Estratti dalla
RELAZIONE DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE
D'INCHIESTA SULL'ATTUAZIONE DEGLI INTERVENTI PER LA RICOSTRUZIONE
E LA RIPRESA SOCIO - ECONOMICA DEI TERRITORI DELLA VALLE DEL BELICE
COLPITI DAI TERREMOTI DEL GENNAIO 1968
(Istituita con legge 30 marzo 1978, n. 96)
continua da:
Prima parte pubblicata Pigiare qui) Seconda parte pubblicata (Pigiare qui) Terza parte pubblicata (Pigiare qui) Quarta parte pubblicata (Pigiare qui) Quinta parte pubblicata (Pigiare qui) Sesta parte pubblicata (Pigiare qui) Settima parte pubblicata (Pigiare qui) Ottava parte pubblicata (Pigiare qui) Nona parte pubblicata (Pigiare qui)
CAPITOLO IV
LA PROGRAMMAZIONE E PIANIFICAZIONE URBANISTICA
AI VARI LIVELLI — I TRASFERIMENTI DEGLI ABITATI
Analisi della pianificazione comprensoriale.
I piani urbanistici comprensoriali che investono i 14 comuni soggetti a trasferimento sono cinque:
il n. 1 con Salemi e Vita,
il n. 3 con Calatafimi,
il n. 4 con Gibellina, Menfi, Montevago, Partanna, Poggioreale, Salaparuta, S. Margherita di Belice, Santa Ninfa,
il n. 5 con Camporeale e Contessa Entellina,
il n. 6 con Sambuca.
Di questi sono approvatiil n. 1 (D.P. 133/A del 29 novembre 1977),
il m 3 (D.P. 66/A del 16 aprile 1975),
il n. 6 (D.P. 7/A del 13 gennaio 1973);
il n. 5 ha ricevuto il parere negativo all'approvazione da parte del Comitato Tecnico Amministrativo Regionale (22 giugno 1976) e la ristesura del piano proposta dal parere non ha concluso il suo iter tecnico-amministrativo.
il piano n. 4 è stato sequestrato dalla Magistratura dopo la sua approvazione (D.P. 6/A del 13 gennaio 1973).
La documentazione in possesso della Commissione è limitata ai piani nn. 3 e 6; sono anche note le indicazioni del Piano Comprensoriale n. 4 essendo queste riportate nei fascicoli allegati al rapporto ispettoriale « Ambrosetti ».
La costruzione dei Piani Comprensoriali sembra rispondere, per forma, contenuto e metodo di progettazione, all'indirizzo di piani intercomunali uniformati alle linee dell'assetto territoriale espresse dal documento CIPE e dagli studi ISES, dai programmi di settore redatti dai vari Enti competenti, dai piani di trasferimento dell'Ispettorato Generale. Rispetto ai piani intercomunali varia solo la competenza per l'approvazione, che è sottratta ai Comuni ed è affidata alla Regione; ai Consorzi dei Comuni è affidata la sola adozione.
Le elaborazioni degli atti pianificatori riguardano l'analisi delle caratteristiche morfologiche, economico-produttive, demografiche presenti nel territorio sovracomunale, e quindi la regolazione urbanistica di quello comunale con prescrizioni, azzonamenti e normative tecniche tipici dei piani comunali. Ciò significa che la pianificazione si è mossa su due piani diversi: ha prevalso l'ottica sovracomunale per quanto attiene l'analisi dell'utilizzazione di risorse territoriali, di infrastrutture e di servizi; ed ha predominato l'ottica comunale nella zonizzazione.
Gli obiettivi sono generalmente conformi all'ipotesi del riequilibrio prospettata dal programmatore regionale (studi ISES) e dal documento CIPE; il riequilibrio è prospettato nei settori produttivi, nella ridistribuzione demografica, nelle occasioni occupazionali, ed è legato sempre al progetto di particolari infrastrutture per le comunicazioni e di attrezzature e servizi civili, nonché alla realizzazione di cospicui injsediamenti turistici.
Nella generalità dei casi i Piani Comprensoriali sono le notazioni successive, degli interventi effettuati, ed il tentativo di razionalizzare gli investimenti dell'Amministrazione centrale e/o regionale in rapporto alle realtà fisiche, economiche, demografiche ed urbanistiche di ciascun ambito comprensoriale.
