Come può un Blog modesto come il nostro rievocare un fatto della Storia che è capitato sul nostro territorio oltre mezzo secolo fa e di cui in tanti (politici, politicanti e istituzioni) vanno perdendo la memoria e con la memoria persa non riescono a collegare i tanti perchè dei doveri a cui dovrebbero accudire ?
Un modesto Blog come il nostro prova, tenta di stimolare ad amare l'impegno politico e per far ciò stimola chi è interessato a ricordare; è importante ricordare -soprattutto per chi- riveste compiti istituzionali ed ha doveri verso la società. Da ogni evento riteniamo noi bisogna trarre lezione ed operare in conseguenza. Riportiamo queste riflessioni pur sapendo benissimo che viviamo in tempi di "populismo" trionfante sui social e non solo sui social. Però, come non rilevare che dopo una pandemia che dura da un anno, il governo per impiegare 200 e più miliardi ha sortito alla vigilia di depositare le carte (fra meno di due mesi) 13 paginette su come ... spendere ? e appena poche ore fa le ha ampliate da 13 paginette in qualcosa più di 200-300 pagine, ovviamente senza dettagli e precise destinazioni? Ed ancora deve essere coinvolto il Parlamento ?
Poi ci chiediamo, a fondi esauriti, dove sono finiti gli impieghi ? Poi leggiamo che il governo francese ha pronti non solo i programmi ma pure i progetti, la Germania ha già depositato il tutto e così altri paesi.
In mezzo secolo dalla vicenda Belice l'Italia pare non abbiamo imparato nulla.
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Estratti dalla
RELAZIONE DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE
D'INCHIESTA SULL'ATTUAZIONE DEGLI INTERVENTI PER LA RICOSTRUZIONE
E LA RIPRESA SOCIO - ECONOMICA DEI TERRITORI DELLA VALLE DEL BELICE
COLPITI DAI TERREMOTI DEL GENNAIO 1968
(Istituita con legge 30 marzo 1978, n. 96)
LE PROPOSTE PER UNA INCHIESTA PARLAMENTARE SULL'ATTUAZIONE DEGLI INTERVENTI PER LA RICOSTRUZIONE E LA RIPRESA SOCIO-ECONOMICA DELLA VALLE DEL BELICE NELLA 5a , 6a LEGISLATURA —
LA COSTITUZIONE DELLA COMMISSIONE
Cominciavano ad affiorare già allora i primi segni dei ritardi nell'opera di ricostruzione che — sommandosi a quelli riscontrati negli interventi urgenti di pronto soccorso — avevano generato nell'opinione pubblica uno stato di turbamento, interrogativi e dubbi. Quelle proposte non furono mai esaminate e decaddero con la fine della legislatura. Peraltro, all'indomani delle elezioni politiche generali del maggio 1972, alcuni deputati del Movimento Sociale ripresero l'iniziativa con la proposta di legge n. 706, presentata il 7 agosto 1972. Passarono tre anni e mezzo senza che questo provvedimento venisse preso in esame, poi, nei primi mesi del 1976, seguirono quattro nuove proposte contrassegnate rispettivamente dai numeri 4294, 4232, 4283, 4289, ad iniziativa di deputati liberali, comunisti, democristiani e missini. La Commissione Lavori pubblici della Camera dei Deputati iniziò l'esame delle proposte di legge senza potere esaurire i propri lavori a causa della fine della legislatura e delle elezioni politiche anticipate del giugno 1976. Tuttavia la convinzione dell'opportunità di una inchiesta parlamentare sulla vicenda della ricostruzione del Belice aveva fatto breccia in tutti i settori dello schieramento politico, a fronte di ritardi sempre più gravi e di disfunzioni sempre più accentuate nel sistema complessivo degli interventi e delle provvidenze per la ricostruzione e la ripresa socio-economica delle zone terremotate. Così, tra l'agosto ed il settembre 1976, tre nuove proposte di legge videro la luce ad iniziativa di deputati democristiani (primo firmatario Fon. Costamagna), comunisti (primo firmatario l'on. Di Giulio), del Movimento sociale (primo firmatario l'on. Almirante). Nella seduta del 17 dicembre 1976 la Commissione Lavori Pubblici della Camera dei deputati iniziò l'esame congiunto — in sede referente —delle diverse proposte. Come nella precedente legislatura, subito dopo la relazione del deputato Borri, venne nominato un Comitato ristretto per la redazione di un testo unificato. Il Comitato esaurì il suo compito in due mesi, ed il 2 marzo 1977 la Commissione licenziò il provvedimento dando mandato al relatore di riferire favorevolmente all'Assemblea. In due sedute, il 4 e il 5 maggio 1977, la proposta di legge venne discussa ed approvata con una maggioranza di 315 voti favorevoli e 32 contrari. Presso il Senato l'iter del disegno di legge fu inizialmente molto rapido: già il 12 maggio, si ebbe il deferimento alla Commissione Lavori pubblici in sede referente, previ pareri delle Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia; il 17 maggio, intervenne il