Recentemente ho ascoltato un sacerdote che sostanzialmente faceva la distinzione fra morale di taluni e religiosita' di altri.
Quando ci capita un imprevisto, un guaio e ci imbattiamo in una "croce", che fare, come comportarci? Iniziamo ad accusare e ad additare le responsabilità altrui e magari dello stesso Dio che se ne sta lontano e disinteressato rispetto ai nostri guai oppure riflettiamo su qualcosa che è più notevole di ciò che risulta essere apparente e incombente ?
Quel sacerdote faceva l'esempio dei due ladroni crocifissi. Uno si agitava e bestemiava perché voleva il miracolo di liberarsi dai guai della croce capitata proprio a lui, l'altro rifletteva e puntava a volere invece la "cosa giusta". Li sulla croce quest'ultimo accettava che avvenisse la cosa giusta e meritevole, colpito dalla circostanza che chi stava in mezzo ai due, pur innocente, accettava il supplizio senza incolpare nemmeno gli ingiusti esecutori del suo supplizio.
Il sacerdote concludeva dicendo che "vita eterna" è quella vissuta e perseguita sempre dal "lato del giusto", quella dell'accettare la realtà vera, non quella opportunistica o vantaggiosa del momento inerente le circostanze che stiamo, magari affannosamente attraversando.
Non saprei dire ai lettori perché mi è tornata in mente quella peraltro recente omelia. Forse saranno stati gli affanni di tanti per farsi vaccinare prima che arrivi il proprio turno o forse quell'attitudine ipocrita di tanti altri di assecondare il presunto potente di turno per conseguire un beneficio altrimenti non dovuto, o forse quel cogliere in giro il frequente cambiare di amicizie di taluni in relazione ai presumibili vantaggi del momento. Tutte circostanze che non rientrerebbero nella vita eterna, secondo quella recente omelia.
Se qui abbiamo declinato aspetti di vita collettiva in ottica morale/religiosa in seguito li declineremo in termini secolari e politici.
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