Estratti dalla
RELAZIONE DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE
D'INCHIESTA SULL'ATTUAZIONE DEGLI INTERVENTI PER LA RICOSTRUZIONE
E LA RIPRESA SOCIO - ECONOMICA DEI TERRITORI DELLA VALLE DEL BELICE
COLPITI DAI TERREMOTI DEL GENNAIO 1968
(Istituita con legge 30 marzo 1978, n. 96)
Prima parte pubblicata Pigiare qui) Seconda parte pubblicata (Pigiare qui) Terza parte pubblicata (Pigiare qui) Quarta parte pubblicata (Pigiare qui) Quinta parte pubblicata (Pigiare qui) Sesta parte pubblicata (Pigiare qui) Settima parte pubblicata (Pigiare qui) Ottava parte pubblicata (Pigiare qui) Nona parte pubblicata (Pigiare qui) Decima parte (Pigiare qui) Undicesima parte (Pigiare qui) Dodicesima parte (Pigiare qui) Tredicesima parte (Pigiare qui), Quattordicesima parte (Pigiare qui), Quindicesima parte (Pigiare qui)
CAPITOLO IV
LA PROGRAMMAZIONE E PIANIFICAZIONE URBANISTICA
AI VARI LIVELLI — I TRASFERIMENTI DEGLI ABITATI
Per Partanna la previsione iniziale di circa 62 ha (per 7.800 abitanti da trasferire) passa ad ha. 88,6 circa (sempre per 7.800 abitanti) e si « riduce » a soli 80 ha. per i 5.500 abitanti stabiliti in via definitiva, con un incremento pro capite di superficie che sfiora l'82 per cento. Può darsi che la vicenda di Partanna rappresenti un caso a se stante, ma la realtà è quella descritta. Le riserve sulle localizzazioni, ad esempio, sono diffuse in tutti gli atti dei Comuni, come pure le riserve sull'entità dei trasferimenti. Generalmente, tuttavia, emerge il timore che non accettando o chiedendo di ridurre i programmi elaborati dall'ISES-Ispettorato o semplicemente ritardandone la definitiva approvazione, il Comune rischiasse di perdere o di vedere decurtata la propria quota di finanziamenti. Di alloggi a totale carico o di opere di urbanizzazione o di servizi da realizzare o ripristinare nei vecchi centri non si fa mai cenno in questa fase (salvo il citato caso di Partanna). Un handicap notevole (e più volte ricordato), è naturalmente la mancanza di piani urbanistici particolareggiati elaborati dai singoli Comuni per i vecchi centri, che solo negli ultimi anni (dal 1976) sono stati iniziati. Ma bisogna anche chiedersi che interesse potevano avere le Amministrazioni comunali a redigere detti piani, nella convinzione, errata ma realistica, che comunque tutti i finanziamenti e gli aiuti sarebbero andati alla costruzione dei nuovi centri. Altra « giustificazione » più volte invocata, per spiegare le incertezze e le approssimazioni di questa fase (accertamento danni e determinazione del fabbisogno) è la necessità di far presto. Indubbiamente una rilevazione più puntuale ed un più stretto collegamento tra la ricostruzione nei vecchi centri e la realizzazione dei nuovi insediamenti avrebbe in teoria richiesto più tempo. In pratica, il tempo che si è in realtà impiegato, per giungere alla definizione conclusiva, sarebbe stato largamente sufficiente, mentre si sarebbero indubbiamente evitati molti ritardi nella fase di attuazione, e molti errori. Per gli altri Comuni, mancando la necessaria documentazione, è più difficile rendere conto della « dimensione » degli errori e delle approssimazioni iniziali. Quanto ai Comuni a trasferimento totale, tuttavia, si rileva che per tre di essi, il dato assunto è quello del censimento dal 1961, mentre per Montevago, esso differisce di poche unità. Ciò è tanto più strano, in quanto si trattava notoriamente di Comuni in forte decremento demografico, che cioè, al momento del sisma, avevano certamente meno abitanti di quanti ne avevano nel 1961. La differenza complessiva (per i quattro Comuni) tra il dato assunto ed il dato reale presumibile non dovrebbe superare il migliaio di unità (su quasi 15.000 abitanti da trasferire), ma l'osservazione sta a dimostrare mancanza e carenza di metodo da parte dell'ISES o di altri enti pubblici, almeno per quanto riguarda i Comuni soggetti a trasferimento totale. Altri casi, analoghi, possono essere indicati, come quello di S. Margherita Belice, dove il trasferimento « parziale » prevedeva in realtà circa il 97 per cento degli abitanti presumibilmente residenti al momento del sisma (93 per cento di tutti gli abitanti del territorio comunale al 1961, in un Comune con un decremento dello 0,6 per cento medio annuo), o come S. Ninfa (probabilmente oltre T80 per cento, dato non modificato) o ancora come Menfi, per il quale l'ISES indica in un primo tempo una cifra (8.990 abitanti da trasferire) pari presumibilmente al 70 per cento, contro un primo accertamento di 2.103 (16 per cento), per arrivare poi a 5.032 (38,5 per cento). Come si vede, le oscillazioni sono troppo ampie e lasciano oggettivamente piuttosto perplessi. In ogni caso il numero degli abitanti da trasferire dovrebbe risultare in linea di massima inferiore a quello degli abitanti da «sfollare», accertato nei primi tempi dal Genio Civile; ovvero, ammettendo la totale arbitrarietà e casualità dei primi accertamenti (ma anche delle prime elaborazioni ISES), non si spiega come mai in ben 7 Comuni la prima stima non venga poi modificata e nemmeno come il totale, cui erano ovviamente commisurate le prestazioni ISES, praticamente non vari.
