Estratti dalla
RELAZIONE DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE
D'INCHIESTA SULL'ATTUAZIONE DEGLI INTERVENTI PER LA RICOSTRUZIONE
E LA RIPRESA SOCIO - ECONOMICA DEI TERRITORI DELLA VALLE DEL BELICE
COLPITI DAI TERREMOTI DEL GENNAIO 1968
(Istituita con legge 30 marzo 1978, n. 96)
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Terza parte pubblicata (Pigiare qui)
Quarta parte pubblicata (Pigiare qui)
Quinta parte pubblicata (Pigiare qui)
Sesta parte pubblicata (Pigiare qui)
Settima parte pubblicata (Pigiare qui)
Ottava parte pubblicata (Pigiare qui)
CAPITOLO IV
LA PROGRAMMAZIONE E PIANIFICAZIONE URBANISTICA
AI VARI LIVELLI — I TRASFERIMENTI DEGLI ABITATI
Gli indirizzi della pianificazione territoriale e comprensoriale.
L'insieme degli atti tecnico-operativi messi in essere, nel quadro della normativa testé illustrata, a seguito dell'evento calamitoso del gennaio 1968 comprende una serie di procedimenti di pianificazione urbanistica, a partire dall'assetto territoriale della Sicilia occidentale, nel cui ambito è situata l'area disastrata, per finire ai programmi di trasferimento dei comuni distrutti. Di fatto i programmi per la ricostruzione furono preceduti, sia a livello regionale che nazionale, da scelte di politica del territorio che ebbero riflessi sia nella formazione della normativa in favore delle popolazioni colpite dal sisma, sia nella costruzione degli schemi organizzativi del territorio sinistrato. Tali scelte derivarono dalla convinzione generale di operare non solo per una mera ricostruzione dei siti distrutti dal sisma, ma in funzione anche di una ripresa socio-economica dell'area sconvolta dal terremoto.
Come è noto gli indirizzi politico-culturali che all'epoca orientavano la metodologia della pianificazione connettevano la soluzione dei problemi socio-economici a vari livelli di assetto del territorio, che andavano dall'area regionale e/o sub-regionale a quella comprensoriale e comunale. Tali indirizzi, ed il proposito della ripresa socio-economica, influenzarono, come si è visto, la legislazione nazionale e quella regionale: questa simultaneità di intenti e di norme produsse un insieme di proposte sull'assetto del territorio che non trovarono pratica corrispondenza nello svolgersi del procedimento di formazione dei piani urbanistici, ordinati per rango e per fasi temporali. Ciò ha comportato la perdita del necessario collegamento tra la pianificazione di indirizzo e la pianificazione attuativa, ossia tra il fine della programmazione ed i mezzi finanziari deliberati per la ripresa socio-economica dell'area.
Veniamo ora ad una analisi dei documenti prodótti con l'obiettivo di definire un assetto territoriale per l'intera area terremotata Si ricorda che l'articolo 1 della legge n. 241, punto h) definisce, tra le altre attività consentite al Ministero dei Lavori Pubblici, quella della redazione di « studi.. . necessari per l'attuazione delle opere di competenza del Ministero dei Lavori Pubblici ai sensi della legge » e nel successivo articolo 59 estende l'ambito operativo della ricostruzione alla programmazione di « una serie di provvedimenti destinati a favorire la rinascita economica e sociale dei comuni colpiti dal sisma » coinvolgendo
la Cassa per il Mezzogiorno,
il Ministero dei Lavori Pubblici,
il Ministero dell'Agricoltura,
la Regione Siciliana
ed il CIPE;
a quest'ultimo è demandata l'approvazione del « complesso di provvedimenti e di interventi » necessari alla ripresa socio-economica. Va osservato che dagli articoli della legge 241 non emerge nulla che autorizzi un'azione pianificatoria urbanistica a livello sopracomunale da parte del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici e del CIPE, qualora l'atto pianificatorio fosse stato formato, proposto e adottato nei termini di un Piano Territoriale di Coordinamento. Al contrario, se elaborato in forma di studio e formulato come piano d'indirizzo programmatico, è possibile ritrovare nella legge uno spazio operativo sia per lo « studio » del marzo 1968 redatto dal Consiglio superiore dei Lavori Pubblici, sia per le « ipòtesi di assetto territoriale » approvate dal CIPE nella seduta del novembre 1969. Infatti nel momento in cui l'articolo 59 estende il complesso dei provvedimenti a tutti quelli opportuni e necessari per « favorire la rinascita economica e sociale » dell'area, visto che l'indirizzo corrispondente a questa volontà legislativa era, chiaramente, quello della programmazione, e dal momento che la relativa premessa comprendeva il cosiddetto « piano di assetto territoriale » il quale veniva inteso come strumento portante la programmazione economica, si può ritenere conforme allo spirito della legislazione l'operazione del piano di assetto del territorio così come è stata svolta sia dal Consiglio superiore che dal CIPE, avendola entrambi intesa nei termini di un quadro territoriale di riferimento programmatico per la ripresa socio-economica dell'area.
