Riflessioni di G.A. Borgese dal testo: GOLIA, marcia del Fascismo
LO SFONDO STORICO
Dante
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I miti di Roma
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Dante, mendicante omerico, mosse con maggior compiutezza e coscienza dell'imperatore Carlo Magno alla ricostruzione dell'Impero romano, che era un'ombra del passato e un miraggio del settrentrione. Tredici secoli innanzi il popolo romano, unificandosi in monarchia, aveva in pari tempo unificato praticamente unificato sotto la sua legge tutto il mondo conosciuto. Circa nove secoli prima di Dante quell'organismo era crollato ed erano sopraggiunti i conquistatori settentrionali, a cercar di esumere e far rivivere il morto e di restaurare l'antico impero nella forma di una monarchiua cristianas, universale e perpetua. Non c'erano riusciti. Al tempo di Dante l'Impero romano medievale era già una pietosa ruina, sulla cui imputridita carcassa nascevano in nuova libertà spontanee forme di vita, comuni e stati nazionali. Dante non se ne avvide. Il miraggio deòl settentrione era per lui la più tangibile delle realtà. Il passato era il futuro; e scrisse il trattato sulla Monarchia.
Egli nutrì le trame fantastiche della Commedia con i dogmi della sapienza politica e storica svelata nel trattato. L'Impero romano era stato in realtà il compimento e insieme la catastrofe della civiltà antica, l'ordinamento provvisorio di un'inevitabile bancarotta. Ma questa verità, per quanto ovvia, non poteva trovare lo spirito di Dante, E' parimenti vero che eminenti scrittori romani, nel primo secolo dell'Impero, avevano pianto la perdita della libertà repubblicana e dipinto gli imperatori come miserabili criminali.. Ma Dante turò le orecchie a simili testimonianze e si fermò a Virgilio, al quale prestava fede come alla sola fonte attendibile intorno a ciò che era stato nel mondo antico; e Virgilio aveva tessuto lodi sovrabbondanti di Augusto come fondatore dell'Impero e come annunciatore di una nuova età dell'oro. Quanto alla libertà, era chiaro per quel poetà che libertà esiste solo dove sono pace e giustizia; di qui l'asserto che i cittadini dell'Impero, avendo pace e giustizia, possedevano anche la libertà. Del resto, tutto ciò che può essere fatto da uno solo è meglio fatto da quell'uno che da molti. La stessa trama d'unità, lo stesso orrore del molteplice che aveva cristallizzato l'esperienza della sua vita nel simbolo di Beatrice l'aveva portato a quell'idolatria del monarca universale assoluto.
L'Impero romano era un'istituzione pagana; ma, venuto a confondersi con la Cristianitò, era diventato spiritualmente perfetto. Il popolo romano aveva in verità conquistato il mondo con la guerra e la violenza; ma nel caso particolare, con la prova del suo strepitoso successo, Dante non trovò difficoltà nell'affermare che i trionfi sui campi di battaglia equivalevano a giudizi di Dio e che Roma, dopo aver conquistato il mondo con la forza, l'aveva conquistato anche di diritto. Essa non avrebbe vinto nemici e concorrenti se non fosse stata "la più nobile nazione della terra", appoggiata dalla diretta volontà di Dio. Di questa sua volontà Dio diede più di una prova sussidiaria. Egli fece in modo che il suo divin figlio, Gesù Cristo, dovesse nascere subito dopo la fondazione dell'Impero romano, dentro i confini di quest'Impero, e morire per mano dei suoi funzionari. Dal momento che Cristo veniva al mondo per poter offritre all'umanità , col sacrificio del suo sangue, la redenzione da tutti i suoi peccati, è ovvio che il sacrificio doveva essere circondato da garanzie di validità universale. Solo un potere sociale fornito di legittimazione universale e data da Dio, era in grado di offrire tali garanzie. Dio stesso, scegliendo l'Impero Romano come carnefice di Suo Figlio, riconobbe il diritto divino dell'Impero universale romano di costituirsi come sola autorità legale sulla terra. Roma, a sua volta, certificò col suo sigillo la validità del sacrificio divino.
Dante, personalmente, era convinto della validità di questo sofisma e seguitò nella costruzione o ricostruzione del suo sacrosanto Impero. L'eletto popolo di Roma, bagnato dal sangue delle nazioni soggiogate, e asperso del sangue dell'Agnello divino, era il depositario dell'autorità divina sulla terra; ma non era necessario che l'Imperatore romano fosse romano per nascita o stirpe, dal momento che anche gli antichi romani non avevano riconosciuto una tale necessità, e la legittimità al tempo di Dante apparteneva ai signori della guerra germanica. Egli aveva conosciuto gli scellerati fiorentini e i papi privi di santità; ma non conosceva quei barberi scarmigliati coperti di ferro e di pellicce, che potevano piacergli come poteva cose ed esseri che stavano al di là della sua esperienza personale. Non ricordava, se pure l'aveva mai appreso, che Federico Barbarossa figura di maggior rilievo fra quei barbari, era morto dopo essere stato sconfitto, soltanto cent'anni prima della nascita di Dante, dalla Lega dei liberi comuni italiani, e ricacciato dalle piane di Lombardia alle giogaie delle Alpi. Quel fatto, nel quale la vera Italia dei tempi nuovi aveva palesato la sua stupenda prontezza alla vita spontanea, e creatrice, non aveva posto nello spirito di Dante, e anche se l'avesse avuto, sarebbe stato una condanna. Egli ricordava fieramente che il Barbarossa aveva punito e raso al suolo la ribelle Milano; ma scordava la risurrezione di quella città e la battaglia di Legnano. Quanto più l'autorità imperiale declinava, d'altrettanto egli si poneva risoluto dalla sua parte, reazionaria prigione nei viluppi del passato. Un imperatore tedesco, Enrico VII, scese in Italia durante l'esilio di Dante, con il proposito di soffocare ogni resistenza e stabilire l'universalità del suo potere. Era uno dei migliori e uno dei più deboli. Dante ne proclamò ad alta voce la gloria e l'onestà; e compì il più stravagante dei suoi gesti indirizzando agli "scelleratissimi fiorentini" l'epistola nella quale li esortava ad aprire le porte della città al legittimo signore del mondo. Quelli non aprirono le porte e la Repubblica di Firenze continuò a vivere. Il Cesare romano-germanico morì misteriosamente in una località della Toscana, ma s'ebbe un onorevole sepoltura nella ghibellina Pisa, e un seggio eminente nel Paradiso dantesco.
(Segue)
Giuseppe Antonio Borgese è stato uno scrittore, giornalista, critico letterario, germanista, poeta, drammaturgo e accademico italiano. Nacque in Sicilia (Polizzi Generosa), antifascista fu costretto a lasciare la cattedra universitaria ed emigrare negli Usa; riebbe la cattedra alla caduta del fascismo.
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