parere della Commissione Affari costituzionali (1), favorevole con alcune osservazioni — non di merito — vertenti sulla dubbia correttezza costituzionale del proliferare di Commissioni bicamerali e sugli effetti negativi che il moltiplicarsi di questi organi può avere ai fini della migliore organizzazione dei lavori del Parlamento; il 26 maggio, quello della Commissione giustizia, favorevole senza riserve al disegno di legge. Il 1° giugno l'8a Commissione esaminò il provvedimento dando mandato al relatore Pitrone di riferire in senso favorevole all'Assemblea. Solamente il 24 marzo 1978 l'Assemblea di Palazzo Madama — dopo un rapido dibattito nel corso del quale tutti i gruppi parlamentari si dichiararono favorevoli all'inchiesta — approvò il provvedimento. Nacque così la legge 30 marzo 1978, n. 96: « Istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta sull'attuazione degli interventi per la rico-struzione e la ripresa socio-economica dei territori della Valle del Belice colpiti dai terremoti del gennaio 1968 ». Il 13 aprile 1978 la legge fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale; dal giorno successivo, secondo la disposizione contenuta nell'articolo 6, sorse l'obbligo di dare vita alla Commissione d'inchiesta, al fine di « accertare come gli organi centrali e periferici dell'Amministrazione dello Stato, degli enti locali e di altri enti pubblici o a partecipazione pubblica che hanno operato per la ricostruzione e la ripresa economica e sociale delle zone della Sicilia colpite dai terremoti del 1968 abbiano dato esecuzione alle leggi e alle disposizioni amministrative in materia ». Il primo adempimento fu la designazione quali commissari inquirenti di quindici deputati e quindici senatori. In data 13 luglio 1978 i Presidenti della Camera e del Senato annunciarono alle rispettive Assemblee la composizione della Commissione (1). Il 4 ottobre 1978 la Commissione si riunì per la prima volta ed elesse al suo interno l'Ufficio di Presidenza: Presidente il deputato Ascari Raccagni; Vice Presidenti i senatori Lugnano e Rizzo; Segretari il deputato Vizzini ed il senatore Segreto.
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CAPITOLO II
L'EVENTO SISMICO DEL 1968
Va premesso che il terremoto è stato seguito, a breve distanza di tempo, da tre studi, di cui non si trova traccia nella documentazione acquisita dalla Commissione presso gli enti che intervennero a seguito del sisma. Due di essi sono stati condotti dal Centro di Studio per la Geologia Tecnica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, di cui il primo appena un mese dopo il terremoto. È strano che a questo Centro di studio, che ha sede presso la Facoltà di Ingegneria 'dell'Università di Roma, non siano pervenute richieste volte ad acquisire informazioni ed esperienze in ogni caso utili per le ricerche avviate sull'idoneità dei siti. Queste due relazioni sono: Bosi, Cavallo e Manfredini, « Il terremoto della Valle del Belice del gennaio 1968 »; Bosi, Cavallo, Francaviglia, « Aspetti geologici e geologico-tecnici del terremoto della Valle del Belice del 1968 ». Alle due relazioni si deve aggiungere una ricerca sismologica ad opera di De Panfilis e Marcelli, edita nel giugno 1968, « Il periodo sismico della Sicilia occidentale iniziato il 14 gennaio 1968 ». Bisogna inoltre premettere che la regione colpita dal terremoto non era classificata sismica agli effetti delle vigenti disposizioni di legge, per cui non esisteva al riguardo alcun vincolo urbanistico. In aree molto vicine, tuttavia, eventi sismici si erano verificati in passato: — nel 1957 alcune scosse sismiche furono accertate in un'ampia zona con intensità V° grado scala Mercalli a S. Margherita Belice e Sambuca, con intensità III0 a Montevago e Salaparuta, con intensità II0 a Menfi; — nel 1953 nella zona di Corleone; — nel 1851 a Salemi, Calatafimi, Vita, Gibellina, ecc.; — nel 1816-17 alcune scosse furono registrate a Sciacca con effetti anche a Menfi e Sambuca di Sicilia; — nel 1740 a Sciacca e Salemi. Il terremoto che ha colpito la Valle del Belice nel 1968 si è estrinsecato con una serie di scosse aventi le caratteristiche di un vero e proprio periodo sismico. La prima, avvenuta alle 13,29 del 14 gennaio, è stata valutata tra il VI° grado e mezzo ed il VI P e mezzo della scala Mercalli. A questa se ne aggiunsero altre quattro, tra le 13,29 e le 16,50 dello stesso giorno, di cui l'ultima valutata d'intensità poco superiore al VI P grado. Il giorno dopo altre scosse colpirono la Valle del Belice con intensità compresa tra il IV° ed il IX° grado. L'evento manifestatosi circa alle ore 3,02 del 15 gennaio fu il più catastrofico.
