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domenica 10 gennaio 2021

Alle radici del Cristianesumo

 Pierangelo Sequeri

teologo, musicologo, musicista e docente

Intervento sul libro: "Interrogazioni sul Cristianesimo",

in dialogo con Gianni Vattimo e Giovanni Ruggeri-.

*  *  *

La parola "Dio" ha cominciato ad essere inghiottita dalla cifra del linguaggio di parte, sia per una "astuzia" politica della secolarizzazione che si travasa incessantemente in epistemologia, sia per una "golosità" del credo ecclesiastico quando, per non essere oscurato dalla prevalenza di Dio stesso, lo requisisce, lasciando alla filosofia il più indeterminato "Altro", il più generico "Sacro".

La religione deve invece rilanciare: Dio non è un linguaggio, bensì il punto in cui il linguaggio deve essere piegato e obbligato a recedere  dalla sua voracità. Per essere credibile, a questo riguardo, la fede deve rendere testimonianza, facendo la prima mossa anche sul piano dell'espressione: Dio non è anzitutto il dogma che ci tiene in chiesa, ma la relazione che ci tiene in vita, impedendoci di uscire di senno. (Qohlet); è l'Affetto dei nostri affetti più cari, in nome dei quali siamo pronti a combattere anche "Dio" (Giobbe).

In tal senso è necessario  che il magistero, la teologia, il linguaggio cristiano onorino maggiormente le esigenze di una più adeguata espressione della fede. Mi capita talvolta di esprimere questa esigenza con una battuta provocatoria; "Avremmo bisogno di qualche dogma in più". In altre parole: una delle ragioni per le quali coscienza cristiana -e forse anche la coscienza più sensibile nei confronti del cristianesimo- si sente in imbarazzo è dovuta al fatto che le formule vincolanti alle quali si ricorre per dirimere cos'è o non è fede sono datate, non parlano la lingua che il cristianesimo parla attualmente, cioè la lingua del Papa, dei vescovi, del senso comune cristiano più avvertito. Così abbiamo questo paradosso: la lingua corrente del cristianesimo continua a sembrare un espediente, uno sforzo per riempire il vuoto che c'è fra formulazioni che hanno la loro storia e il loro tempo ( e quindi non possono tener conto  dell'evoluzione della sensibilità) e nuovi tentativi espressivi, ai quali tuttavia ancora non è riconosciuta una forza pari a quella della formula della tradizione. Faccio un esempio, quando la Chiesa dice: "Dialoghiamo con le religioni", oppure, "Non credenza pensante e incredulità peccaminosa non sono la stessa cosa", occorrerebbe che questo linguaggio non desse poi l'impressione di essere subito debole non appena, andando alla ricerca della tradizione dogmatica circa quello che è fede  cristiana, ci si imbatte in formule molto autorevoli ma che non esprimono con lo stesso peso formale queste nuove acquisizioni. Da un lato, quindi, vi sono acquisizioni del pensiero cristiano che non hanno, sul piano della loro formulazione linquistica, la stessa copertura  di autorevolezza della tradizioner; d'altro vi è il linguaggio della tradizione che identifica il cristianesimo -e io credo felicemente- senza però essere ancora in grado di integrare la nuova sensibilità, le nuove ermeneutiche. 

Capisco che questi sono processi lunghi, che hanno bisogno di tempo. Tuttavia l'imbarazzo, più che del fatto (per fare un esempio) che i dogmi sarebbero metafisici, mentre l'interpretazione esistenziale sarebbe adeguata all'uomo del nostro tempo, nasce spesso perchè la lingua corrente della Chiesa sembra una mera interpretazione retorica: che addirittura dà talvolta l'idea di essere solo un espediente, un aggiustamento provvisorio nei confronti di un canone dogmatico che gode, invece,  di un'autorevolezza sproporzionata risèetto alla lingua corrente.

Quello sui cui sto richiamando l'attenzione non è lo sviluppo  o la riformulazione del canone sulla base di speculazioni e interpretazioni magari ottime, legittime, della filosofia e della teologia che riflettono sulla tradizione. Piuttosto, sto sottolineando la necessità di formulare con maggiore coraggio la pari autorevolezza della lingua evoluta che la Chiesa oggi parla. E' in fondo un problema di onestà intellettuale, di lealtà magisteriale: un modo per onorare la convinzione che la Chiesa oggi esprime e con la quale si ptesenta al confronto non solo con la cultura, ma anche con la coscienza comune, precisamente su tutti i temi di cui ci stiamo occupando in questo colloquio. 

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