Gli avvenimenti avvenuti in più parti del pianeta fra il 1965 e il 1970 trasformarono ovunque il modo di vivere. Il 1968, noi contessioti e residenti nella Valle del Belice lo ricordiamo per il grave terremoto che sconvolse e affossò la società contadina che qui durava dall'epoca greca. In realtà il 1968 passò come una tempesta culturale, mediatica e sociale in tutte le parti del mondo.
Gli inizi cominciarono col 1965 e si protrassero fino al 1970.
Perchè di quel periodo non si perda memoria ci proponiamo di riportare alcuni ricordi su vari aspetti di vita presenti in quel tempo, attingendo soprattutto a stralci di giornali finora conservati. Lo faremo a modo di flash.
Seguiremo per alcune pagine cosa accadeva nei potentati delle facoltà di medicina e poi nelle altre facoltà. Tanti professori dedicavano il tempo ai loro affari privati piuttosto che all'insegnamento.
Leggere il N. 1 (piggiare)
^^^^^
I BARONI
I BARONI
Le premesse del malessere erano già state denunciate tre/quattro anni prima del '68 quando più inchieste avevano riportato sui giornali i mali degli atenei e denunciato la vita dei "baroni", come venivano definiti i potenti delle Università.
"La giornata di un professore universitario è pesante. C'è l'Università, la ricerca, l'insegnamento, lo studio, l'aggiornamento, i concorsi, le scuole di specializzazione. In teoria il professore universitario è vittima della società: la sua giornata dedicata all'insegnamento, la sua vita spesa al servizio della scienza. In teoria non ha tempo per nulla che non sia l'istituto, gli allievi, l'aula delle lezioni e i laboratori di ricerca. La sua figura coincide con il vecchio cliché dell'uomo dedito allo studio, alle provette, al sapere".
Sembra un'agiografia intorno alla vita del professore. Era tutto vero ? No.
Un clinico universitario doveva, avrebbe dovuto, dirigere un istituto di clinica con i malati oggetto diretto della ricerca.
La polmonite (bronco-polmonite) per il patologo dovrebbe essere il risultato di un complesso sistema di cause e il suo obiettivo è, sarebbe, quello di descrivere il quadro generale del fenomeno.
Per il clinico invece la polmonite è "quella polmonite", la polmonite di quel singolo individuo e non tanto la malattia in sé ad interessarlo quanto il rapporto fra la malattia e l'uomo.
Proseguiamo dai giornali del tempo.
Perchè una clinica universitaria abbia successo dovrà avere in cura non più di trenta malati, scelti dagli aiuti e dagli assistenti anziani del professore negli ospedali della città, selezionati fra i casi più interessanti, degni di studio, su cui, fatta la diagnosi, sperimentare nuove terapie e farmaci. Ogni mattina il professore entrando nel suo regno, la clinica, discuterà con i propri aiuti ed assistenti i casi, le rilevazioni, le analisi, l'andamento di ogni malattia. Calcoliamo dieci minuti di visita a malato; per seguirne trenta saranno necessari trecento minuti, cinque ore.
Ma la clinica non è l'unica attività di un professore universitario. Ve ne sono altre dodici tutte ugualmente indispensabili, tutte fondamentali, irrinunciabili, legate all'attività didattica e scientifica.
1) Le lezioni universitarie. Un'ora e mezza a giorni alterni.
2) Le esercitazioni condotte dagli aiuti e dagli assistenti. Una esercitazione è da ritenere discreta se attorno all'ammalato non si stringono più di dieci studenti.
3) La ricerca scientifica. Esaminare con occhi nuovi i casi più impegnativi, sperimentando nuovi farmaci, nuove tecniche, nuove cure. Oggi le diagnosi non si fanno più ad occhio ma con l'intervento dei laboratori: referti radiologici, clinici, metabolismo, radioisotopi. Indispensabile l'uso degli animali da esperimento.
4) L'aggiornamento. In un solo campo escono almeno dieci riviste internazionali che un ricercatore attento deve seguire.
5) Le pubblicazioni dell'Istituto. Ogni articolo, ogni lavoro scritto da un membro dell'Istituto reca il "visto si stampi" del professore.
6) Gli esami. Tre esami con due appelli a giugno e a ottobre seguiti, per legge, direttamente dal titolare della cattedra.
7) Gli esami di laurea. Una materia principale non ha mai meno di venti laureati l'anno. Una tesi ha un lavoro che dura almeno due anni che lo studente porta avanti con i consigli del professore.
8) scuola di specializzazione. Almeno venti lezioni l'anno.
9) Libere docenze Dai 50 ai 70 candidati ogni anno con quaranta lavori a testa a livello scientifico che il professore deve leggere attentamente.
10) I concorsi di cattedra che si prolungano per mesi e mesi.
11) I congressi nazionali ed internazionali dove il professore interviene con lavori propri o dell'istituto.
12) Le sedute di facoltà
Una massa di lavori e di impegni (in teoria). La realtà era molto diversa. Nelle cliniche universitarie vi erano dai 100 ai 120 ricoverati che avrebbero richiesto al professore venti ore di visita. Era quindi impossibile visitarli.
Quando il professore arrivava (alle 8,00?) in facoltà lo attendevano in prima fila gli aiuti e uno stuolo di assistenti (da 30 a 60). Una folla in camice bianco.
Alle 10,oo il professore dava già segni di impazienza e con l'automobile dell'università andava via. Aveva già concluso il rituale in un ambiente e atmosfera cortigianesca e nel corso della giornata, da barone, si sarebbe dedicato agli affari suoi.
Accadeva alla Facoltà di Medicina; non diversa era la situazione nelle altre facoltà, fatte le debite differenze.
7) Gli esami di laurea. Una materia principale non ha mai meno di venti laureati l'anno. Una tesi ha un lavoro che dura almeno due anni che lo studente porta avanti con i consigli del professore.
8) scuola di specializzazione. Almeno venti lezioni l'anno.
9) Libere docenze Dai 50 ai 70 candidati ogni anno con quaranta lavori a testa a livello scientifico che il professore deve leggere attentamente.
10) I concorsi di cattedra che si prolungano per mesi e mesi.
11) I congressi nazionali ed internazionali dove il professore interviene con lavori propri o dell'istituto.
12) Le sedute di facoltà
Una massa di lavori e di impegni (in teoria). La realtà era molto diversa. Nelle cliniche universitarie vi erano dai 100 ai 120 ricoverati che avrebbero richiesto al professore venti ore di visita. Era quindi impossibile visitarli.
Quando il professore arrivava (alle 8,00?) in facoltà lo attendevano in prima fila gli aiuti e uno stuolo di assistenti (da 30 a 60). Una folla in camice bianco.
Alle 10,oo il professore dava già segni di impazienza e con l'automobile dell'università andava via. Aveva già concluso il rituale in un ambiente e atmosfera cortigianesca e nel corso della giornata, da barone, si sarebbe dedicato agli affari suoi.
Accadeva alla Facoltà di Medicina; non diversa era la situazione nelle altre facoltà, fatte le debite differenze.
Nessun commento:
Posta un commento