L'adesione all'esercito repubblicano di Salò nelle file dei militari italiani internati nel Lager tedeschi, riproposta più volte mano mano che su di essi calava la depressione della detenzione, della fame e della carenza di informazioni su ciò che accadeva nel mondo, fu quindi proposta e riproposta più volte via via che la vita entro i campi diventava "non-vita". Più l'insospettata resistenza degli internati italiani diveniva imprevista, più la reazione tedesca diveniva brutale.
Più gli italiani, soprattutto gli ufficiali rifiutavano anche questo secondo tipo di collaborazione "lavorativo" più nei campi diminuiva la somministrazione di cibo e diventava selvaggia (disumana) l'imposizione della disciplina. Vessazioni ed arbitri divennero la costante giornaliera. Nel settembre 1944 avviene la trasformazione degli internati da esseri umani in "esseri inferiori"; accadde che Hitler e Mussolini dopo aver preso atto che quelle centinaia di migliaia di militari italiani internati non intendevano tornare a combattere assieme ai tedeschi, in via del tutto arbitrario ed in contrasto con i trattati internazionali, decisero di trasformare lo Status da "militari internati" in "civili internati", soggetti alla completa giurisdizione tedesca, privi delle garanzie internazionali. Ormai l'astensione dal collaborare coi tedeschi cominciò davvero ad essere "disperata", difficile, rischiosa.
In quelle condizioni di isolamento, di terrore e di violenza, in condizioni di fame, di crescente mortalità fra i commilitori, ciascuno fu costretto ad interrogare la propria coscienza. I militari italiani internati videro crescere in maniera esponenziale, e più che esponenziale, giorno dopo giorno il numero dei morti rispetto ai francesi, agli inglesi e alle altre nazionalità, che continuavano a godere -sulla scorta dei trattati internazionali- degli aiuti e delle garanzie prescritte per i prigionieri di guerra. La Croce Rossa Italiana, invece, non fu mai messa in condizione di soccorrere quei 700mila italiani rinchiusi nei lager.
I lavori forzati
Prima dell'8 Settembre 1943 la Germania era riuscita senza alcuna difficoltà a reclutare manod'opera italiana che volontariamente si recava in Germania per lavorare nelle sue fabbriche. Dopo l'armistizio, questa possibilità venne meno, proprio nel momento in cui quel paese venne a trovarsi in situazione di crescente necessità e bisogno per dedicarsi allo sforzo bellico senza l'impegno dell'ex alleato.
Il rimedio a cui ricorsero i tedeschi, dopo quella data, fu come abbiamo ricordato nelle pagine precedenti il rastrellamento di soldati e di lavoratori italiani. I soldati fu facile rastrellarli dal momento che il governo Badoglio lasciò tutti i comandi, in Italia e all'estero, senza disposizioni sul come comportarsi. In varie regioni d'Italia (Campania e non solo) i tedeschi rastrellarono tutti gli uomini che capitarono loro dai diciotto ai trentatre anni. Nel Settentrione furono trasferiti forzatamente macchinari e relative maestranze di alcune fabbriche in Germania. Tutti i "forzati" dai tedeschi furono -in questo caso- classificati "lavoratori civili".
Come vedremo, molti dei prigionieri internati pur di non morire di "inedia" accettarono di lavorare nelle aziende sia agricole che artigiane delle famiglie tedesche i cui uomini erano tutti stati arruolati nell'esercito germanico. Alcuni lavorarono, sempre al fine di sottrarsi alla vita dei lager, in fabbriche ed industrie pesanti.
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