La Regione Siciliana — al contrario — ritenne di dotarsi di un Piano Territoriale di Coordinamento al fine di omogeneizzare in un quadro unitario le molteplici definizioni urbanistiche territoriali che sarebbero altrirnenti venute ad esistenza attraverso i procedimenti di formazione dei vari piani comprensoriali. Infatti il decreto del presidente della Regione n. 147 del 25 ottobre 1968, rilevata l'esigenza di coordinare gli studi di pianificazione dei vari comprensori alla luce di direttive unitarie che «tengano conto della situazione sociale, economica, orografica ed urbanistica dell'intero territorio interessato », ravvisò l'opportunità di redigere un Piano Territoriale di Coordinamento dell'intero territorio colpito dal sisma e promosse le procedure necessarie alla formazione di tale Piano.
La Regione affidò all'ISES, con una Convenzione datata 5 luglio 1969 l'incaricò della redazione dì esso. Il Piano Territoriale di Coordinamento n. 8 della Sicilia occidentale ricevette, dopo ben nove anni, solo il parere favorevole del Comitato Tecnico Amministrativo Regionale nella seduta del 14 giugno 1978 ma non fu mai approvato dalla Giunta di Governo. La mancanza del Piano Territoriale di Coordinamento provocò l'impossibilità giuridica di coordinare la pianificazione comprensoriale all'interno di un quadro organico di strumenti urbanistici riguardanti le zone terremotate e la Sicilia occidentale.
Passando dal livello della programmazione del territorio sub-regionale a quello della pianificazione comprensoriale promossa dalla Regione, deve innanzitutto notarsi che la normativa aveva predisposto un insieme di strumenti urbanistici atti ad organizzare e definire qualunque intervento sul territorio. In ordine di successione essi sono:
il Piano Comprensoriale,
i Programmi di Fabbricazione,
i Piani Particolareggiati esecutivi.
Nel contesto dei provvedimenti legislativi regionali il piano comprensoriale assume un ruolo fondamentale nella riorganizzazione del territorio devastato dal sisma. Prevalendo l'intendimento di congiungere la ricostruzione alla ripresa sociale ed economica, si volevano ricondurre entrambe le azioni ad una pianificazione sopracomunale del territorio; quindi, in astratto, l'intendimento che emergeva dal quadro legislativo iniziale era quello di un piano urbanistico in cui la ricostruzione dei centri disastrati si sarebbe dovuta raccordare, in un insieme organico di previsioni, alla qualificazione economica del territorio, alle maglie infrastrutturali, alle previsioni insediative globali di ciascuna area comprensoriale, ed infine alla collocazione dei servizi sociali di livello sopracomunale. Le leggi regionali non prescrivono un ordine di priorità nei procedimenti di formazione dei Piani ai vari livelli di assetto del territorio; propongono anzi operazioni diverse da svolgere con scadenze pressoché contemporanee. Avendo certamente tenuto conto dell'urgenza la normativa regionale ha di fatto previsto la contestualità della pianificazione a livello comprensoriale e di quella a livello di area sub-regionale; questa ultima redatta più come sintesi delle previsioni comprensoriali, che come piano preordinato per l'inquadramento dei Piani Urbanistici Comprensoriali. In realtà quello che sembrava essere il disegno originario della legge regionale n. 1/1968, che affidava ai Piani Urbanistici Comprensoriali il ruolo portante dell'assetto del territorio, inteso sia come piano regolatore della ricostruzione fisica sia come Piano programma della riprésa sociale ed economica, viene profondamente" modificato dalle successive leggi regionali.Nel frattempo lo Stato, per effetto della legge 241, si accolla il compito finanziario ed operativo della ricostruzione degli abitati disastrati dal sisma ed assume, tramite l'Ispettorato, il controllo degli atti relativi allo svolgimento di tale compito senza avere alcuna competenza in fatto di assetto urbanistico comunale, comprensoriale, territoriale. Alla regione resta invece il massimo della competenza in fatto di assetto comprensoriale e territoriale, mentre praticamente nullo è il suo potere rispetto all'uso dei finanziamenti per la ricostruzione.
