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martedì 12 maggio 2020

500 anni e li dimostra. L'iniziale vita sui feudi non fu mai felice; c'è -oggi- fin troppa letteratura che aggiusta certa narrazione (5)

In giro, fra Medio Evo ed Evo Moderno.

Abbiamo in più occasione negato sul Blog che sul territorio che oggi definiamo "contessioto" siano mai arrivati nobili albanesi, parenti e/o discendenti di chissà quale principe o benestante di quei secoli piuttosto bui.

Ai nostri giorni disponiamo di documentazioni che probabilmente nei secoli passati non erano reperibili. Di fondamentale importanza sono i "riveli" che fotografano chi erano, cosa possedevano e cosa facevano gli arbëreshe che vivevano nei nostri attuali spazi nel '500-600, ossia già in epoca moderna (dopo l'avvenuta scoperta dell'America e dopo il crollo dell'Impero Romano d'Oriente).
D'altrone esiste un interessante e prezioso testo del prof. Matteo Mandalà che riporta a verità storica e soprattutto a verità logica la vicenda degli arbëreshe che nel XV-XVI secolo fuggono in massa dai Balcani e scelgono l'Italia Meridionale, che in verità non era proprio la patria dei benestanti, o per lo meno lo era soprattutto e solamente per i "baroni" e per i loro ufficiali e collaboratori. 
Baroni che allora in Sicilia erano assetati di manodopera per i loro domini, più disabitati e spopolati che mai a causa delle guerre continue ed intestine.

Per sfatare l'idea degli arbëreshe benestanti che vengono chiamati ad insediarsi in quest'angolo di Sicilia come principi e pari dei Kastriota basta consultare il primo "rivelo" svoltosi a Contessa. Si tratta di documenti -per fortuna- ancora discretamente conservati a Palermo. Nulla lascia intravedere che si trattasse di benestanti. Un solo nucleo familiare -in verità- risulta ben dotato di risorse notevoli e multiple su più versanti (proprietario di centinaia di capi di bestiame bovino, tantissimi ovini e ampie abitazioni su terreni comunque ottenuti a censo dai Cardona). Per detenere quelle consistenti mandrie di bestiame ovviamente quella famiglia 2unica benestante" aveva in via del tutto privato un accordo col barone locale, unico ed assoluto gestore di tutti i feudi che oggi costituiscono il territorio di Contessa. Nulla a che fare aveva quella famiglia con i "capitoli" che avevano coinvolto nel 1520 -sotto più aspetti- l'intera comunità. 
Immagine da presepe vivente
in Piana degli Albanesi


Che quella famiglia stesse male qui, che non si riconoscesse nel contesto che era stato disegnato dai "capitoli" a Contessa, lo dimostra la circostanza che al successivo rivelo di essa e del suo apprezzabile benessere e patrimonio non c'è più traccia.

Fra un rivelo e l'altro furono tanti, troppi, gli arbëreshe che dopo essere giunti fin qui andarono via dall'allora niente affatto felice mondo locale. 
Alcuni risultano siano emigrati o a Palazzo Adriano o a Piana degli Albanesi e -per quanto ne sappiamo- poi da lì -i pochissimi benestanti- si trasferirono ulteriormente altrove.
Queste circostanze -all'attenta lettura dei capitoli- smentiscono il racconto che per decenni, anzi secoli, ha riferito della ottima accoglienza da parte dei baroni che (persino) pagavano i viaggi per buon animo e disinteressatamente ai profughi arbëreshe. 
La realtà è quindi che i baroni avevano necessità di manodopera. Questo è quanto dobbiamo proporci di leggere e riferire in termini storiografici. Il resto non ha riscontro.

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