione cambio di cavalli per i corrieri regi e baronali che transitavano lungo il percorso segnato dalla regia-trazzera Palermo-Sciacca, larga allora a circa 36 metri.
Da lì partivano file con decine e decine di muli carichi con sacchi di grano, in direzione del porto di Sciacca, destinati all'esportazione verso altri porti mediterranei, spagnoli, francesi e del nord Italia; esportazione essenziale per il finanziamento dei componenti la famiglia Peralta-Cardona.
(Forse un giorno riusciremo a documentare su un volumetto quanto qui abbiamo semplicemente sintetizzato).
(Forse un giorno riusciremo a documentare su un volumetto quanto qui abbiamo semplicemente sintetizzato).
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