Con una validità attiva che oscilla tra i quindici e i venti anni le previsioni riguardano la regolamentazione dello sviluppo edilizio e alla fine, ma certamente in modo tardivo, la sistemazione e l'ordinamento dei centri abitati colpiti dal sisma. Agli effetti di una organica pianificazione urbanistica i Piani Comprensoriali sono giunti, del resto, quando l'assetto del territorio era stato condizionato dai piani di trasferimento. Eppure la pianificazione comprensoriale avrebbe potuto risolvere in modo equilibrato il rapporto fra insediamenti preesistenti recuperabili e nuovi impianti urbani. In particolar modo i piani avrebbero potuto indicare in quale misura e con quali modalità si sarebbero potute utilizzare, previa verifica geologica, le aree dei centri parzialmente distrutti dal sisma le cui superfici erano occupate dalle strutture disastrate.
Si ritiene corretto affermare che la scelta localizzativa delle aree per il trasferimento degli abitati è stata operata senza relazioni tra preesistente e nuovo definite da un piano organico, unitario e contestuale, nelle previsioni di ogni parte dell'aggregato urbano che si sarebbe dovuto formare. Anzi la tardiva pianificazione urbanistica è risultata condizionata dalle precedenti impostazioni planivolumetriche dei piani di trasferimento, prevalentemente basati su impostazioni concettuali e formali delle nuove progettate strutture insediate. Si può affermare che gli impianti urbanistici che si evidenziano nelle parti comunali dei piani comprensoriali risentono di un sovradimensionamento insediativo, che riguarda non solo la quantità di aree urbanizzate, ma anche la struttura complessiva della città, contraddittoria e diversa tra le parti formate storicamente nel tempo precedente il sisma e quelle pianificate successivamente.
Connotato determinante della pianificazione comprensoriale è dunque il ritardo dell'iter di formazione e approvazione dei Piani Urbanistici Comprensoriali rispetto ai tempi previsti da provvedimenti legislativi. Ricordiamo che la legislazione regionale prevede un periodo di quattordici mesi dall'avvio della progettazione alla conclusione con l'approvazione del piano. Gli incarichi per la progettazione sono stati affidati entro il primo semestre 1969 e pertanto, al massimo entro l'anno 1970, i piani avrebbero dovuto essere operativi. I tempi furono ben diversi, come si può osservare dal successivo prospetto, nel quale sono riportate prima le date dell'adozione del Consorzio dei Comuni e poi quelle dell'approvazione della Giunta di Governo regionale:
Piano comprensoriale n. 1: adozione 4 aprile 1975 - approvazione 29 novembre 1977;
Pianò comprensoriale n. 3: adozione 15 maggio 1972 - approvazione 16 aprile 1975;
Piano comprensoriale n. 4: adozione 25 luglio 1970 - approvazione 11 gennaio 1973;
Piano comprensoriale n. 5: adozione 10 luglio 1976 - respinto;
Piano comprensoriale n. 5: adozione 10 ottobre 1970 - approvazione 13 novembre 1973.
Rimarchevole è il caso del comprensorio n. 4, che contiene al suo interno 8 dei Comuni terremotati. Tra l'adozione, avvenuta nel luglio 1970, e la sua approvazione intercorrono circa 30 mesi; in questo intervallo di tempo la fase operativa prevedeva solo la presentazione delle osservazioni e l'approvazione regionale (tale fase, secondo la legge regionale/doveva durare 18 mesi).
Il piano n. 4 può essere preso come esemplare della pianificazione comprensoriale, e della sua relativa incidenza nella ricostruzione, in quanto contiene, come già detto, otto comuni disastrati dal sisma, e tutti e quattro quelli a trasferimento totale: se ne riportano sinteticamente le indicazioni urbanistiche (il piano investe gran parte dell'area sconvolta dal sisma). I Comuni introdotti con decreto presidenziale nel comprensorio sono dieci: Campobello di Mazara, Castelvetrano, Gibellina, Menfi, Montevago, Partanna, Poggioreale, Salaparuta, S. Margherita Belice e S. Ninfa. (Per gli ultimi otto comuni era programmato il trasferimento totale o parziale dei centri, disastrati dal sisma.
I Comuni di Campobello, Castelvetrano e Menfi hanno il loro territorio meridionale disposto sulla costa). II piano si pone l'obiettivo di uno sviluppo socio-economico che trattenga nell'area la popolazione residente ristrutturando il settore agricolo attraverso soprattutto la irrigazione delle zone vallive costiere e la realizzazione di centri di commercializzazione e trasformazione dei prodotti agricoli localizzati nell'interno del territorio.
