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domenica 5 agosto 2012

Legge elettorale. Si fa presto a dire "democrazia"

In questi giorni le forze politiche, ovvero, ciò che resta delle forze politiche, intese come gruppi di impegno culturale per la guida della comunità nazionale, sono all’opera per modificare la “legge elettorale”.
Come ben sappiamo da parecchi anni gli italiani si recano alle urne per ratificare l’elenco dei “900” scilipodi che nel quinquennio successivo dovranno scaldare uno scanno del Parlamento. A scegliere i “900” sono pochissimi privilegiati: Massimo D’Alema (che consente a Veltroni di nominare qualche suo amico), Silvio Berlusconi (che consente a La Russa di nominare qualche camerata), Pierferdinando Casini (che dovrà consentire a Fini di nominare qualche reggicoda) e poi Di Pietro e pochi altri.
La condizione per essere “nominati” è di essere, ovviamente, fedeli a chi nomina. Competenza, impegno e dedizione al paese non sono né richiesti né ammessi; potrebbero essere elementi nocivi perché farebbero ombra ai “capi”.
Immaginiamo noi cosa D’Alema, Berlusconi e Casini stiano facendo per cambiare l’attuale legge elettorale (c.d. porcellum). Non stanno facendo proprio nulla: non sono infatti degli stupidi fino al punto di togliersi la possibilità di scegliere –loro- chi deve stare vicino a loro.
Chi si trova tanto potere a disposizione non lo cede facilmente. Per togliere a Mussolini la possibilità di nominare lui la Camera delle corporazioni c’è voluta una guerra. Figuriamoci se D’Alema, Berlusconi e Casini vogliono apparire come dei grandi  “minghioni”.
Chi possiede il potere non lo cede.
In attesa di vedere con quale “porcellum” andremo a votare, ci proponiamo di scandagliare come le leggi elettorali abbiano condizionato la vita del nostro paese.
L’Italia unita
A morire per l’Unità del paese furono giovani intellettuali “idealisti”, miseri contadini che volevano “la terra”, giovani arruolati che miravano al “soldo” per poter vivere. A trarre benefici dall’Unità è stata la borghesia piemontese e poi, dopo anni, la borghesia del Nord.
Teniamo presente che nel 1971 gli analfabeti  erano nel Nord il 56,9% della popolazione, il 72,2% nel Centro, l’83,6% nel Sud ed l’85,5 nelle isole.
Al momento dell’unificazione la popolazione del nuovo stato era di 26 milioni di unità. Vigeva allora la legge elettorale censita ria che ammetteva al voto solamente il 2% dei cittadini.
Nel 1882, con la Sinistra liberale al governo, fu riconosciuto il diritto di voto ai cittadini di sesso maschile che avessero compiuto 21 anni di età, fossero alfabeti, o possedessero almeno uno dei sequenti requisiti:
-essere contribuenti per almeno £. 19,80 d’imposte dirette,
-aver superato l’esame di seconda elementare ,
- ovvero, essere affittuari di fondi rustici con canone annuo di almeno £. 500, ovvero mezzadri di poderi sui quali gravasse un’imposta diretta di almeno £. 80, o conduttori affittuari di case , officine e botteghe per le quali si pagasse una pigione  di almeno £. 150.
Con i superiori accorgimenti, il corpo elettorale, che nel 1861 si componeva di 418.696 elettori (pari all’1,92 della popolazione del regno) e nel 1880 di 621.896 elettori (pari al 2,2 della popolazione) era passato nel 1882 a 2.017.829 elettori, cioè al 6,9% della popolazione totale.
Nel 1892 gli elettori erano 2.934.445, vale a dire il 9,67% della popolazione.
Fino alla riforma del 1882 era solamente la borghesia industriale del ed il latifondismo del sud a costituire corpo elettorale.
Con la riforma del 1882 (voluta dalla Sinistra Liberale: Crispi) accedono nel corpo elettorale gli intellettuali, la burocrazia, frange di operai acculturati del Nord e frange di piccoli proprietari ed artigiani.
Con gli artigiani e i primi operai delle industrie del nord -ammessi dalla legge Crispi al voto- arrivano in Parlamento i primi due, tre socialisti, in un Parlamento affollato da Conservatori, liberali di destra e di sinistra e da pochi radicali e repubblicati.
Repubblicani e socialisti nei resoconti parlamentari in quel fine secolo (dell'Ottocento) venivano definiti l'Estrema.
(continua)

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