Considerato questo insieme di situazioni, si cercò di adottare un metodo di pianificazione che, potesse consentire il massimo del controllo territoriale senza causare il minimo ritardo della ricostruzione. Lo schema operativo messo in essere dal legislatore regionale tentò pertanto di conciliare le competenze dello Stato e della regione, formalizzate da due prassi diverse:
-da un lato quelle relative al Ministero dei Lavori Pubblici attraverso il suo organo decentrato, l'Ispettorato generale per le zone terremotate, riguardanti la formazione e l'attuazione dei programmi di ricostruzione;
-dall'altro quelle relative alla giunta di governo e riguardanti la pianificazione comprensoriale.
Il momento unificante fu individuato nell'atto di adozione dei Piani Urbanistici Comprensoriali da parte dei Consorzi dei comuni, con la trasposizione automatica e conforme dei piani di trasferimento già approvati. Con la conseguenza che la redazione anticipata di programmi di trasferimento e quella ritardata dei Piani Urbanistici Comprensoriali hanno di fatto enucleato la ricostruzione degli abitati dalla definizione unitaria e contestuale dell'assetto comprensoriale, ordinato organicamente nelle sue diverse parti, funzioni e destinazioni d'uso.
La ricostruzione del Belice poteva in definitiva basarsi su una serie di definizioni territoriali, che dal quadro di riferimento della Sicilia occidentale, ai Piani Urbanistici Comprensoriali, ai Piani Particolareggiati, avrebbero dovuto rappresentare la base stessa della programmazione degli interventi necessari per ia ricostruzione e la ripresa socio-economica dell'area. Questi atti pianificatori furono effettivamente prodotti, ma in tempi e modi tali da non incidere, come avrebbero dovuto, sul complesso delle operazioni attuate.
Analisi della situazione territoriale.
L'insieme dei documenti esaminati dalla Commissione testimonia le modalità con cui, subito dopo il terremoto, fu costruita la ipotesi operativa del piano di assetto del territorio, superando i limiti della ricostruzione dei luoghi distrutti per considerare tutta l'area della Sicilia occidentale, proponendo simultaneamente le ipotesi-obiettivo dello sviluppo economico globale.(1)
(1) I documenti prodotti in merito alla pianificazione dell'area sub-regionale e presenti agli atti della Commissione, sono in ordine cronologico i seguenti:
1) Consiglio Superiore del Ministero dei Lavori Pubblici: studio preliminare sull'assetto territoriale delle zone terremotate della Sicilia, 31 marzo 1968;
2) ISES: (documento interno): studio per la ricostruzione e lo sviluppo delle zone terremotate siciliane, 15 luglio 1968-bozza;
3) ISES: proposta di provvedimenti destinati a favorire la rinascita economica e sociale dei comuni terremotati (art. 59 della legge 241/68) - studio per la ricostruzione e lo sviluppo delle zone terremotate, 9 gennaio 1969;
4) CIPE: provvedimenti destinati a favorire la rinascita economica e sociale delle zone terremotate della Sicilia (art. 59 della legge 241/68), documento approvato nella seduta del 20 novembre 1969;
5) ISES: studi per l'ipotesi di assetto territoriale, fascicolo 41 con riferimento punti B 9. 10 della convenzione relativa alla fase di definizione complessiva; senza data;
6) Regione Siciliana: Piano Territoriale di Coordinamento n. 8 della Sicilia occidentale; parere favorevole del CTAR nell'adunanza dèi 14 giugno-1978^.