In definitiva si può concludere che, per quanto riguarda l'accertamento dei danni, non è stata probabilmente effettuata (o se effettuata non è stata utilizzata) alcuna indagine sistematica ed approfondita, in base a criteri scientifico-operativi dichiarati e definiti. Per quanto riguarda le persone e le famiglie danneggiate, ci si è basati su dati approssimativi, in genere raccolti dal Genio Civile per scopi del tutto diversi. In conseguenza di ciò, per quanto riguarda la determinazione del fabbisogno, non si è dato luogo ad alcuna elaborazione particolare, identificando tout-court le famiglie sfollate con quelle da trasferire, senza alcun riferimento allo stato del patrimonio edilizio e della situazione abitativa antecedente il sisma ed ad esso conseguente. Tali approssimazioni, per altro, si possono giustificare solo nel quadro operativo di un ente, l'ISES, interessato esclusivamente ai trasferimenti e non al complesso delle opere di ricostruzione. Più grave, naturalmente, il fatto che la « efficienza » dell'ISES, abbia, come sembra, potuto condizionare l'opera dell'Ispettorato, limitandola appunto ai programmi di trasferimenti, trascurando il resto. Può sembrare infine fuorviante che un momento operativo così delicato come l'accertamento dei danni (sia pure come « verifica ») e la conseguente « stima » del fabbisogno di opere, non solo sia stato affidato ad un organismo non statale, ma precisamente a quell'organismo che in seguito avrebbe dovuto curare la realizzazione delle opere stesse. Da quanto detto finora, circa una certa superficialità, che ha caratterizzato la fase di « accertamento » dei danni e del fabbisogno, il problema dei criteri adottati per il soddisfacimento di quest'ultimo e quindi per la redazione dei programmi, potrebbe apparire del tutto trascurabile. In effetti solo nella fase iniziale ci si è preoccupati di stabilire veri e propri criteri di quantificazione delle opere, delle aree e dei costi. Per le prime si è già detto in precedenza che i criteri adottati paiono tutto sommato ragionevoli, nonostante la fretta dichiarata con cui i programmi stessi furono redatti ed approvati. Si tratta, beninteso, di una « ragionevolezza » rapportata allo spirito del momento e cioè alla volontà di non limitarsi a rimpiazzare le distruzioni e quindi di attribuire alla ricostruzione un effetto propulsivo sul piano economico e sociale. In effetti i criteri dichiarati o che comunque emergono dai primi programmi, sia dell'ISES che della Commissione ex articolo 12 (ammessa l'indipendenza relativa tra le due serie), sono già improntati ad una certa larghezza, almeno per quanto concerne la dotazione residenziale e gli spazi viarii, mentre sono molto vicini ai minimi stabiliti, allora di recente (decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444), per il verde pubblico ed i servizi. Per quanto riguarda la determinazione dei costi unitari, può dirsi altrettanto. Il parametro di lire 1.200.000 a vano (15.000 al me.) era senz'altro corretto, in quel periodo, per un'edilizia di medio livello, basata su tecnologie edilizie tradizionali. Il parametro complessivo di lire 400.000 ad abitante per le opere di urbanizzazione primaria è difficilmente valutabile, ma può essere rapportato al costo pro capite della edilizia residenziale, che varia, secondo il numero di vani per abitante, da lire 1.776.000 (Camporeale) a lire 2.196.000 (Calatafimi) per abitante. I costi previsti per l'urbanizzazione primaria, quindi, sono contenuti in una percentuale compresa tra il 18,2 ed il 22,5 per cento del costo edilizio, percentuale elevata, ma ancora ragionevole, tenuto conto che si tratta di realizzazione ex novo, su terreni « difficili ». Per quanto riguarda i servizi (opere di urbanizzazione secondaria), invece, il discorso è assai più complesso. Se i parametri unitari di costo sembrano anche qui accettabili, restano invece del tutto oscuri o quanto meno non chiaramente espressi i criteri di dimensionamento, nonché i motivi che hanno determinato la scelta del numero e del tipo di attrezzature.
