Riflessioni laiche
La scommessa sull'esistenza di Dio di BLAISE PASCAL, scienziato, matematico e filosofo, vuole evidenziare che muovendosi da basi matematiche (o di ragione) non si può affermare nulla. Egli parte da presupposti proprie del gioco delle probabilità in quanto, appunto, secondo ragione non si può escludere nessuna delle due ipotesi.
"Valutiamo i vantaggi e gli svantaggi nello scommettere che Dio esiste.
Consideriamo le due possibilità. Se vinci, vinci tutto; se perdi, non perdi niente.
Non esitate, allora, a scommettere che Lui esiste".
L'argomento in verità è costruito in maniera da spingere l'agnostico ad accettare di agire come se fosse credente.
Pascal non indica una via per credere o non credere, bensì un modo matematico, razionale, per agire nella vita.
Egli fra le righe dice: comportati come se credessi, Ti conviene, La Fede poi verrà.
Sta qui la vera scommessa di Pascal.
La probabilità (il calcolo delle probabilità, studiato a scuola) nell'impostazione di Pascal riguarda le nostre credenze e le nostre azioni e non solo gli eventi casuali o il gioco d'azzardo; verosimilmente non aiuta nessuno a credere, ma sta alla base della nostra vita.
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Riflessioni del credente
GIANGRANCO RAVASI, cardinale, arcivescovo, teologo ed ebraista.
Scrive in una sua opera monumentale di commento alla Bibbia: I primi cinque libri della Bibbia compongono un insieme che i giudei chiamano la "legge", la tora.
Genesi: è un "tutto" completo; è la storia degli antenati;
Esodo, Levitico e Numeri: formano un altro blocco in cui, nel quadro della vita di Mosé, sono riferiti la formazione del popolo e l'origine della sua legge sociale e religiosa.
Deuteronomio: ha una struttura particolare: è un codice di leggi civili e religiose inserito in un grande discorso di Mosé.
... A queste tradizioni, che erano il patrimonio vivente di un popolo, che gli davano il sentimento della sua unità e che sostenevano la sua fede, sarebbe assurdo domandare il rigore che userebbe uno storico moderno, ma sarebbe ugualmente illegittimo negare loro ogni verità perchè manca loro questo rigore.
Quelle tradizioni erano il patrimonio vivente di un popolo, che gli davano il sentimento della sua unità e che sostenevano la sua fede, sarebbe assurdo domandare il rigore che userebbe uno storico moderno; ma sarebbe ugualmente illegittimo negare loro ogni verità perchè manca loro questo rigore.
I primi undici cc della Genesi sono da considerare a parte. Descrivono, in modo popolare, l'origine del genere umano; enunciano con uno stile semplice e figurato, quale conveniva alla mentalità di un popolo poco evoluto, le verità fondamentali presupposte dall'economia della salvezza: la creazione da parte di Dio all'inizio dei tempi, l'intervento speciale di Dio che forma l'uomo e la donna, l'unità del genere umano, la colpa dei nostri progenitori, la decadenza e le pene ereditate che ne furono la sanzione. Ma queste verità che ne formano il dogma e sono assicurate dall'autorità della Scrittura, sono nello stesso tempo fatti e, se le verità sono certe, implicano fatti che sono reali, sebbene non possiamo assicurarne i contorni sono il rivestimento mitico che è stato loro dato, secondo la mentalità del tempo e dell'ambiente.
La storia patriarcale è una storia di famiglia: raduna i ricordi che si conservano degli antenati, Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe. E' una storia popolare che si sofferma sugli aneddoti personali e sui tratti pittoreschi, senza alcuna preoccupazione di unire questi racconti alla storia generale. E' , infine, una storia religiosa: tutte le svolte decisive sono segnate da un intervento divino e tutto vi appare come provvidenziale: concezione teologica vera da un punto di vista superiore, ma che trascura l'azione delle cause seconde; inoltre i fatti sono introdotti, spiegati e raggruppati per dimostrare una tesi religiosa: c'è un Dio che ha formato un popolo e gli ha dato un paese; questo Dio è Jahve, questo popolo è Israele, questo paese è la terra santa. Ma questi racconti sono storici nel senso che narrano, alla loro maniera, avvenimenti reali,; danno un immagine fedele dell'origine e delle migrazioni degli antenati di Israele, dei loro legami geografici ed etnici, del loro comportamento morale e religioso. I sospetti che hanno circondato questi racconti dovrebbero cedere davanti alla testimonianza favorevole che loro apportano le scoperte recenti della storia e dell'archeologia orientali.