I documenti prodotti in merito alla pianificazione dell'area sub-regionale e presenti agli atti della Commissione, sono in ordine cronologico i seguenti:
1) Consiglio Superiore del Ministero dei Lavori Pubblici: studio preliminare sull'assetto territoriale delle zone terremotate della Sicilia, 31 marzo 1968;
2) ISES: (documento interno): studio per la ricostruzione e lo sviluppo delle zone terremotate siciliane, 15 luglio 1968-bozza;
3) ISES: proposta di provvedimenti destinati a favorire la rinascita economica e sociale dei comuni terremotati (art. 59 della legge 241/68) - studio per la ricostruzione e lo sviluppo delle zone terremotate, 9 gennaio 1969;
4) CIPE: provvedimenti destinati a favorire la rinascita economica e sociale delle zone terremotate della Sicilia (art. 59 della legge 241/68), documento approvato nella seduta del 20 novembre 1969;
5) ISES: studi per l'ipotesi di assetto territoriale, fascicolo 41 con riferimento punti B 9. 10 della convenzione relativa alla fase di definizione complessiva; senza data;
6) Regione Siciliana: Piano Territoriale di Coordinamento n. 8 della Sicilia occidentale; parere favorevole del CTAR nell'adunanza dèi 14 giugno-1978^.
Le ipotesi di sviluppo economico si fondano su alcuni assunti posti alla base di tutti i piani:
1) l'ambito originario dell'intervento relativo a 78 comuni (12 in provincia di Agrigento, 10 in provincia di Enna, 13 in provincia di Messina, 27 in provincia di Palermo, 16 in provincia di Trapani) è ritenuto dalla regione troppo angusto per la localizzazione delle infrastrutture di interesse regionale o sub-regionale e per la localizzazione di nuove iniziative industriali. Si stabilisce quindi di considerare, ai fini dell'applicazione delle provvidenze, I/area della Sicilia occidentale comprendente l'interò territorio delle province di Agrigento, Trapani, Palermo, nonché i Comuni appartenenti alle province di Enna e Messina, colpiti dal terremoto dell'ottobre-novembre 1967.
Questa proposta della regione siciliana — accettata dal CIPE — comporta l'allargamento" di un piano per i programmi e le opere da realizzare per la ripresa economica e la ricostruzione che avrebbero dovuto concentrarsi sulla zona colpita dai sisma.
2) Poiché è assente un Piano di sviluppo regionale viene assunto un criterio sostitutivo: pur considerando prioritario il territorio in cui si sono registrati i danni maggiori, gli interventi devono produrre effetti positivi sul riequilibrio e lo sviluppo dell'area sub-regionale. (Per quanto riguarda la valutazione dei danni la Regione presenta delle tabelle da cui si evince che, come zona di intervento prioritario, è da considerare quella che comprende il versante meridionale della direttrice di sviluppo trasversale congiungente Palermo con la fascia costiera tra Sciacca e Mazara del Vallo, interessata da due direttrici di sviluppo. La zona — se pure intuibile — non è chiaramente definita). In assenza del piano di sviluppo economico e del piano territoriale urbanistico della Sicilia vengono assunte alcune ipotesi-obiettivo che si fondano sui seguenti indirizzi: ristrutturazione settoriale e dimensionale delle attività industriali con il proposito di determinare la maggiore integrazione possibile tra il sistema produttivo regionale e quello esterno, sia nazionale che estero, e di favorire le localizzazioni degli impianti produttivi nelle zone interne della Sicilia occidentale, tra le quali quelle terremotate.
Nel settore agricolo viene espressa la necessità di promuovere l'ammodernamento delle aziende e la riconversione degli ordinamenti colturali, e nel settore del turismo la opportunità di valorizzare le arce provviste di suscettività turistica con il potenziamento delle strutture esistenti. L'assetto territoriale si incentra dunque sulla formazione di un sistema di infrastrutture di trasporto e comunicazione che consenta la massima connessione tra gli attuali ed i possibili futuri centri di sviluppo economico (allargamento quindi dell'effetto industriale sul territorio) nonché la formazione di un sistema insediativo di residenze di attività produttive di servizi; allargato in forma di territorio-città, ed in equilibrio al suo interno.
Per quanto attiene in particolare ai problemi delle zone terremotate, la realizzazione dei programmi di ricostruzione si attua tramite un assetto del territorio comprendente una serie di rinnovati insediamenti abitativi e le relative attrezzature necessarie alla vita civile, nonché la definizione di nuove aree industriali; il tutto costituisce un sistema insediativo alternativo e riformatore di quello storicamente consolidato nell'area. Su queste ipotesi-obiettivo viene costruito lo schema generale dell'assetto regionale che prevede il funzionamento di due aree di sviluppo globale collegate fra loro da direttrici costituenti l'intelaiatura di base della nuova organizzazione territoriale; le due aree sono disposte intorno alla piana di Catania ed alla fascia Trapani-Mazara.