Unico riferimento possibile paiono essere i nuovi quartieri urbani progettati in quel periodo in alcune medie e grandi città e la « manualistica » che ne conseguiva, da cui sembrano tratte di peso tutte le quantificazioni, senza alcuna considerazione per la realtà locale e per la sua struttura sociale. Durante la prima fase di programmazione per quanto riguarda le scuole, 8 Comuni subiscono un incremento delle previsioni in proporzione alle variazioni degli abitanti e tre una riduzione. Per quanto riguarda gli asili, 7 Comuni registrano un incremento e 5 una diminuzione. Il comune di Montevago è l'unico a non subire variazioni né per le scuole né per gli asili; Vita, Sambuca, Partanna, e Santa Margherita Belice registrano per entrambi un aumento, mentre solo Gibellina registra per entrambi una riduzione. Al termine della prima fase di programmazione il Comune più dotato di scuole risulta Partanna, con un'aula ogni 130 abitanti circa e quello meno dotato Vita, con un'aula ogni 250 abitanti (media, un'aula ogni 176 abitanti nei 14 Comuni). Per quanto riguarda gli asili il più favorito è Sambuca (una sezione ogni 330 abitanti circa) e il meno favorito Salaparuta (1 per 736 abitanti), rispetto ad una media di una sezione ogni 516 abitanti. Come si vede risulta estremamente difficile individuare parametri e criteri fissi. La lieve eccedenza che si registra a favore dei 10 Comuni a trasferimento parziale, potrebbe far supporre che si sia voluto dimensionare le scuole previste nelle zone di trasferimento anche per supplire alle carenze dei vecchi centri. Se così fosse, tuttavia, supponendo una situazione ex ante abbastanza omogenea nei 10 Comuni soggetti a trasferimento parziale, i maggiori incrementi dovrebbero verificarsi in quei Comuni dove la percentuale di abitanti da trasferire è minore e dovrebbero verificarsi in misura superiore per gli asili, attrezzatura certamente più rara nelle zone colpite dal sisma. Tale ipotesi non risulta affatto confermata. Per quanto riguarda gli altri servizi ed attrezzature collettive, un raffronto tra i programmi è praticamente impossibile, essendo espresso solo nei primissimi un dato quantitativo (me). Inoltre la distruzione o meno di attrezzature importanti, come ad esempio il municipio ed i servizi connessi, può aver provocato differenze notevoli tra un Comune e l'altro (4). Passando alla fase successiva, quella di attuazione dei programmi e conseguente loro variazione, scompare invece nei programmi ogni cenno o riferimento a criteri quantitativi, se pure molto approssimativi, come quelli stabiliti in precedenza. Le variazioni dei programmi che, come si è detto, riguardano essenzialmente le superfici e le opere di urbanizzazione primaria, seguono fedelmente i progetti e le loro poco motivate « esigenze ». Per quanto riguarda i costi, dai verbali della Commissione ex articolo 12, si riescono a ricostruire le variazioni fino al 28 gennaio 1974, data del verbale n. 53, in calce al quale è riportata la seguente decisione, approvata dalla Commissione stessa: (... che non debbano costituire varianti al presente programma le maggiori spese . . . che risultassero necessarie per l'aggiornamento dei prezzi unitari dei lavori previsti nei progetti delle opere non ancora appaltate, sia per la revisione dei prezzi contrattuali dei lavori delle opere appaltate. Inoltre, data la natura di alcune opere .. . e le insite difficoltà di realizzazione delle stesse .. . che non debbano costituire varianti .. . le maggiori . .. che risultassero necessarie per far fronte a lavori imprevisti... ». In altre parole, da questa data l'operato dell'Ispettorato è sottratto di fatto ad ogni controllo, sia pure formale, da parte della Commissione ex articolo 12, e quest'ultima è sostanzialmente esentata dal preoccuparsi di questioni finanziarie. Si ricorda, per inciso, che il 1974 fu l'ultimo anno di attività dell'ISES e che in quell'anno, per precise disposizioni ministeriali, esso doveva limitarsi all'ordinaria amministrazione, in cui presumibilmente, era compresa la prosecuzione dell'attività iniziata (appalti, opere già deliberate, ecc.). Limitandosi quindi al periodo maggio 1968 (verbale n. 2 del 25 maggio 1968, con cui vengono approvati i primi parametri di costi unitari e deliberata la spesa per i singoli Comuni) gennaio 1974 (verbale n. 53) si possono avanzare le seguenti osservazioni. La spesa inizialmente deliberata era di lire 45.260.000 per i primi 10 Comuni per i quali era stato deciso il trasferimento, e di lire 5.140.000.000 per gli altri 4, subito (dopo soli 5 mesi) portata a lire 8.818.500.000, per un totale di lire 54.078.560.000 tale cifra corrisponde in media a lire 1 milione 124.300 circa per ogni abitante inizialmente da trasferire che divengono poi, sempre in media, lire 1.131.800 per effetto delle variazioni del numero degli abitanti, senza che venga programmata la distribuzione dei costi tra i vari Cornimi. Come si è detto, infatti, la variazione complessiva del numero