Dopo una lacuna molto lunga, l'Esodo e i Numeri, che hanno una eco nei primi cc del Deuteronomio, raccontano gli avvenimenti che vanno dalla nascita alla morte di Mosé: l'uscita dall'Egitto, la sosta nel Sinai, la salita verso Kades, il cammino attraverso la Transgiordania e l'installazione nelle steppe di Moab. Se si nega la realtà storica di questi fatti e della persona di Mosè, si rendono inesplicabili il seguito della storia di Israele , la sua fedeltà allo Jahvismo, il suo attaccamento alla Legge. Si deve però riconoscere che l'importanza di questi ricordi per la vita del popolo e l'eco che trovano nei riti hanno dato ai racconti il colore di una gesta eroica (così il passaggio del Mare Rosso) e talvolta di una liturgia (così la pasqua). Israele, diventato un popolo, fa allora il suo ingresso nella storia generale e, sebbene nessun documento lo menzioni ancora nella stele del faraone Merneptah, ciò che la Bibbia dice concorda, nelle grandi linee, con ciò che i testi e l'archeologia ci insegnano sulla discesa di gruppi semitici in Egitto, sull'amministrazione egiziana del Delta, sullo stato politico della Transgiordania.
Il compito dello storico moderno è di confrontare questi dati della Bibbia con i fatti della storia generale. Con le riserve che impongono l'insufficienza delle indicazioni della Bibbia e l'incertezza della cronologia extra-biblica, si potrà dire che Abramo visse in Canaan verso il 1850 a.C.; che Giuseppe fece carriera in Egitto e che altri "figli di Giacobbe" lo raggiunsero un pò dopo il 1700. Per la data dell'esodo, non possiamo fidarci delle indicazioni cronologiche di 1 Re 6,1 e Gdc 11,26, che sono secondarie e provengono da computi artificiosi. Ma la Bibbia contiene una indicazione precisa: secondo il testo antico di Es 1,11, gli ebrei hanno lavorato alla costruzione delle città-deposito di Pitom e di Ramses. L'esodo è dunque posteriore al regno di Ramses II, che fondò la città di Ramses. I grandi lavori vi cominciarono dall'inizio del suo regno ed è verosimile che l'uscita del gruppo di Mosè ebbe luogo nella prima metà di questo lungo regno (1290-1224), diciamo verso il 1250 a.C. o poco prima. Se si tiene conto della tradizione biblica su un soggiorno nel deserto durante una generazione, l'installazione in Transgiordania si potrebbe collocare verso il 1225 a.C. Queste date sono conformi alle informazioni della storia generale sulla residenza dei faraoni della dinastia XIX nel delta del Nilo, sull'indebolimento del controllo egiziano in Siria-Palestina alla fine del regno di Ramses II, sui turbamenti che scossero tutto il vicino Oriente alla fine del sec, XIII. Esse si accordano con le indicazioni dell'archeologia sull'inizio dell'età del ferro, che coincide con l'installazione degli israeliti in Canaan.
Pentecoste
di Silvano Fausti
(1940-2015), gesuita, è stato docente di Teologia
"Lingue come di fuoco". Il fuoco è divino, è simbolo del sole, che dà la vita, ci riscalda, fa vedere. Queste lingue si dividono. Il fuoco è uno, ciascuno lo riceve, ma lo ricevono tutti insieme, nessuno da solo.
Vuol dire che ognuno ha un dono particolare di Dio; che tu sei sì diverso dall'altro, ma ricevi lo stesso fuoco.
Tu hai questa lingua, lo esprimerai in questo modo, l'altro diversamente. E' la Prima lettera ai Corinzi 12 che spiega queste cose. Per cui si fsa la comunione nin facendo la confusione tra tutti come a Babele -che vuol dire uccidere l'individualità, uccidere le persone, uccidere l'amore -ma nell'amore, e l'amore suppone la distinzione, la differenza, quindi si fa comunione nella differenza.
