Salvatore Giuliano.
Datosi alla macchia dopo aver ucciso un carabiniere (1922-1950),
organizzò nella zona di Montelepre una banda, costituita da un gruppo di suoi compaesani fatti evadere dal carcere di Monreale.
Nel clima di disordine politico e civile dell'immediato dopoguerra, Giuliano riuscì ad estendere l'attività della sua banda a gran parte della Sicilia Occidentale, potendo contare su una vasta rete di complicità e di omertà. Raggiunse la notorietà come ufficiale dell'Esercito volontari per l'Indipendenza siciliana (EVIS), il braccio armato del movimento separatista (MIS). La vicenda del bandito Giuliano è emblematica nel mostrare quelle ambigue connessioni tra ambienti criminali e settori delle istituzioni che saranno al centro di molti altri episodi oscuri della storia italiana.
Essa rivela inoltre come nella competizione politica abbia trovato legittimazione anche l'uso spregiudicato della violenza.
Il nome di Giuliano è associato alla strage di Portella della Ginestra, presso Piana degli Albanesi, dove il primo maggio 1947 la sua banda attaccò i dimostranti che celebravano la festa del lavoro, uccidendo 11 persone e ferendone 33. Giuliano fu utilizzato in funzione conservatrice e contro il fronte delle Sinistre che avevano da poco ottenuto una buona affermazione alle elezioni regionali da uomini politici democristiani e monarchic, i cui interessi risultavano peraltro complementari a quelli dei gruppi mafiosi.
Alcuni documenti desecretati hanno inoltre provato il coinvolgimento, nell'operazione Portella, dell'americano Office Strategic Services (OSS, la futura CIA).
Dopo una lunga latitanza, durante la quale aveva in realtà goduto di una grande libertà di movimento, Giuliano fu ucciso il 5 luglio 1950 dal suo logotenente Gaspare Pisciotta, con la complicità dei vertici delle "Forze repressione banditismo". Il processo che seguì, svoltosi a Viterbo, non chiarì la vicenda; Pisciotta fu condannato all'ergastolo ma, quando probabilmente stava per svelare la verità sui mandanti della strage di Portella, fu ucciso nel carcere palermitano dell'Ucciardone, avvelenato da un caffe alla stricnina.
La strage di Portella sembra insomma configurarsi come la prima strage di Stato della storia italiana.
(Testo ripreso in più parti da un
volume de "La Biblioteca di Repubblica)
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