Alan Friedman è un esperto di economia e politica statunitense. Conosce bene l'Italia ed ha collaborato con le principali testate giornalistiche italiane.
Recentemente ha pubblicato un libro in Italia che sta avendo un grande successo editoriale "Questa non è l'Italia - Storie segrete e verità shock dietro il nuovo volto del nostro paese".
Viene fatta una ricostruzione dell'immagine del nostro paese sovranista quando il potere governativo era in mano ai populisti assoluti, a quei leghisti e a quei 5 stelle che inseguivano l'avversione totale verso tutti i nostri tradizionali alleati dell'Occidente, contro l'Europa anzitutto.
Ci piace, però, estrapolare dal libro una pagina che tratta delle problematiche economiche del nostro Paese.
E allora, lasciamo stare il governo gialloverde e parliamo del futuro, almeno di un futuro possibile. In questo contesto, come dovrebbe presentarsi una ricetta economica seria e ragionevle, che abbia come obiettivo la crescita ?
Il modo migliore per aumentare la ricchezza e combattere la disoccupazione consiste nell'affidarsi a misure fiscali e macroeconomiche che permettano alle aziende di assumere. Ovvero tese ad aiutare le piccole imprese, che rappresentano il 95% dell'economia italiana. Per farlo bisognerebbe cambiare una manciata di regole per diventare competitivi.
Un piano economico favorevole alla crescita dovrebbe aiutare l'Italia a modernizzarsi, per permetterle di competere sui mercati globali. E' un progetto del genere dovrebbe tenere conto della nostra profonda e fruttuosa integrazione con le economie della Germania e della Francia, che insieme assorbono il 25 per cento delle esportazioni nazionali: in questo quadro, le aziende italiane agiscono come fornitrici e cruciale parte integrante della filiera. E' il caso, per esempio, di produzione di componenti dell'industria dell'auto, che dalla Lombardia e dal Veneto vengono impiegati in vetture prodotte in Baviera. Se l'Italia oggi è la seconda potenza manufatturiera d'Europa è anche grazie all'esistenza del mercato unico, all'assenza di dazi all'interno dell'Unione, all'integrazione delle economie dell'Eurozona e alla moneta unica. Qualcuno dovrebbe dirlo ai sovranisti. Mantenere relazioni amichevoli e sviluppare legami commerciali sempre più stretti favorisce gli affari più del nazionalismo e del protezionismo. La cooperazione aiuta le economie a vendere le merci più dei rapporti conflittuali. Attaccare i nostri principali partner eurpei non contribuisce a creare un miglior clima economico per l'Italia.
La via maestra per creare lavoro e crescita è affrontare di petto tutti i malanni che affliggno il Paese, uno alla volta. Rimettere mano al vecchio motore cigolante dell'economia e modernizzarlo pezzo per pezzo. Oltre a tutto questo, bisogna cambiare in profondità il modo in cui si fanno affari: stabilire condizioni migliori per il libero mercato, più trasparenza, minore incertezza e maggiore competitività. Le politiche economiche non bastano. E' necessario creare un terreno fertile per attirare gli investimenti. Insomma, si deve trasformare l'Italia in un mercato appetibile, con una forza lavoro qualificata e incentivi fiscali interessanti. E tutto questo richiedee tempo. Magari una prospettiva più ampia rispetto a quella su cui è abituato a ragionare l'elettorato Non ci sono soluzioni semplici, e per vincerla saranno necessari diversi anni di politiche intelligenti, coerenti e stabili.
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