L'attività sismica continuò in seguito con alterna frequenza ed intensità anche nei mesi successivi (1). In totale, dal 14 gennaio al 10 giugno dello stesso anno, vennero registrate circa 300 scosse che hanno permesso di localizzare 23 epicentri stimando, di alcuni, anche la profondità ipocentrale. I principali dati sono riportati nelle tabelle delle pagine 42 e 44, ricavate da un accurato esame di De Panfilis e Marcelli (1968) e di Marcelli e Pannocchia (1971). In base ai dati sopra citati, è stata ricostruita una carta delle isoblabe, una carta cioè dove ogni linea rappresenta l'unione dei punti aventi un uguale « indice di danneggiamento globale ». La corrispondenza tra le isoblabe e le isosiste, più comunemente usate nello studio dei terremoti e che sono espresse in linee di uguale grado di intensità, è la seguente: isoblaba 0,995 = isosista del X grado Mercalli;
isoblaba 0,375 = isosista del IX-X grado Mercalli;
isoblaba 0,075 = isosista del VII-VIII grado Mercalli;
isoblaba 0,010 = isosista del VII grado Mercalli;
isoblaba 0,001 = isosista del VI o V-VI grado Mercalli.
Da questo confronto emergono intensità più elevate di quelle dette in precedenza in quanto le isoblabe tengono conto dei danni provocati da più scosse. Dalla carta delle isoblabe riportata a pag. 45, appare evidente che l'area maggiormente danneggiata dal sisma si estende nella Valle del Belice, ed in particolare in corrispondenza del suo versante occidentale, con punto centrale l'abitato di Salaparuta.
(1) In base a dati ufficiali forniti dalle Prefetture di Agrigento, Palermo e Trapani, perirono sotto le macerie o per lesioni conseguenti al sisma 369 persone; i feriti furono 601.
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PARTE II
L'ATTUAZIONE DEGLI INTERVENTI
PER LA RICOSTRUZIONE DELLE ZONE TERREMOTATE
CAPITOLO I
GLI ENTI DI INTERVENTO
Premessa.
La disciplina degli interventi in caso di calamità naturali e di catastrofe è sempre definita da due tipi di norme: da un lato quelle intese a preordinare forme e modalità dell'intervento pubblico nell'eventualità che un evento calamitoso si verifichi, dall'altro quelle successive al verificarsi della catastrofe, che tendono a dare attuazione alle previsioni generali ed adeguare consistenza e modalità dell'intervento pubblico alla specificità delle singole situazioni. Nell'ordinamento italiano, le norme del primo tipo sono essenzialmente quelle della legge 8 dicembre 1970, n. 996, della quale sarà opportuno riassumere brevemente il contenuto ricordando anzitutto che la competenza per l'organizzazione dei servizi di protezione civile è affidata alla Amministrazione dell'interno, la quale predispone i piani relativi, di intesa con le altre amministrazioni civili e militari dello Stato e con il concorso degli enti pubblici territoriali e istituzionali, anche sulla base degli studi e delle proposte di un apposito Comitato interministeriale. Si tratta essenzialmente della predisposizione a titolo preventivo, di servizi di emergenza, di soccorso e di assistenza; per impartire le direttive generali necessarie, il Ministero degli Interni si avvale dei Commissari di Governo presso le Regioni. Al prodursi dell'evento calamitoso, poi, è sempre l'Amministrazione dell'interno che assume la direzione ed attua il coordinamento delle attività delle diverse amministrazioni, salvi i poteri delle Regioni ad autonomia speciale (che hanno competenza in materia di servizi antincendi e di opere di pronto soccorso). Alla dichiarazione di catastrofe o di calamità naturale provvede invece il Presidente del Consiglio dei Ministri, salvo che si tratti di evento di limitata gravità (ove siano cioè sufficienti gli interventi degli enti territoriali e degli organi ordinari della protezione civile). A seguito di tale dichiarazione, il Ministro dell'interno assume la direzione dei servizi e degli interventi di soccorso al fine di assicurarne la tempestività e il coordinamento. Sótto la sua direzione opera il Commissario (nominato dal Presidente del Consiglio per dirigere i servizi sul posto, attuare direttive generali e svolgere opera di coordinamento) impiegando, se necessario, anche reparti militari appositamente richiesti, ma utilizzando soprattutto il corpo nazionale dei Vigili del fuoco, i cittadini che offrono volontariamente la loro opera, nonché i centri assistenziali di pronto intervento appositamente costituiti.
