Nel 1861 l'Italia non era più una semplice "espressione geografica" o letteraria, ferma alle sue memorie archeologiche, ma un paese con serie difficoltà da affrontare ed il cui reddito nazionale era un terzo di quello francese e addirittura un quarto di quello britannico.
Il paese si era comunque inserito nel moto liberale dei paesi più avanzati, viene da dire nel contesto delle "rivoluzioni" borghesi di quel periodo. Restavano tuttavia enormi le distanze socio-economiche dagli altri paesi dell'Occidente europeo. Nel settentrione iniziarono ad intravedersi i primi segni indicativi del passaggio dalla produzione artigianale a quella di fabbrica, ma l'Italia era ancora -e restava- un paese più che arretrato, privo di materie prime, con una popolazione crescente e con le strutture pubbliche molto fragili ed in mano alle elitè. Serviranno altri decenni ancora per uscire dall'area dei paesi sull'orlo della bancarotta finanziaria. L'agricoltura tirava ancora a stento (in letargo) dal momento che il latifondismo costituiva la realtà in assoluto dominante, soprattutto nel Meridione.
In quel contesto politico liberal-conservatore non era certo facile uscire dal circolo vizioso della stagnazione, come non era facile rompere isolamenti vecchi di secoli per assurgere a potenza indistriale che potesse affiancarsi a Francia, Gran Bretagna o Germania. Con l'Unità del paese iniziò un processo a ritmi lenti e peraltro diversificati fra Nord e Sud e il Paese unito non seppe per decenni trovare la via della crescita economica, come stanno a evidenziarlo -tanto per trarre paragoni- i dati del 1972, a centodieci anni dall'Unità e a pochi anni dell'avvio del processo di unità europea-, sulla consistenza dei lavoratori disoccupati, pari a 18milioni.
L'Italia unita manco' infatti l'appuntamento fondamentale della piena occupazione. E ancora oggi l'intero meridione serve da serbatoio per il Nord del paese e da alcuni decenni per l'Unione Europea.
Noi di Contessa Entellina siamo testimoni del fallimento socio-economico dei modelli economici finora utilizzati, basta scorrere le statistiche Istat, sia quelle demografiche locali che quelle sui servizi socio-sanitari della nostra Sicilia, e capire che molte politiche sociali non sono state appropriate e frequentemente furbescamente privatizzate a beneficio dei pochi.
(Segue -)
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