In particolare l'area che occorre esaminare è la seconda, interessata da due direttrici, che vengono considerate « strategiche » per il conseguimento del piano di sviluppo ipotizzato. Queste sono:
A) la trasversale Enna-Marsala che prosegue ad Ovest di Enna il tracciato della Catania-Palermo. A questa viene affidato il ruolo di « asse di riequilibrio interno » e viene programmata come « attrezzatura pura di tipo urbano territoriale »;
B) l'autostrada Palermo-Alcamo-Mazara quale asse di collegamento dell'area palermitana con la parte sud-occidentale dell'area di studio, dove è situato il porto di Mazara, a cui viene affidata la funzione di terminal delle comunicazioni del sistema regionale proiettate verso l'Africa settentrionale.
A ridosso di queste due direttrici vengono ipotizzate la localizzazione dei servizi e delle attrezzature civili di tipo urbano-territoriale, con il compito di vitalizzare la residenza in un sistema insediativo del tipo « città-territorio », nonché l'ubicazione dei nuovi impianti produttivi. La ricostruzione dei comuni da trasferire interamente o parzialmente viene correlata a questo complesso di elementi infrastrutturali; la ricostruzione viene ipotizzata su un disegno ambizioso di nuove strutture insediative aggreganti diverse entità comunali, capaci di modellare rinnovate forme urbane, la cui dimensione sia «congrua a sorreggere la nuova tipologia dei servizi sociali».
Lo schema chiuso ed autonomo, cioè introverso, degli insediamenti preesistenti viene sostituito da uno aperto, impostato sul presupposto di instaurare sul territorio una notevole mobilità tra luoghi di residenza e luoghi di lavoro, tra residenza e servizi. Si può verosimilmente ritenere corretta la valutazione che il documento prodotto il 31 marzo 1968 dal Consiglio superiore del Ministero dei Lavori Pubblici intendeva costruire un riferimento sul quale rapportare i programmi previsti dalla normativa nazionale a carico del Ministero stesso. Diversamente quello prodotto dal CIPE nel novembre del 1969 in attuazione dell'articolo 59 della legge n. 241/1968, assumeva la fisionomia di un véro e pròprio piano di sviluppo, sostitutiva di quello regionale non ancora definito, ed avente la finalità di determìnare i lineamenti di assetto territoriale sui quali formare la nuova organizzazione dell'area.
Si deve sottolineare che, subito dopo il sisma ed a seguito del decreto-legge n. 79/1968 e della legge regionale n. 1/1968, l'indirizzo che emerge dal documento del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici è quello di confermare la scelta del legislatore regionale circa il ruolo della pianificazione comprensoriale nella definizione dell'assetto urbanistico dell'area e di utilizzare la normale disciplina urbanistica per la ricostruzione dei « Comuni soltanto parzialmente danneggiati ».
Il documento, a pagina 41, recita infatti: « Mentre gli ulteriori approfondimenti sul definitivo assetto del territorio dovranno essere svolti a livello comprensoriale e comunale si ritiene possibile avviare, dopo una prima, immediata verifica, la realizzazione del sistema infrastrutturale, la redazione dei piani regolatori dei comuni soltanto parzialmente danneggiati e la definizione dei criteri da seguire per la scelta delle localizzazioni dei nuovi abitati, da ricostruire in sostituzione di quelli totalmente distrutti ». In altra direzione procede il documento CIPE. Il complesso dei provvedimenti e degli interventi doveva essere approntato entro il 31 dicembre 1968; si giunge invece al 20 novembre 1969 dopo un primo esame effettuato 1'11 aprile 1969, mentre sono già defiinti gli studi dell'ISES svolti su commessa dell'Ispettorato generale e sono già in via di approntamento i programmi per il trasferimento degli abitati. Il documento del CIPE ha la finalità di attivare investimenti per opere a carattere prevalentemente infrastrutturale idonee ad avviare la rinascita sociale ed economica dell'area, e di produrre un programma e un capitolo dì spesa per la ricostruzione degli abitati distrutti dal sisma.
