INTRODUZIONE di Cataldo Naro
Arcivescovo di Monreale e Abate di Santa Maria del Bosco
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Costruzioni quali l'abbazia di Santa Maria del Bosco sono nate dalla fede e per la fede. Dalla fede, cioè da una consapevolezza credente, da un desiderio di dare lode a Dio con l'intera propria vita e attraverso l'habitat stesso della propria esistenza: la casa in cui si vive con tutti i suoi ambienti: lo spazio per la preghiera ed anche quello per cucinare e per mangiare ed ancora quello per dormire e non escludendo quelli del lavoro e del riposo durante la fatica del giorno. La casa ma anche l'ambiente circostante: la campagna, il bosco, i monti, l'intero paesaggio. Il monsaco dedica l'intera sua esistenza a Dio e vive questa sua tensione religiosa, il dono a Dio di tutto se stesso, assieme a tutti gli altri monaci che vivono sotto la medesima regola e sotto il medesimo abate nella medesima casa. La casa non è divisibile dall'uomo che la costruisce e la abita, dice il suo intento, esprime la sua visione del mondo, manifesta il suo progetto di vita. La bellezza della casa dice l'interiorità di chi la costruisce. L'ormai abbandonata e silenziosa Santa Maria del Bosco dice ancora, nella precisa divisione dei suoi grandi spazi -la chiesa semidiruta, i due bellissimi chiostri, l'imponente dormitorio e le ampie celle- l'ardente desiderio di Dio che portò sul posto i primi monaci e li spinse a costruire la loro magnifica abbazia. E' un luogo di bellezza. Ed è stata anche un centro di spiritualità cristiana. Nata dalla fede, essa fu pensata anche per la fede, cioè per esprimerla e per incrementarla. Non pensarono solo a se stessi, quei primi monaci. Pensarono per le generazioni di monaci che avrebbero fatto la loro medesima scelta di vita. Pensarono per quanti sarebbero venuti, lungo i secoli, sulle loro tracce, a cercare l'unione con Dio tra le sue mura. Avevano la certezza che tanti altri li avrebbero seguiti, in quella stessa grande casa, nella ricerca di Dio.
(Segue)
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