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domenica 21 marzo 2021

Tempi passati. Sfogliamo un libro scritto da un siciliano (11)

  Riflessioni  di G.A. Borgese dal testo: GOLIA, marcia del Fascismo 

 LO SFONDO STORICO

Dante Leggi la pagina 1 (Tempi passati 1) Leggi la pagina 2 (Tempi passati 2) Leggi la pagina 3 (Tempi passati 3)Leggi la pagina (Tempi passati 4) 

I miti di Roma Leggi la pagina 5 (Tempi passati 5)  (Leggi la pagina 6 (Tempi passati 6) Leggi la pagina 7 (Tempi moderni 7)

  L'Italia Leggi la pagina 8 (Tempi passati 8) Leggi la pagina (Tempi passati 9) Leggi la pagina 10 (Tempi passati 10)

Segue da 10

  I regni del nord, formati rapidamente e disordinatamente dai Goti, dal Longobardi o da altri barbari, morirono presto; i piccoli organismi, comuni e principati, che nacquero da questa seconda disintegrazione, erano caratterizzati da una violenza e apparentemente indomabile energia originaria. Alcuni si indebobirono tanto da cedere ad altri più forti di loro; ma nessuno divenne tanto potente da assorbirli tutti. Ogni processo di unificazione dell'Italia settentrionale e centrale fu impedito dalla forza dei suoi singoli componenti.

  E' sciocco credere, secondo la filosofia della storia di alcuni presuntuosi professori, che tutto ciò che accade è un bene e una necessità. Si può benissimo immaginare una storia dell'Italia moderna diversa da quella che fu ed egualmente verosimile. Un elemento di questa storia ipotetica potrebbe essere, ed ebbe un effettivo riscontro storico, il Regno unito dell'Italia settentrionale e della Sicilia; il secondo,  il dominio del piccolo Stato papale intorno a Roma; il terzo, la formazione di una federazione delle città e signorie del settentrione e dell'Italia centrale, da Venezia a Genova e da Milano a Firenze e anche più giù, con i loro possedimenti d'oltremare e il loro impero. Una simile federazione sarebbe stata forte abbastanza per resistere alle  brame della Francia e della Spagna, per assicurare indipendenza e prosperità a tutta l'Italia, come i Fiamminghi e gli Olandesi hanno fatto nel loro paese, e anche per volgere l'ingegno dei suoi navigatori, almeno in parte a beneficio dell'Italia. La potenza creatrice, artistica e intellettuale del periodo tra il tredicesimo e il sedicesimo secolo non sarebbe stata meno prodigiosa; anzi si sarebbe rafforzata con la prosperità sociale e politica e avrebbe ritardato  il suo tramonto, poichè infondata è la credenza, o superstizione, secondo la quasle non c'è grandezza spirituale, sia negli individui che nelle nazioni, senza decadenza e rovina. La civiltà dell'Italia settentrionale, avrebbe influenzato anche quella meridionale, legando le due parti del paese con un vincolo di solidarietò utile a tutte e due, e senza sottoporle ad un'unità non naturale. Lo Stato papale sarebbe diventato una specie di Mecca di una religione popolare seguito tanto dalle masse del nord che da quelle del sud, mentre le classi dirigenti, almeno quelle del nord culturalmente molto più progredite che non la nobiltà e la borghesia degli altri paesi europei, avrebbero seguito una libera religione filosofica, al di sopra del Cattolicesimo e del Protestantesimo. Questa quanto mai ragionevole utopia avrebbe potuto facilmente diventare realtà se lo sviluppo naturale della civiltà italiana non fosse stato rintralciato da un'altra utopia del tutto irragionevole: la resurrezione dell'antichità e la rinascita dell'Impero romano. Fino ad una certa epoca la presenza visibile e invisibile dell'idea universale romana aveva ostacolato soltanto il crescere dell'Italia a nazione moderna e unificata; aveva avuto un effetto negativo senza danneggiare le altre vie che il popolo italiano aveva seguito.  A un dato momento l'idea universale romana e il rimpianto della gloria scomparsa divennero la forza di propulsione delle classi dirigenti. Fu Dante a introdurli nello spirito italiano. Nonostante tutta la grandezza e appunto a causa della sua grandezza egli deformò l'animo dei suoi compatrioti, spingendoli ad odiare tutto ciò che avevano o potevano avere e ad aspirare ad una meta in contrasto con la natura e la storia.

  Già in altri tempi personalità gigantesche avevano deciso, o avrebbero dovuto decidere, delle sorti di un'intera nazione. Ma Mosé, Ciro, Solone e gli altri erano stati legislatori e guerrieri; gli stessi Lutero e Calvino furono molto più che semplici teologi e predicatori, e dovendo amministrare una città o lottare con le potenze terrestri, ebbero modo di mettere alla prova le loro dottrine, e furono così obbligati a circoscriverle e a rafforzarle con le garanzie e le limitazioni dell'esperienza pratica, Ma Dante non fu nè un conquistatore né legislatore; e nessuna effettiva responsabilità  di azione limitò i voli della sua fantasia o giudicò  l'assolutezza delle sue simmetrie. Tutte le sue esperienze egli le visse unicamente nella sua mente, sublime e libera. Dal suo cervello nacque la nazione italiana: un fantasma. Questo fantasma, pur non avendo  la capacità di diventare realtà, era però abbastanza forte da costruire la strada ad una Italia viva dei tempi moderni. Aveva ciò che possono avere i fantasmi e ciò che i poeti possono dargli: la parola e il mito. Sostanzialmente era un desiderio ardente dell'assoluto in un vuoto politico e sociale, un destino inevitabile e tragico.

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