«Che cos’era dunque la vita?
Era calore, prodotto calorifico di una inconsistenza
che riceveva forma, febbre della materia di cui era
accompagnato il processo di continua decomposizione e
ricomposizione delle molecole d’albumina, di costituzione
complicata e meravigliosa. Era l’esistenza di ciò che
non può esistere, di questo bilanciarsi a gran fatica,
fatica dolce e dolorosa insieme, sul punto dell’essere...
Non era materia e non era spirito. Era qualcosa fra i
due, un fenomeno, un portato della materia, simile
all’arcobaleno sulla cascata, simile alla fiamma.
Ma quantunque non materiale era sensuale fino al piacere
e alla nausea, era la spudoratezza della materia diventata
sensibile, era la forma impudica dell’essere.
Era un agitarsi segreto e sensibile del gelo pudico dell’universo,
un’impurità voluttuosa e nascosta di assorbimento del nutrimento
e di escrezione. Era il lussureggiare reso possibile da un pareggio
della sua instabilità e costretto in leggi congenite di formazione,
era lo svilupparsi e il costituirsi di un turgore fatto di acqua,
albumina, sale e grassi, che si chiamava carne e diventava
forma, nobile immagine, bellezza, ma che nello stesso tempo
significava compendio d’ogni sensibilità e desiderio».

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