In questa ottica l'assetto del territorio costituisce (come del resto abbiamo già detto precedentemente l'indirizzo portante la programmazione economica, mentre non si considera il problema della strumentazione urbanistica su cui fondare la ricostruzione, in quanto si dà per scontato, a motivo dell'epoca in cui fu prodotto, che la maggior parte dei comuni terremotati sia sprovvista di strumenti urbanistici aggiornati. Il carattere di « indirizzo » che distingueva il documento CIPE avrebbe dovuto essere successivamente trasformato in uno strumento prescrittivo con il Piano Territoriale di Coordinamento della Sicilia occidentale; infatti l'Assessorato allo Sviluppo Economico, in data 5 luglio 1969, affidò all'ISES la redazione di detto piano. Questa operazione era concretamente perseguibile in base al Decreto Presidenziale n. 147/A del 26 ottobre 1968, che con l'articolo 1 decretava l'istituzione «presso l'Assessorato dello Sviluppo Economico, di una Commissione con il compito di formulare direttive di massima cui dovevano essere informati i progetti dei piani comprensoriali... nonché di addivenire alla formulazione di un Piano territoriale di coordinamento del territorio interessato ai sensi e per gli effetti degli articoli 5 e 6 della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150». E con l'articolo 3 veniva fissato il termine del 31 dicembre 1969. Il piano, quasi contestuale alle elaborazioni del CIPE, elaborato da un soggetto — l'ISES— che per una convergenza di disposizioni è di intenzioni era presente nell'area anche con studi riguardanti la pianificazione del territorio, rappresentò l'occasione di raccordare le indicazioni programmatiche che si andavano formando sia in sede nazionale come in quella regionale, con la pianificazione comprensoriale da un lato ed i piani di trasferimento dall'altro. Ma quel piano di razionalizzazione delle diverse iniziative, non fu mai approvato dalla Regione.
Vi è solo il suo accoglimento da parte del Comitato tecnico amministrativo regionale nella seduta del 14 giugno 1978, che va inteso esclusivamente come provvedimento amministrativo per la risoluzione dei rapporti instaurati dalla convenzione Regione-ISES. Il progetto del Piano Territoriale di Coordinamento (n. 8) comprende l'intero territorio dei comprensori n. 1, 2, 3, 4, e porzione del. comprensorio n. 5; di quest'ultimo la parte allegata comprende i Comuni di Santa Margherita Belice, Menfi, Caitabellotta, Sciacca (1). Sono incluse le due isole di Favignana e Pantelleria. L'area pianificata, circa il 13 per cento della superficie regionale, vedeva censita nel 1961 una popolazione residente di 564.124 abitanti, e nel 1967 di 577.064 abitanti. Il Piano Territoriale di Coordinamento n. 8 comprendeva tutti i 23 comuni della Provincia di Trapani, 9 della Provincia di Palermo (Balestrate, Borghetto, Camporeale, Giardinello, Montelepre, Partinico, San Cipirello, S. Giuseppe Jato), 6 della Provincia di Agrigento (Caltabellotta, Menfi, Montevago, Sambuca di Sicilia, Santa Margherita Belice).
Il piano si propone di costruire un'intelaiatura territoriale formata da tre sistemi urbani principali, individuati in base a pesi demografici dislocati nei centri maggiori ed in relazione alle infrastrutture esistenti e a quelle progettate. Le previsioni di tendenza in base al sessantennio 1901-1961 portano i pianificatori a stimare per il 1991 una popolazione residente di 633.972 abitanti, con un incremento del 9,86 per cento sul valore del 1967. Il primo sistema fa gravitare i comuni della parte meridionale sui centri di Mazara del Vallo, Castelvetrano e Sciacca; il secondo, relativo al settore occidentale del territorio gravita sui centri di Marsala e Trapani; ed il terzo, riguardante la parte settentrionale, gravita su Partinico ed Alcamo. Il piano mira a stimolare lo sviluppo dei settori produttivi con una serie di opere infrastrutturali riguardanti le comunicazioni, l'approvvigionamento e la distribuzione idrica, la conservazione ed il consolidamento del suolo," ed a sorreggere la distribuzione territoriale degli insediamenti residenziali e produttivi specificando un insieme di ambiti ove collocare le diverse funzióni ed attività, con i relativi servizi. Sostanzialmente non si discosta dagli schemi indicati dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e dal CIPE; solo traccia con maggiore definizione il campo delle localizzazioni infrastrutturali, produttive e delle attrezzature e servizi civili. Conferma altresì l'indirizzo tecnico-politico della città territorio, ed al suo interno cala l'articolazione comprensoriale del sistema progettato.