Il compito istituzionale di provvedere ai lavori di carattere urgente ed inderogabile dipendenti da necessità di pubblico interesse determinate da eventi calamitosi è passato alle Regioni, mentre sono rimaste di pertinenza dello Stato (ma delegate alle Regioni) le opere pubbliche di soccorso, ricostruzione e rinascita dei territori, quando si tratti di calamità particolarmente gravi per estensione ed entità. Al Ministero dell'Interno è riconosciuto anche il potere di curare la realizzazione delle opere di urgente necessità e delle attrezzature occorrenti per la protezione della popolazione civile. Si può quindi, dire che il sistema delineato dalla legge n. 996 del 1970 evidenzia una notevole innovazione rispetto al vecchio sistema centralistico, in cui la competenza del Ministero dei lavori pubblici era prevalente anche nella fase dei primi interventi di soccorso. Sotto questo aspetto la nuova normativa sulla protezione civile è, in senso temporale, una sorta di spartiacque che divide due periodi ben distìnti: quello della prevalenza dell'amministrazione centrale, e l'altro dove è preponderante e determinante è invece il ruolo delle autonomie regionali e locali. L'intervento successivo al terremoto nel Friuli, se confrontato a quello nelle zone del Belice, dà la misura di questo radicale mutamento; anche se con talune deroghe, specie per quanto riguarda i poteri del Commissario per le zone terremotate, la falsariga tracciata con la legge n. 996 è stata nel caso del Friuli, pienamente seguita, attribuendosi alla Regione, con la legge dello Stato n. 546 del 1977, il compito di definire con proprie leggi direttive per l'opera di risanamento e ricostruzione nonché per la formazione di un piano regionale di sviluppo economico e sociale, articolato in piani annuali e in piani comprensoriali. Ben diversamente sono andate le cose nel Belice dopa la catastrofe sismica del gennaio 1968. L'interpretazione centralistica del sistema degli interventi e degli aiuti era allora, 1968, prevalente, e tale restò per diversi anni ancora. Infatti solamente con la legge », 178 del 1976 si sono tradotti in norme operative per il Belice i nuovi indirizzi i» materia di catastrofi e calamità naturali. Innanzitutto, nella fase dell'emergenza immediata, fu riproposto il meccanismo del decreto4egge 9 dicembre 1926, n. 2389 e del decreto legislativo 12 aprile 1948, n. 1010 (affidamento dei servizi dì pronto soccorso al Ministero dei lavori pubblici e iscrizione dello stanziamento corrispondente nel capitolo gestito dal Provveditorato regionale alle opere pubbliche di Palermo). Successivamente, con l'istituzione dell'Ispettorato Generale per le zone terremotate, si è praticamente svuotata la competenza regionale e comunale specie per quanto riguarda la normativa ur^ banistica. In altri termini, durante questa prima fase del dramma del Belice, l'Amministrazione centrale, in virtù dei compiti ad essa attribuiti in dipendenza di calamità pubbliche, si muove nel senso di esercitare poteri e funzioni spettanti invece, secondo l'articolo 14 dello statuto, in via primaria alla Regione Sicilia.
