La strada intrapresa:
cosa resterà dell'umano se il rapporto uomo/macchina cambia mediante le "intelligenze artificiali?"
Ci accorgiamo in questi frangenti di vita caratterizzati dalla pandemia che tutto ciò che ci sta attorno (relazioni umane, politica, modi di essere e di agire) è molto profondamente diverso da tutto ciò che ci stava attorno dieci/venti anni fa. Sociologi e fisosofi e molti altri studiosi definiscono questa mutazione culturale come "post-umanesimo" perchè vi leggono l'avvenuta attuazione, o se si vuole, l'avvenuto sorpasso dei principi posti a base dell'umanesimo (fallibilità dell'esperienza umana, radicamento storico, assicurazione e affermazione della libertà e molto altro). Questi studiosi arrivano a ritenere ormai acquisiti certi presupposti secondo cui l'uomo dei giorni nostri è adesso un essere ininterrottamente in trasformazione (evoluzionisticamente).
Nel periodo dell'umanesimo tradizionale l'uomo si realizzava in modo autarchico (da sè) senza aver bisogno dell'alterità non umane, ai nostri giorni accade che tutti necessitiamo di supporti tecnici/informatici e macchine sofisticatissime per perseguire le finalità del vivere. Nessuno oggi può realizzare ed esercitare i propri impegni professionali in termini di completezza, compiutezza e/o perfezione senza ausili tecnico/informatici/tecnologici. Quei tanti studiosi a cui abbiamo fatto cenno leggono in questo processo incorso da alcuni decenni una marginalizzazione dell'uomo, dell'uomo che non sa dialogare con questi supporti che vengono definiti "alterità".
L'uomo dei nostri giorni ha acquisito (o sta per acquisire via via) una natura ibrida dal momento che è in perenne debito verso le "alterità" non umane (appunto, le nuove tecnologie) e indotto -se vuole tenere il passo- ad acquisire linguaggio e ontologia esterna ad esso e -nello stesso tempo- è divenuto un agente in esso, nella macchina.
Le antiche antinomie uomo/animale, cultura/natura, macchinico/biologico vanno scomparendo. La realtà post-umanistica non punta all'indipendenza culturale della persona (individuo) dalle macchine bensì lo attira a sè e lo rende strumento delle macchine inducendolo via via a farsi espropriare dei contenuti della sua "umanità". Se un tempo il "sapere" doveva essere acquisito e appropriato dall'uomo per accrescere il suo ruolo (o potere) sul mondo, adesso (da qualche tempo) il sapere lo si fa intendere come perfezionamento di capacità di empatia con le macchine.
Sintetizzando: ci avviamo al cambiamento del modo di essere persona perchè sta cambiando lo "statuto della conoscenza". Una cosa è accrescere le proprie capacità professionali (referenze) che aumentano le conoscenze, altra cosa è affidare alla macchina le proprie competenze che automaticamente contrae il sostrato della nostra conoscenza.
Per chiudere: il timore di sociologi e filosofi è che abbiamo intrapreso un cammino che aumenterà la forbice fra l'umano e il non-umano.
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