Siamo, in quanto contessioti, parte dell'Eparchia di Piana degli Albanesi ed abbiamo pertanto la possibilità di conoscere discretamente bene almeno due dei tre più rilevanti filoni del Cristianesimo dei nostri giorni: quello romano, quello bizantino e sia pure con minore possibilità di visibilità e di espressività pubblica il terzo aspetto, quello protestante, pure esso presente ed operante nella nostra piccola realtà.
Provando a scandagliare il filone bizantino, che ci è per ovvi motivi più familiare a ragione di una maggiore frequentazione personale, proveremo a cogliere visioni, aspetti e dottrine sviluppatesi nel solco dei tre principali tronconi del Cristianesimo arrivati fino a noi, al terzo millennio.
Non faremo nulla di sistematico. Procederemo -come un blog può fare- per flash, per tema e senza altra intenzione che quella di volere sempre più capire. E' scontato che scandaglieremo il Cristianesimo bizantino che disciplinarmente dipende da Roma e che in aspetti secondari differisce da quello dell'Est Europeo; aspetti secondari visti da noi, ma non dai cristiani orientali.
Proveremo, a modo nostro, a svolgere un immaginario cammino verso l'origine, la sorgente del Cristianesimo, quando ancora questo era unito e si rifaceva all'unica radice. Inevitabilmente quelle radici furono nei primi secoli coltivati in quello che oggi definiamo l'Oriente Cristiano.
In quell'area oggi coabitano, non sempre in spirito di fratellanza Ortodossi, Cattolici e Protestanti. Sono pure presenti non in numero trascurabile, i cattolici-biizantini, ossia i praticanti nella modalità e ritualità in cui il Cristianesimo è praticato a Contessa, sotto l'attuale guiida sapiente di papàs Nicola.
Siccome non intendiamo percorrere linearmente e organiicamente il percorso sommariamente tracciato, passiamo subito per intanto a riflettere sulle "icone", caratteristica specifica delle Chiese orientali.
Le icone
Nella tradizione delle chiese di riferimento costantinopolitano le icone occupano un posto di primo ordine. Non così accadeva fino a breve tempo indietro nella chiesa romana. Tanto è vero che fino agli anni trenta del Novecento i vescovi romani proibivano che nelle chiese di tradizione bizantine di Contessa E. e altrove sorgessero le "iconostasi".
Oggi in forza dell'istituzione dell'Eparchia di Piana l'iconostasi la si ritrova pure nelle Chiese di campagna (p.e. Castagnola). Non solo, le icone adesso, dal post-Concilio, abbondano pure nelle chiese di rito romano di Palermo e del Monrealese.
Ci è capitato di vedere esposte icone persino in templi protestanti di Palermo. Effetto, forse, dell'Ecumenismo del periodo attuale.
Alcuni decenni fa capitò, a chi scrive-, di seguire in due stagioni differenti i corsi di iconografia nell'abazia di San Martino delle Scale curati da un sacerdote ortodosso proveniente da Cipro, figlio di un prete e fratello di altri quattro sacerdoti, alcuni dei quali sposati. Lo spirito ecumenico del post-Concilio Vaticano II rendeva possibile quella convivenza fraterna nell'abazia benedettina. Allora quel sacerdote, che adesso sappiamo che possiede incarichi di primo piano nell'Arcivescovato di Nicosia, insistette sul significato di annuncio silenzioso e nello stesso tempo eloquente dell'icona, eloquente pure all'esterno del mondo credente.
Il sacerdote di Cipro sosteneva che l'Icona è mezzo di verità e di bellezza, fini questi per l'esistenza della Chiesa.
In prosieguo proveremo a riferire sulla tecnica di definizione dell'Icona.
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