Nel settore secondario il piano non riporta, e quindi rigetta, lo sviluppo industriale previsto dal CIPE nell'area di Capo Granitola e prevede aree attrezzate nelle zone interne in prossimità dello scalo ferroviario di Salemi, nel territorio di Castelvetrano ed in quello di S. Margherita Belice; prevede inoltre diffuse localizzazioni industriali rimesse alle decisioni delle Amministrazioni comunali.
Al turismo viene riservato un notevole spazio economico ed urbanistico impegnando parti ragguardevoli della costa per l'insediamento di impianti ricettivi alberghieri. La maglia infrastrutturale delle comunicazioni territoriali riporta integralmente quella prevista dal CIPE (e dall'ISES negli studi per il Piano Territoriale Comprensoriale n. 8) ed è formata dall'autostrada Palermo-Mazara del Vallo; dalla Palermo-Sciacca; dalle trasversale Marsala-Enna contenente il cosidetto asse attrezzato del Belice; e dalla trasversale retro-costa Castelvetrano-Menfi-Sciacca.
La struttura residenziale si impernia nei centri di Campobello e Castelvetrano, in quello di Menfi, e nella organizzazione insediativa prevista dai programmi di trasferimento decretati dall'Ispettorato, che vengono recepiti integralmente e ai quali, con successiva specificazione, vengono aggiunte prescrizióni attuativé nei vecchi centri dei quattro comuni a trasferimento parziale.
L'armatura dei servizi sociali è costituita dal programma delle attrezzature deliberato dall'Ispettorato per gli otto Comuni, con alcune aggiunte autonome per Castelvetrano e Campobello, che costituiscono un punto di forza della intelaiatura dei servizi comprensoriali. Dunque il piano comprensoriale recepisce dai programmi sopra ordinati dell'area sub-regionale (CIPE ed ISES) le scelte di fondo e gli indirizzi generali dell'assetto territoriale limitandosi, per gli insediamenti industriali e turistici, a produrre la necessaria definizione localizzati va; trascrive le indicazioni residenziali dei programmi di trasferimento e, là dove esistono, anche quelle dei piani di fabbricazione comunali.
Sembra pertanto corretto affermare che gli interessi pianificatori autonomi del piano erano concentrati all'esterno dell'opera di ricostruzione. Non vi è dubbio che la riscontrata incapacità di incidere in modo organico su tutto il territorio sia dovuta principalmente ai tempi di formazione e adozione del piano, che riportiamo di seguito:
—- affidamento ai progettisti dell'incarico di redazione del PUC n. 4 - 14 novembre 1968;
— consegna da parte dei progettisti degli elaborati di progetto (con proroga della scadenza originaria concessa dall'Assessorato) - 20 febbraio 1970;
— adozione del Piano da parte del Consorzio dei Comuni - 25 luglio 1970; — trasmissione del piano adottato all'Assessorato allo Sviluppo Economico - settembre 1970;
— parere, con modifiche ed integrazioni del Comitato tecnico amministrativo Regionale - 26 febbraio 1971;
— prima delibera della Giunta di Governo e rinvio all'Assessorato allo Sviluppo Economico per supplemento di istruttoria - 16 novembre 1971;
— istruttoria dell'Assessorato - 10 gennaio 1972;
— delibera di approvazione della Giunta di Governo n. 30 - 11 gennaio 1972;
— approvazione del PUC con il decreto Presidente regione n. 5 - 11 gennaio 1973.
Quanto a quest'ultimo passaggio è da rilevare il lasso di tempo intercorso fra l'approvazione della Giunta ed il decreto del Presidente della Regione: un anno esalto, per un mero adempimento formale. Da quanto si è andati esponendo discendono alcune valutazioni sulla incidenza della pianificazione comprensoriale nella ricostruzione e nella ripresa socio-economica dei quattordici Comuni.
1) La pianificazione comprensoriale non ha pilotato la ricostruzione ma è stata ad essa sottoposta. Sia i programmi di trasferimento che i piani di fabbricazione comunali l'hanno preceduta e, come già detto, hanno prevaricato una puntuale pianificazione comprensoriale, attuata secondo il quadro operativo e temporale abbozzato dal legislatore regionale. Quel quadro, se utilizzato tempestivamente, avrebbe con sentito di integrare i vecchi centri nel processo di ricostruzione. Questo sarebbe potuto accadere qualora i Piani Particolareggiati dei vecchi centri fossero stati redatti prima o, al massimo, contestualmente ai piani di trasferimento, e qualora i Piani Urbanistici Comprensoriali fossero stati redatti nei modi e nei tempi utili per indirizzare i programmi di trasferimento.
