Con il crollo dell’Impero Romano d'occidente agli anni cinquanta del XX secolo, ossia fino alla metà del secolo scorso (il Novecento) in Sicilia il controllo della terra è sempre avvenuto sotto due regimi socio-economici: latifondismo e feudalesimo.
Sociologi ed economisti all’unanimità hanno sempre sancito che (1) l'arretratezza economica della Sicilia (2) la nascita della mafia e del brigantaggio, ed ancora (3) l’emigrazione massiccia dall’isola hanno radici lontane, proprio in quegli assetti socio-economici.
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Nei due millenni trascorsi, tutte le dominazione affermatesi nell’Isola come primo atto si sono sempre occupate di cedere appezzamenti (vastissimi territori: feudi) di terra ai propri uomini d'arme (ai loro generali) che divenivano vassalli in cambio della loro fedeltà. Non così gli Arabi, che con la terra e l’agricoltura ebbero un approccio completamente diverso.
I feudi assegnati alle signorie di turno però non venivano sfruttati nel loro potenziale produttivo. In parte venivano coltivati a grano e fave mentre la gran parte dei territori dell’Isola restavano lasciati incolti per i pascoli.
Il signore del feudo, che dalla modernità (dalla scoperta dell’America) apparteneva al ceto dei galantuomini, risiedeva nei castelli e successivamente a Palermo, per via della scarsa sicurezza nelle campagne e lasciava a curare i suoi interessi a personale di fiducia, guardie campestri (o campieri) e vere e proprie Compagnie d' Armi. Un contesto questo ora tratteggiato che non tarderà a dare origine al fenomeno della Mafia.
L' aristocrazia e la signoria dei feudi, ossia i baroni o galantuomini, godevano sui territori del Mero e Misto Imperio, cioè del diritto di amministrare mediante propri uomini la giustizia civile e quella penale.
In periodo borbonico, nel contesto culturale dell’Illuminismo, si puntò a togliere l'antico potere pubblicistico agli aristocratici e di farlo gestire a quelli che oggi definiamo poteri dello Stato (=governo dei territori, amministrazione della giustizia e dei comuni) ed abbattere per questa via il vecchio istituto giuridico feudale. In questo nuovo contesto, nel 1812, fu varata una Costituzione. Il Mero e Misto Imperio fu abrogato insieme a molti altri privilegi e in questo nuovo assetto la quasi generalità’ dei baroni si ritiro’ nelle grandi città siciliane, lasciando i feudi in affitto (tramite contratti a gabella) a guardie di loro fiducia, che divenivano gabellotti.
I gabellotti a loro volta lasciarono in affitto piccoli pezzi di terra ai singoli e poveri contadini (chiamati coloni o borgesi). I gabellotti, da parte loro, assoldarono ladri e banditi senza scrupoli e li fecero entrare nelle Compagnie d'Armi per far da guardia ai terreni e far rispettare i patti a ciascun borghese o contadino. Queste squadre di uomini, costituitesi sotto la protezione degli antichi baroni, ebbero praticamente il ruolo di difendere gli antichi usi feudali dietro grossi compensi.
Spuntarono le figure dei campieri che andavano in giro a cavallo armati di fucile e compivano qualunque sopruso contro i contadini ed i pastori.
In quegli anni nei feudi si diffuse l'abigeato ai danni dei borgesi e dei contadini con la complicità dei grandi gabellotti.
Dopo l'unità d'Italia, la Sicilia era ancora divisa in feudi. Il governo di Giovanni Giolitti tentò di abbattere il sistema e sconfiggere il diffuso analfabetismo dell'isola con una serie di riforme, abbandonate a seguito delle pressioni della mafia e del Partito conservatore dei Cappeddi, di cui facevano parte tutti i baroni e gli aristocratici siciliani.
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