di abitanti da trasferire è insignificante, ma non così le variazioni dei singoli Comuni. In realtà, dai verbali della Commissione ex articolo 12, non risulta che le variazioni dei costi previsti seguissero puntualmente le variazioni dei programmi, né per quanto riguarda le opere, né per quanto riguarda il numero degli abitanti. Le singole variazioni dei costi, inoltre, procedono separatamente, senza ricostituire momento per momento un quadro complessivo della distribuzione dei finanziamenti tra i Comuni, che avrebbe dovuto, tra l'altro, essere proporzionato alle risorse complessivamente stanziate in ogni momento. Il quadro finanziario della ricostruzione nel Belice, per la verità, non è affatto chiaro fin dall'inizio, anche per il sovrapporsi delle diverse competenze. Dalla legge n. 241/ 1968, comunque, sembra potersi dedurre che l'Ispettorato disponeva inizialmente in tutto, per la realizzazione ed il ripristino delle opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici, per i programmi di trasferimento, nonché per l'erogazione dei contributi, di lire 162.450.000.000 in quattro annualità, di cui lire 650.000.000 annui riservati al finanziamento dell'Ispettorato stesso. Non è detto, naturalmente, quanta parte di questa cifra avrebbe dovuto essere utilizzata per la ricostruzione dei 14 Comuni maggiormente colpiti e quanta, all'interno di essi, per i programmi di trasferimento. A questo, in effetti, avrebbe dovuto provvedere lo stesso Ispettorato, dopo una prima valutazione della situazione. Se alla spesa programmata inizialmente si aggiunge il cumulo dei contributi (in media lire 6.500.000 ad alloggio) per i circa 12.000 alloggi a contributo calcolati previsti nei programmi di trasferimento a quella per gli asili (circa 1,5 miliardi), previsti si giunge a circa 133,5 miliardi, pari a circa l'83,4 per cento del totale disponibile, in ragione di lire 2 milioni 800.000 ad abitante da trasferire. La somma residua (lire 26,5 miliardi circa) avrebbe dovuto essere sufficiente a finanziare la ricostruzione nei n. 78 Comuni allora previsti. Anche ipotizzando di volere utilizzare questa cifra solo nell'opera di ricostruzione dei dieci Comuni più colpiti, a trasferimento parziale, il che non è stato, si arriverebbe ad una media presubimile di lire 540.550.000 ad abitante non trasferito. Come si vede, fin dall'inizio l'ISES e l'Ispettorato hanno chiaramente indirizzato la ricostruzione su quello che è stato probabilmente il primo e principale errore dell'intera vicenda: un trasferimento massiccio ed indiscriminato di popolazione, a prescindere da ogni obiettiva valutazione sulla situazione e sulla possibilità di recupero, sia pure parziale, dei vecchi centri.
Per quanto riguarda la valutazione iniziale dei costi, rimane ancora da osservare che le differenze di spesa globale tra i Comuni, sono prevalentemente motivate dalla diversa incidenza percentuale degli alloggi a totale carico dello Stato, ma anche da altri fattori, che conducono ad uno scostamento più o meno accentuato tra i costi effettivamente programmati e quelli che sarebbero dovuti risultare dalla rigida applicazione dei parametri approvati dalla Commissione ex articolo 12 e, del resto, riportati anche dall'ISES. Per quanto riguarda invece la determinazione preventiva finale dei costi (verbale n. 53/1974), si possono invece introdurre alcune considerazioni aggiuntive. La prima concerne l'ammontare complessivo della spesa prevista, che raggiunge (sempre includendo i contributi, ma comprendendo stavolta gli asili) lire 171.328 milioni, con un incremento, quindi, del 240 per cento circa, contro un incremento, nello stesso periodo del 132 per cento circa del costo della vita, del 141 per cento dei prezzi all'ingrosso e del 172 per cento circa del costo delle costruzioni. La seconda concerne invece la differenziazione tra i vari Comuni. La deviazione standard, rispetto alla media dei costi per abitante, che si incrementa del 266,4 per cento, passa dal 12,1 per cento al 25,8 per cento. Rispetto al costo per abitante che si incrementa del 242,2 per cento, si registrano infatti aumenti minimi del 143,3 per cento a Montevago, del 153,4 per cento a Santa Margherita Belice e del 163,6 per cento a Camporeale; aumenti massimi del 352,4 per cento a Poggioreale, 382,6 per cento a Sambuca e 446,9 per cento a Calatafimi. Nessun criterio logico può essere stabilito, né per costi iniziali, né per incrementi, in relazione alla dimensione dei singoli insediamenti o alle variazioni di abitanti che hanno subito. L'unica attendibile giustificazione è che essi corrispondono a differenze di progettazione dei singoli piani, confermando nuovamente quanto si era già desunto dall'esame delle quantità e delle variazioni di aree: che cioè i programmi hanno seguito puntualmente la redazione dei piani ISES. Per quanto riguarda la ripartizione dei costi all'interno dei singoli programmi, il discorso è ancora più complesso e non è stato possibile approfondirlo adeguatamente.