Ciò avrebbe tra l'altro evitato l'enfasi ed il sovradimensionamento sia dei singoli programmi, sia di talune opere di infrastrutturazione territoriale. Infatti, per il disposto dell'articolo 2 Legge Regionale n. 20 del 18 luglio 1968, la pianificazione del piano comprensoriale doveva obbligatoriamente includere nelle previsioni attuative il piano particolareggiato « per le parti di piano comprensoriale la cui esecuzione è ritenuta urgente ». L'urgenza non poteva non concernere la realtà che aveva promosso la norma che istituiva quel particolare procedimento di pianificazione, cioè i centri abitati disastrati parzialmente dal sisma. Tale fu l'indirizzo assunto dai vari pianificatori che intervennero nella programmazione urbanistica comprensoriale; solo che l'atto pianificatorio seguì e non precedette i programmi di trasferimento, recepì e non propose le relative scelte urbanistiche, registrò in forma notarile le modificazioni del territorio e non guidò in termini culturali, sociali e politici la trasformazione della struttura insediativa originaria.
La norma del 2° comma articolo 2 legge regionale m 20 del 18 luglio 1968 aveva il fine istituzionale di mettere in relazione l'intervento straordinario in favore della ripresa socio-economica e della ricostruzione con la pianificazione sovracomunale e con quella più particolareggiata di alcune non definite zone, le quali correttamente dovevano riguardare anche i centri rovinati. E per la immediata attuazione di un tale indirizzo erano state definite precise scadenze operative, la cui non osservanza ha certamento modificato il corso della ricostruzione del Belice.
Vi ha concorso la palese rinuncia della Regione ad indirizzare culturalmente e politicamente il « modello » della ricostruzione; il disorientamento e l'impotenza delle Amministrazioni locali, esautorate, nei loro diritti-doveri, dalle norme della legge 241/68; il prevalere del cosidetto « operatore culturale » introdotto nell'area dalle convenzioni tra Ispettorato Generale ed ISES.
2) La pianificazione comprensoriale non ha agito sul territorio. Ciò è avvenuto per i ritardi con cui si è operato. Alla fine questi ritardi hanno portato all'annullamento formale dei piani (vedi legge regionale n. 71 del dicembre 1979). L'annullamento di questo strumento urbanistico può aver vanificato il tentativo di ricondurre entro una visione complessiva del territorio l'insieme degli interventi, i quali, quindi, furono attuati con una logica settoriale. Si può dire ora che un elemento che, con ogni probabilità, ha giocato a sfavore di una organica ripresa economica ed urbanistica delle zone terremotate sia stata proprio l'assenza di operatività nel quadro di riferimento comprensoriale. È ragionevole supporre infatti, che, alla fine, l'azione urbanistica che ha prevalso sul territorio, all'esterno dei programmi di trasferimento, sia stata quella comunale, fatalmente più legata ad interessi particolari e a spinte settoriali. Se già nel procedimento di formazione dei piani comprensoriali si è notato il prevalere di interessi diversi da quelli della ricostruzione, una volta annullati i piani comprensoriali tale « diversità » porterà l'assetto urbanistico ad un elevato grado di disarticolazione territoriale.
Rimasta sulla carta l'ipotesi di una organizzazione sovra-comunale, gli insediamenti residenziali dei programmi di trasferimento costituiscono oggi un « assurdo » urbanistico che ha prodotto più guasti che sviluppi. La rottura della struttura insediativa esistente prima del sisma non potrà infatti essere più saldata in funzione di una diversa organizzazione dell'area. Non si può ignorare la sostanziale modificazione socio-culturale cui la nuova organizzazione urbanistica sottopone comunità già profondamente traumatizzante dal sisma. Ciò dipende dal rovesciamento di un « modo » di vivere organizzato originariamente su di una struttura insediativa « interiorizzata » in un altro proiettato su altre — e talvolta distanti — articolazioni urbane.
Deriva anche dalla trasformazione delle forme urbane che esprimevano e determinavano le relazioni sociali: quelle originarie, caratterizzate da una concentrazione di riferimenti tra unità edilizie, isolati e città che determinavano precisi rapporti di vicinato e di comunità, di autonomia e di aggregazione sociale; quelle nuove, invece, caratterizzate dall'enfasi delle reti viarie, degli spazi attrezzati, dal gigantismo delle volumetrie dei nuovi servizi sociali che raggelano entro schemi di funzionalità esasperata l'associazione delle nuove comunità.
Il trasferimento degli abitati. — // quadro di riferimento.
(Segue 99)
Nessun commento:
Posta un commento