Le contraddizioni dell’olivicoltura italiana
L’olio d’olivo è un pilastro della dieta mediterranea, ma stranamente contribuisce negativamente al saldo della bilancia commerciale perché importiamo di più di quanto esportiamo. Lo si legge su un report dell’Area Studi Mediobanca che ha fotografato questa realtà e la conseguente contraddizione.
L’Italia è stata leder assoluta della filiera olivicolo-olearia per tanto tempo, ma da alcuni anni non lo è più: |
L’Italia è il più grande importatore di olio. Per avere più «oro verde» per i nostri consumatori ci rivolgiamo per il 41,7% proprio alla Spagna, per il 38,7% alla Grecia e per il 10,1% alla Tunisia. La nostra bilancia commerciale è in disavanzo strutturale di circa 315 milioni nel biennio 2022-23, cifra in aumento se paragonata ai 171 milioni della media dal ‘91 ad oggi.
Eppure siamo il Paese portabandiera della dieta mediterranea. Gli spagnoli hanno creduto più di noi sul settore e hanno sostenuto nel tempo gli investimenti necessari per tenere costante la produzione, noi no. Solo recentissimamente e’ stata avviata una politica di sostegno a nuovi impianti che in qualche modo ha interessato pure il territorio di Contessa Entellina.
A parere degli economisti il nostro Paese «risente di limiti allo sviluppo delle quantità prodotte riconducibili a un elevato tasso di abbandono, alla mancanza di una strategia unitaria e alla presenza di diversi produttori legati ancora a un’olivocoltura tradizionale, non ammodernata».
In controtendenza rispetto alle altre nazioni produttrici, c’è stata complessivamente nel nostro Paese una diminuzione delle superfici ad uliveto (-3,5% nei dieci anni tra il 2011 e il 2021). Esiste peraltro una eccessivamente frammentata miriade di produttori.
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