L'Amministrazione dei lavori pubblici. Veniamo ora all'individuazione degli enti e uffici pubblici interessati alla vicenda del Belice: il Ministero dei lavori pubblici e l'Ispettorato generale per le zone terremotate istituito con l'articolo 16 della legge n. 241 del 1968, il Provveditorato OO.PP. per la Sicilia, la Regione Siciliana, i Comuni terremotati e l'ISES che, su commissione dell'Ispettorato, fu, come si vedrà, il principale operatore tecnico per la ricostruzione dell'area terremotata. Come si è già detto, il sistema di intervento delineato, in casi di calamità naturali nel decreto-legge del 1926 e nel decreto legislativo del 1948, attribuiva all'Amministrazione dei lavori pubblici la titolarità dèi maggiori poteri sia nella fase dei primi soccorsi che in quella della ricostruzione. Non ci si deve dunque stupire se nel 1968 il legislatore si adeguò a questo indirizzo tradizionale, che del resto era stato confermato anche in occasione del disastro del Vajont. Piuttòsto, si deve sottolineare che l'intervento attraverso l'Ispettorato doveva avvenire nel contesto di un ordinamento regionale in atto, quello siciliano, in cui specifiche competenze erano attribuite alla Regione in materia di lavori pubblici e di urbanistica (articolo 14 dello Statuto regionale siciliano e legge regionale 2 agosto 1954, n, 32). Il testo base che opera il passaggio delle competetti» all'Amministrazione centrale e la gestione da parte di essa (attraverso l'Ispettorato) della fase della ricostruzione è la legge n. 241 del 1968, nel cui articolo 1 sono tassativamente elencati gli interventi cui il Ministero è autorizzato a provvedere (1). Oltre alle competenze così definite del Ministero dei lavóri pubblici, secondo l'articolo 59 della citata legge lo stesso Ministero, la Cassa per il Mezzogiorno, il Ministero -dell'agricoltura e delle foreste devono proporre al CIPE una serie di provvedimenti destinati a favorire la rinascita economica e sociale dei comuni colpiti dal terremoto. Inoltre nel primo comma dell'articolo 59 viene richiamata una concreta competenza della Regione la quale unitamente ai citati Ministeri ed alla Cassa, dovrà proporre al CIPE una serie di provvedimenti in relazione a quanto previsto dall'articolo 6 della legge regionale 3 febbraio 1968, n. 1. Ma secondo tale articolo i piani di intervento predisposti dagli enti economici regionali (EMS, ESA, ESPI) devono venire, entro un mese dalla loro presentazione, coordinati ed approvati dal Governo regionale e tale approvazione li rende immediatamente esecutivi senza verifica alcuna, come indirizzo e coordinamento a livello nazionale da parte del CIPE. Si ha così il primo sintomo concreto di quello che potremmo definire un conflitto di competenza strisciante fra Regione ed Amministrazione dello Stato; la diversa interpretazione delle rispettive competenze avrà anche altre conseguenze sul piano normativo: si pensi alla legge regionale del 18 luglio 1968, n. 20, con la quale, ad integrazione della citata legge regionale n. 1, e successivamente all'entrata in vigore della legge dello Stato 18 marzo 1968 n. 241 l'Assemblea regionale, nell'ambito delle sue competenze in tema di urbanistica, detterà precise norme per la formulazione dei piani comprensoriali e dei regolamenti edilizi. Dopo aver definito i compiti affidati al Ministero dei Lavori pubblici, occorre ora scendere ad un esame più approfondito degli organi decentrati preposti istituzionalmente al loro adempimento e precisamente l'Ispettorato generale per le zone terremotate ed il Provveditorato alle OO.PP. per la Sicilia. (Segue)
(1) Si tratta di:
a) ripristino di opere di conto dello Stato,
b) ripristino, a totale carico dello Stato, di edifici pubblici e di Uso pubblico, acquedotti, fognature, ambulatori comunali, cimiteri ed altre opere igieniche e sanitarie, edifici scolastici e scuole materne, campi ed impianti sportivi e ricreativi comunali, impianti comunali inerenti all'espletamento dei servizi pubblici esistenti, parchi e giardini comunali, piazze, chiese parrocchiali, succursali ed assimilate e relative case canoniche, strade provinciali, comunali, anche se non ancora classificate, nonché strade vicinali, edifici adibiti ad uso di culto e di beneficenza che rientrino tra quelli indicati nel decreto legislativo presidenziale 27 giugno 1946, n. 35, e nel decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 29 maggio 1947, n. 649, ratificati con modifiche dalla legge 10 agosto 1950, n. 784;
c) ripristino, a totale carico dello Stato, di opere di cui alle lettere a) e b), comunque finanziate in corso di esecuzione al momento dell'evento calamitoso, e limitatamente alla parte di lavori giàeseguiti;
d) costruzione, a totale carico dello Stato, di alloggi da assegnare alle famiglie rimaste senza tetto, di locali da adibire ad attività commerciali, artigiane ed alla costruzione delle relative opere di urbanizzazione;
e) ripristino, a totale carico dello Stato, delle opere idrauliche classificate e non classificate;
/) trasferimento di abitati;
g) consolidamento di abitati, anche se non compressi nella tabella D) allegata alla legge 9 luglio 1908, n. 445;
h) spesa occorrente per studi, progettazioni e rilievi necessari per l'attuazione delle opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici ai sensi del presente decreto; i) spesa per le necessarie espropriazioni.
(Segue)
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