La tabella seguente, in effetti, sembra esprimere chiaramente la totale mancanza di ogni criterio e proporzione, spiegabile appunto solo con la pedissequa adesione ai singoli piani, nonché ai progetti delle singole opere.
TABELLA N. 2. — RIPARTIZIONE PERCENTUALE DEI COSTI,
NEI SINGOLI PROGRAMMI DI TRASFERIMENTO,
PER LE DIVERSE VOCI CHE VI COMPAIONO
Per ogni categoria si sono sottolineati i minimi e i massimi relativi.
Ancora maggiori preplessità destano i costi unitari (a vano) per gli alloggi a totale carico, desumibili dai programmi. Occorre infatti osservare che tali ampie diversità tra i Comuni non sono ancora imputabili (nel gennaio 1974) a revisioni prezzi o particolari difficoltà riscontrate nel corso della costruzione, ma esclusivamente a differenti tipi edilizi, modi di progettazione e modalità d'appalto.
Contro un costo medio a vano di Hre 3.764.000, si registrano massimi di lire 6.667.000 (Sambuca) e lire 5.267.000 (Calatafimi) e minimi di lire 2.635.000 (Montevago), e lire 2.907.000 (S. Margherita Belice). Mentre quindi il costo medio di un vano, per tutti i Comuni, corrisponde grosso modo alla cifra iniziale rivalutata secondo l'incremento dei costi di cotruzione nel periodo 1968-73, si registrano oscillazioni in aumento fino al 77 per cento, mentre in alcuni Comuni il costo a vano diventa addirittura inferiore a quello iniziale rivalutato. Di fronte alle successive, più consistenzi variazioni di prezzi e costi verificatesi nel corso della realizzazione può sembrare del tutto superfluo quanto emerge dalle osservazioni precedenti, del resto molto sommarie. Non sembra inutile, tuttavia, stabilire il punto di partenza ed accertare quindi che, fin dall'inizio, la programmazione dei trasferimenti nel Belice, è stata condotta con approssimazione e superficialità. Indipendentemente da quanto può essere accaduto in seguito, ci sarebbe comunque da stupirsi se tutto avesse funzionato a dovere, partendo da simili premesse. Vale la pena, quindi, di sottolineare altre tre carenze fondamentali ed apparentemente kispiegabili, che emergono dall'esame dei programmi. La prima è che i programmi sono costituiti essenzialmente da preventivi di larga massima, per una serie di opere cumulate, da realizzarsi a spese pubbliche. È quindi indispensabile osservare che anche il più modesto tecnico, per la più modesta delle opere, soprattutto se realizzata a spese pubbliche, terrebbe conto espressamente, nel redigere il preventivo (anche e soprattutto se di larga massima), delle inevitabili incertezze di esecuzione, destinando una certa quota (normalmente espressa in percentuale) agli « imprevisti », alle revisioni prezzi, ecc., del tutto prevedibili entro certi limiti. La seconda è che di fronte a tali, notevoli oscillazioni dei costi (sia pure presunti), sarebbe stato più che logico e normale chiedersene il motivo ed eventualmente modificare i programmi o anche i singoli progetti, scegliendo, ad esempio, i tipi edilizi più economici. Ciò anche in relazione ad un quadro complessivo della spesa momento per momento ammissibile e aid un'equa ripartizione tra i Comuni interessati ai tra*sferimenti. Stando ai verbali della Commissione ex articolo 12, al contrario, non risulta che mai si siano affrontati tali problemi. La terza, infine, è che al concetto di programma è per definizione connaturato l'elemento temporale, cioè il tener conto delle fasi e della successione delle operazioni, stabilendo opportunamente le priorità. La Commissione ex articolo 12 non sembra essersi mai posta questo problema, mentre esso è drasticamente risolto dall'Ispettorato con le « direttive » per il trasferimento assolutamente identiche per tutti i comuni, che prevedono nell'ordine: l'esproprio di tutte le aree « necessarie ..., la realizzazione di tutte le qpere di urbanizzazione primaria .. . ecc. ». Dietro queste « direttive », che non fanno comunque parte dei programmi, è chiaro il timore di ripetere l'esperienza non infrequente, e non positiva, verificatasi nella costruzione dei quartieri (ad esempio INA Casa) di iniziativa pubblica per l'edilizia popolare, dove la priorità di fatto assegnata alla costruzione degli edifici residenziali aveva spesso impedito o portato a trascurare la realizzazione delle strade, dei servizi pubblici ecc. Nei quartieri pubblici di edilizia popolare, tuttavia, erano realizzati dall'ente pubblico tutti gli alloggi previsti, mentre nel caso dei trasferimenti nel Belice, la quota di alloggi realizzati direttamente dalla mano pubblica si aggira mediamente attorno al 15 per cento, mentre le urbanizzazioni riguardano ovviamente la totalità dell'insediamento. Non solo quindi la stragrande maggioranza di ciascun insediamento non è realizzata direttamente, ma essa avrebbe dovuto seguire le procedure piuttosto macchinose dell'assegnazione dei lotti, dei contributi, ecc., ferma restando, comunque, una relativa incertezza sul numero e sui tempi di attuazione, che dipendevano logicamente da numerosi fattori, non tutti controllabili, tra cui, in particolare, la ricostruzione nei vecchi centri, i movimenti migratori seguenti il sisma, l'iniziativa dei singoli per la ricostruzione delle case, ecc.