Tra i documenti esaminati quello che ha determinato, più di ogni altro, l'indirizzo dell'assetto territoriale è dunque quello prodotto dal CIPE nella seduta del 20 novembre 1969. Considerata la data di approvazione e tenuto conto che le elaborazioni dei programmi di trasferimento degli abitati sono state svolte nello stesso periodo in cui veniva formato il programma CIPE, è verosimile ritenere che le due elaborazioni furono svolte contestualmente, influenzandosi a vicenda, e che il quadro di riferimento dell'area sinistrata fu progettato dentro e durante la formazione dei programmi di trasferimento. Lo schema organizzativo ebbe pertanto il valore di una « ipotesi » sulla quale rinforzare l'idea e gli intendimenti concettuali della ricostruzione fisica della zona terremotata. Non aveva, del resto, quel piano di assetto territoriale, l'efficacia prescrittiva propria eli un Piano Territoriale di Coordinamento. L'assenza di un Piano Territoriale di Coordinamento della Sicilia occidentale ha separato l'azione della ricostruzione dalla pianificazione organica del territorio disastrato.
I programmi di trasferimento rispondono ad un autonomo « disegno » della città-territorio, e il disegno ricerca il sostegno della sua «idea» in un generico modello di assetto territoriale, espresso in grandi linee senza verifiche di opportunità alternativa, soprattutto per quel che riguarda il riuso delle aree distrutte e dei centri disastrati. Tuttavia questo limite avrebbe potuto essere ancora superato utilizzando i Piani Urbanistici Comprensoriali, i quali venivano prospettati dalle leggi regionali come strumenti regolatori del territorio, con efficacia prescrittiva ed in relazione ad una sintesi ben equilibrata tra problemi economici e problemi urbanistici. I Piani Urbanistici Comprensoriali assumevano nell'intendimento del legislatore regionale, il ruolo di strumenti cogenti la pianificazione sia a livello comunale che sovracomunale, pertanto ordinatori delle strutture residenziali preesistenti e nuove, dei relativi servizi, delle infrastrutture e degli impianti produttivi. E infatti con lo stesso articolo 3 del decreto presidenziale 174/A ottobre 1968 la Regione affidava alla Commissione istituita per la formazione « delle direttive di massima cui dovranno essere informati i progetti dei piani comprensoriali» il compito di coordinare, con una organicità di indirizzi e di previsioni, la pianificazione comprensoriale. Altro elemento che ha influenzato il modello di assetto territoriale, è stata la dimensione dell'area interessata dall'intervento straordinario. La scelta della Regione Siciliana nel momento in cui ha proposto al CIPE l'allargamento dell'area dagli originari 78 Comuni ai 132 finali, e la motivazione che ha sorretto tale allargamento, determinavano automaticamente un piano di tipo « regionale » nel quale infrastrutture alla grande scala avrebbero dominato l'interesse del programmatore. L'impegno dell'intervento straordinario veniva quindi concentrato anche su tipi di opere che non necessariamente sarebbero state funzionali per ia ricostruzione e la ripresa economica del territorio disastrato. Ci si riferisce in particolare all'indirizzo — per lo meno ambiguo — che fu assunto nella scelta delle caratteristiche funzionali degli assi stradali di grande comunicazione. La nozione su cui si fondava quell'indirizzo fu ritrovata nella logica che, in quell'epoca, affidava alle « grandi » infrastrutture il compito di colmare il divario tra aree economicamente arretrate ed aree soggette ad uno spontaneo sviluppo. Il risultato è stato quello di realizzare disuniformità tra la struttura insediativa progettata per le zone terremotate e la tipologia delle infrastrutture programmate, alcune non complete (vedi asse attrezzato del Belice), di produrre la spiroporzione tra gli oneri sopportati per tali opere e la funzione da esse assolta nel territorio, laddove esistono.
Analisi della pianificazione comprensoriale
(segue -94).
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