Il pericolo costante anche dei gruppi cristiani, di tutti i movimenti, è di avere il "monopensiero" del leader e di trovarsi tutti intruppati, ma questo non è più cristianesimo. Quello tutto a norma con decreti decretini, ecc. non è più cristianesimo. Se non c'è più il rispetto di tutte le diversità, c'è la torre di Babele, un pò come dice l'Apocalisse 13, dove si parla della bestia e a un certo punto si dice che chi non aveva il nome della bestia sulla mano e sulla fronte non poteva andare al mercato; se non pensi come la bestia, se non sei omologato a tutti gli altri, se non agisci come loro, non puoi vivere.
C'è una cosa che va ulteriormente sottolineata, ed è questa divisione e distribuzione delle lingue di fuoco su ciascuno che riempie però tutti; è una visione della vita celeste di cui parla, mi pare, santa Teresa d'Avila, quando dice di aver visto calici di misura e di fogge diverse, ma tutti ugualmente pieni. Si comincia a vedere -e lo si vedrà poi in tutto il libro degli Atti- una celebrazione della differenza, in sè positiva, di non facile composizione, di non facile accettazione.
Anche la vita è solo nella differenza e lo stesso amore è solo nella differenza. Se no è narcisismo, cioè amare lo specchio di sé e annegare in se stessi, ma così finisce anche la vita biologica.
C'è un tentativo che in fondo è il tentativo originario, quello di Adamo, di non accattare Dio, di rifiutare la differenza di essere figlio, oppure anche quello di nascondersi con foglie di fico, perchè non si accetta di essere diversi e si ha paura.
Uno vorrebbe essere l'altro e invece è diverso; la vita è data dal fatto che siamo diversi, se no non è vita; e siamo ad immagine di Dio perchè siamo diversi, non perchè Dio è maschio o Dio è femmina; ma perchè la diversità in comunione è Dio. La comunione, l'amore, la vita, la fecondità, il dono di sé: questo è Dio.
Togliendo la diversità si toglie la possibilità di Dio sulla terra; si toglie la possibilità dell'umanità sulla terra. Diventiamo tutti dei replicanti e basta. Che è l'ideale che vorrebbero tutte le religioni, e anche tutti i politici; soprattutto il mercato che governa tutti; e invece no.
Tra l'altro, faccio notare una cosa: si compiono i giorni, come si compiono le Scritture; si riempie la casa: la stessa parola; poi si riempie tutti e ciascuno dello Spirito, tutto pieno tutto pieno, e poi questo trabocca; "tra-bocca" dalla bocca, in parole e testimonianza.
Sono molto belle queste immagini. E' il compimento della Scrittura. Ormai siamo noi stessi il compimento della Scrittura, perchè siamo pieni di quella Parola che ci ha trasformato, come dice Paolo in 2Cor 3,3: "Siete voi la mia lettera scritta non da inchiostro, non su carta o su tavole di pietra ma su un cuore di carne".
Siamo noi stessi la lettera di Dio, cioè la nuova legge, cioè Dio stesso.
"E iniziarono...". Anzi, principiarono; la parola è archè: ciò che Gesù principiò a fare e a dire fin dall'inizio, adesso principiano anche loro, è il nuovo principio che è entrato in noi. Ciò che principiò Gesù fin dal principio, ora principia anche in noi in forza dello stesso Spirito.
Attraverso il "si" di Maria, e il nostro "si" che è la preghiera, l'attesa, lo stare insieme, Gesù si fa carne in noi, e possiamo testimoniarlo perchè abbiamo il suo stesso Spirito. Se no, testimoniamo noi stessi.
Non è la glossolalia. Qui parlano "altre lingue", cioè lingue vere che non sono le proprie. Il che vuol dire "rispetto delle diversità": ci si intende ognuno nella propria lingua oppure dicendo le stesse cose. Che cosa vorrà dire questo ?
Vuol dire una cosa molto semplice: c'è una lingua che tutti capiscono e la lingua che tutti capiscono è l'amore. Lo si capisce in tutte le lingue, anche senza parole.
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