Di fronte a questa situazione, che era o avrebbe dovuto essere beninteso ben chiara, se non nel 1968, almeno nel 1974, le « direttive » dell'Ispettorato e in genere la mancanza di ogni valutazione temporale e di ogni collegamento, tra l'iniziativa pubblica e quella dei privati, non potevano e non possono essere giustificate in alcun modo. Potrebbero invece essere forse spiegate con la « provvisorietà » dell'Ispettorato e con la « precarietà » dell'ISES, che avrebbe teso a « controllare » l'intero processo di ricostruzione, potendo sfruttare, in realtà, solo i primi anni.
Veniamo ora ad affrontare il tema della localizzazione ed impostazione dei piani di trasferimento. Si è già rilevato più volte come, dal momento in cui l'ISES interviene almeno ufficialmente nelle vicende, la programmazione dei trasferimenti abbia seguito costantemente e puntualmente i piani e le variazioni dei piani di trasferimento. Inoltre, si è sottolineata la differenza formale e sostanziale fra programmi e piani, affrontando anche, sia pure sommariamente il problema della localizzazione. Le considerazioni che seguono cercheranno di concorrere a chiarire alcuni dubbi, già manifestati in precedenza. Ciò vale, ad esempio, per il problema della localizzazione dei piani di trasferimento. Questo è infatti uno dei punti meno chiari dell'intera vicenda, nonostante la sua determinante importanza, sia perchè la scelta delle aree segna il definitivo passaggio dalla programmazione delle opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici alla vera e propria pianificazione urbanistica, sia perchè molte delle aree prescelte non sono risultate del tutto idonee agli insediamenti previsti, richiedendo come conseguenza notevoli lavori di sistemazione preventiva dei siti e quindi notevoli costi aggiuntivi, sia generali, che nella realizzazione di singole opere ed edifici. Per quanto riguarda la localizzazione mentre in un primo tempo veniva attribuita la responsabilità della scelta ai « geologi » o, più precisamente, al Servizio geologico dello Stato, dando quindi per scontato che i criteri in base ai quali le aree stesse erano state scelte fossero esclusivamente di ordine tecnico, successivamente si è acclarato che tale versione contrastava con la riscontrata inidoneità delle aree, oltre che con la relazione del Servizio geologico di Stato. I funzionari dello Stato, furono infatti chiamati (e lo dichiarano esplicitamente, rammaricandosene) a dare un parere su scelte precostituite, riportate dalla relazione del professore Floridia per l'ISES, cui si è già accennato e di cui si tratta diffusamente più avanti. Gli stessi funzionari rilevano che le aree indicate non sono in linea di massima le più idonee che si sarebbero potute reperire nei singoli casi, ma che la loro scelta è prevalentemente motivata con considerazioni di tipo « urbanistico », dal valutare le quali, ovviamente, si astengono. Essi si limitano pertanto a dare un parere, generalmente molto cautelativo, sulle aree prescelte, nonché ad avanzare raccomandazioni per il loro trattamento, raccomandazioni di cui non pare si sia tenuto il debito conto, almeno nella prima stesura dei piani. Una parziale correzione di questa versione, emersa successivamente, attribuisce invece ai singoli Comuni la prima scelta delle aree, in seguito « verificate » e dichiarate idonee e non idonee dal Servizio geologico di Stato su richiesta dell'Ispettorato. A parte che le relazioni dei geologi di Stato a tutt'oggi pervenute, non si riferiscono mai a proposte delle Amministrazioni Comunali, ma invece a proposte ISES rimangono ancora notevoli dubbi su come le localizzazioni siano state proposte e discusse, visto che nei verbali della Commissione ex articolo 12 non se ne trova traccia. Sia gli ex Ispettori che i rappresentanti dell'ISES, nel corso delle rispettive audizioni, hanno dichiarato che i Comuni indicavano le aree attraverso i propri programmi di fabbricazione, che venivano presi in considerazione «.. . anche se solo adottati » ma non approvati dalla Regione. Ci si riferisce, come è ovvio, a programmi di fabbricazione adottati ed eventualmente approvati in dipendenza della Legge regionale n. 20 del 18 luglio 1968, essendone precedentemente sprovvisti tutti i Comuni interessati e non potendo in ogni caso prevedersi espansioni di tale ampiezza, prima del sisma e della decisione del trasferimento. La questione, naturalmente, riguarda solo i 10 Comuni a trasferimento parziale, essendo i 4 a trasferimento totale esentati dalla stessa legge regionale n. 20/1968 dal redigere un programma di