105 anni fa l'Italia entrava in guerra. Il conflitto fece 700mila morti e lasciò il Paese in una profonda crisi politica, sociale ed economica.
Era un lunedì.
Alle 3:30, precedute dai tiri degli obici, le truppe italiane oltrepassarono il confine italo-austriaco, puntando verso le «terre irredente» del Trentino, del Friuli, della Venezia Giulia. Nel 1918, a guerra finita, un poeta e musicista napoletano, Giovanni Gaeta, più noto con lo pseudonimo di E. A. Mario, trasformò quel momento nella «Leggenda del Piave», una canzone destinata a entrare nella memoria collettiva degli italiani.
Il Paese entrò in guerra divisa tra interventisti e neutralisti, dopo un disinvolto cambio di alleanze, dalla Triplice all'Intesa.
Sulle sponde del Piave e dell'Isonzo, nelle trincee del Carso e della Bainsizza, di Asiago e di Passo Buole, di Caporetto e di Vittorio Veneto lasciò 700 mila morti. Dalla guerra l'Italia ottenne Trento e Trieste, ma ne uscì prostrata, lacerata da una profonda crisi politica, sociale ed economica, che la portò in breve al Fascismo. Eppure la «Grande Guerra», come fu chiamata, è forse l'unica guerra della quale gli italiani abbiano - come si suol dire - una «memoria condivisa»: l'ultimo atto dell'epopea Risorgimentale.
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