fabbricazione. Per questi ultimi, quindi, le decisioni relative alla scelta dell'area da destinare al trasferimento non possono essere che attribuite all'Ispettorato e all'ISES per esso. Dalle indagini effettuate sui documenti acquisiti dalla Commissione risulta quanto segue: — per i comuni di Vita, Santa Ninfa, Santa Margherita Belice, Partanna, Menfi, Contessa Entellina, Camporeale e Calatafimi, il programma di trasferimento è stato approvato prima dell'adozione del programma di fabbricazione con un anticipo che va da pochi giorni a qualche mese e ad oltre sette anni per Calatafimi. Per Santa Margherita Belice, Partanna e Camporeale, l'adozione del programma di fabbricazione è contestuale all'approvazione comunale del programma di trasferimento precedentemente redatto dalla Commissione ex articolo 12. Per i comuni di Sambuca e Salemi, al contrario, sembra che l'adozione del programma di fabbricazione abbia preceduto di qualche giorno quella del programma di trasferimento. Nel discutere quest'ultima, anzi, il Consiglio comunale di Salemi rileva che esso non si adatta al proprio programma di fabbricazione e ne richiede modifiche (di dettaglio). Dal verbale della Commissione ex articolo 12 n. 35 del 23 settembre 1970 (circa 5 mesi dopo il precedente) risulta che l'Ispettore ha parzialmente recepito le richieste comunali, ha provveduto a far redigere un nuovo programma all'ISES e lo sottopone alla Commissione ex articolo 12 per l'approvazione definitiva, sottolineando così indirettamente il ruolo del tutto marginale di tale Commissione. Solo i Comuni, dunque (e poi la Regione) erano legittimamente autorizzati ad assumere determinazioni; di carattere urbanistico. Ciò non toglie, tuttavia, che contatti e rapporti più o meno informali possano essere intercorsi, tra l'Ispettorato e/o l'ISES e le Amministrazioni comunali interessate, tenuto conto delle potestà amministrative e delie disponibilità finanziarie assegnate dalla legge all'Ispettorato stesso. Il caso tutto particolare di Gibellina, in cui si assiste ad una vera e propria sollevazione contro la decisione di trasferire la popolazione in località Rampinzeri, lungi dal costituire una contraddizione, conferma invece il quadro precedentemente delineato. La scelta della seconda ubicazione in Località Salinella, infatti, dall'esame dei documenti in possesso della Commisssione, risulta essere avvenuta con le stesse modalità delle altre. Ulteriori parziali conferme, inoltre, emergono dall esame di alcune deliberazioni comunali di approvazione dei programmi) a norma dell'articolo 4 della legge 858/1968. Un altro elemento che si è finora trascurato di prendere in considerazione, affrontando il problema della localizzazione delle aree in cui trasferire gli abitanti e della loro maggiore o minore idoneità, è quello della dimensione delle aree stesse. Anche ammettendo infatti, in contrasto con il parere del Servizio geologico di Stato, che le aree prescelte fossero in effetti le più idonee, bisognerebbe ancora rilevare che altro è la possibilità di reperire, ad esempio, un'area idonea di 80 ha. ed altro una di 35 ha. Come si è visto in precedenza, il dimensionamento complessivo dell'area di intervento dipende solo in minima parte dal numero di abitanti da trasferire o dal numero di alloggi da realizzare, mentre dipende in massima parte dalla progettazione dei singoli insediamenti. In altre parole, ammessa e non concessa l'impossibilità materiale di reperire aree idonee delle dimensioni prestabilite, si sarebbe in ogni caso potuto provvedere a ridimensionare le aree stesse, anziché consentire al loro progressivo dilatarsi, giustificato (e non del tutto convincentemente) proprio dall'idoneità delle aree prescelte. La questione dell'idoneità o meno delle aree prescelte verrà affrontata altrove ma non sarebbe corretto trascurare di soffermarsi sulla possibilità di far luogo ad un diverso dimensionamento delle aree, in funzione delle difficoltà orografiche e geologiche, pur rimanendo: nei limiti di una corretta progettazione urbanistica. Per quanto riguarda poi le singole localizzazioni, si osserva come sia veramente strano che i criteri, applicati fin troppo severamente, per stabilire l'impossibliità della ricostruzione in sito dei vecchi centri o di parte di essi, siano; stati in definitiva del tutto dimenticati, prendendo in, considerazione nuove aree che, come; si è dimostrato* spesso presentano gli stessi, se non più gravi difetti. Anche da un sommario esame dei singoli piani sotto il profilo della qualità della progettazione è possibile rilevare incongruenze ed errori, in parte già emersi clamorosamente, in parte rilevati solo a livollo locale ed in parte, infine, non ancora palesi, ma che prevedibilmente si manifesteranno con il procedere della ricostruzione, cioè, in sostanza con la progressiva occupazione delle aree predisposte ed urbanizzate. Gli errori che i piani portano in sé possono essere, alla fine, imputabili ad una mancanza e a una carenza di coordinamento il cui compito ed onere avrebbero dovuto essere propri dell'Ispettorato, a sua volta chiamato ad esercitarli attraverso l'ISES. Uno degli elementi di incongruità più evidenti è che mentre il dimensionamento dei programmi, in particolare per quanto riguarda l'edilizia a contributo (che come si è visto rappresenta la quota principale, condizionando l'intera progettazione) è stato condotto tenendo conto della diversa composizione dei nuclei familiari, e quindi delle diverse dimensioni degli alloggi (provocando tra l'altro le differenze tra comune e comune, cui si è accennato), nella progettazione urbanistica, invece, si sono generalmente previsti lotti per alloggi a contributo (edifici unifamiliari) sostanzialmente simili fra loro e di identiche dimensioni. Ciò può aver contribuito al sovradimensionamento dei piani stessi, in quanto, palesemente, una stessa superficie di terreno è prevista per 3 o 10 vani. Vi è un altro elemento che desta non poche perplessità riguardo agli alloggi a contributo ed alla loro preponderante quantità. Nella redazione dei piani, infatti, si intuisce il desiderio comune di caratterizzare fortemente il nuovo ambiente urbano progettato, sia attraverso il « disegno » delle infrastrutture, sia attraverso l'iterazione dei principali tipi edilizi per gli alloggi a totale carico. Non a caso questi ultimi sono in genere distribuiti dall'interno del perimetro di piano e non raggruppati. Per quanto riguarda invece gli alloggi a contributo, l'ISES redige in un secondo momento una scarna normativa che ancora una volta sarà approvata, spesso con modifiche, dalle singole Amministrazioni comunali, essendo anche questa normativa un elemento caratterizzante la dimensione di fatto urbanistica dei programmi in teoria di esclusiva competenza comunale. La limitatezza di tale normativa ISES ha l'effetto di non regolare affatto lo sviluppo edilizio di iniziativa privata, lasciandolo nella tradizionale, ma sempre deprecata confusione di assetto « estetico » e strutturale; ma ha anche l'effetto di non permettere alcun controllo sistematico sulle richieste dei privati. In altre parole, in assenza di una normativa più articolata ed approfondita, non è stato possibile controllare l'effettiva rispondenza delle richieste alle necessità dei richiedenti ed eventualmente correggere progressivamente i programmi. Il contributo assegnato dallo Stato ai privati per la ricostruzione, in sostanza, avrebbe costituito una quota piccola a piacere dei costi effettivi, senza poterne valutare né l'incidenza, né l'effettivo valore di incentivazione. Non è ovviamente qui il caso di ricordare quanta parte della ricostruzione o mancata ricostruzione del Belice sia stata giocata sul problema dei contributi, nei piani di trasferimento ed al di fuori di essi. Per quanto riguarda errori più specificatamente tecnici, verificatisi nella progettazione dei piani, prima ancora che nella loro attuazione, non si ritiene sia qui il caso di entrare nei dettagli, che sarebbero necessariamente parziali ed incompleti. Un ultimo cenno a due problemi di cui non si vede, allo stato attuale della strumentazione urbanistica, la soluzione: il primo è quello dei lotti sui quali non è consentita la ricostruzione, all'interno dei vecchi centri (essi dovrebbero passare in proprietà ai Comuni, i quali ne stabiliranno l'utilizzazione attraverso piani di risanamento. Sorte più incerta, invece, è riservata alle aree, non esigue, espropriate dal Provveditorato per l'insediamento delle baracche. Queste aree ricadono in parte, in alcuni casi, nel perimetro dei piani di trasferimento e ci si domanda come mai il loro esproprio sia stato programmato anche se poi non effettuato, dall'Ispettorato. Le aree in questione inoltre, sono in genere urbanizzate, almeno per quanto riguarda i servizi principali e ci si domanda, da un lato, se le urbanizzazioni esistenti verranno del tutto smantellate per far posto a quelle a suo tempo progettate dall'ISES; dall'altro, per le aree delle « baraccopoli » non comprese nei piani di trasferimento, quale fine faranno le urbanizzazioni esistenti.
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