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mercoledì 12 febbraio 2020

Sicilia nostra. Come la rappresentiamo ?

Conoscere Palermo

Nei ricordi da ragazzo di chi scrive c'è una Palermo molto diversa dalla Palermo dei nostri giorni, con quartieri arcora squarciati dai bombardamenti della guerra, con decine e decine di carrozze che sostavano in ogni slargo e piazza in attesa -spesso- di improbabili clienti da portare ad un'altro capo della città. 
Leggendo un libro di Carlo Levi, "Le Parole sono pietre" è capitato di gustare sensazoni della città che in un certo senso erano ormai state dimenticate, sfuggite dalla memoria.

Levi così descrive in uno dei frequenti flash la città da lui visitata nella seconda metà degli anni cinquanta:

".. passammo per un rione popoloso, che chiamano Stalingrado (forse il fuggevole soprannome si riferì ai rioni Castello San Pietro e Cala, dove i bombardamenti dei futuri alleati si erano accaniti come un assedio n.d.a.) e sboccammo sulla riva, a Porta Carbone, che chiamano Casbah. Qui ci circondò, tra festoni di panni stesi, una miriade di ragazzi e bambini: una bambina nuda cercava di salire su un carretto dipinto; delle vecchie stavano sedute sulle soglie, con i lunghi pallidi visi smunti. Un barbiere, sotto una tenda tesa su un bastone, radeva per la strada i suoi clienti. Una donna gigantesca stava dentro una baracca fatta di legno e di latte di petrolio, con dei mobili rotti piovuti chissà  come sulla tettoia: vendeva della frutta e fece il gesto di ritirarsi sentendosi guardata. Un bambino dagli occhi rotondi, che sembrava un ranocchio, cominciò a saltarci attorno, facendo boccacce, accucciandosi a terra e balzando per aria, per attirare la nostra attenzione. Dietro trincee di stracci, sotto sipari e quinte mobili di lenzuola e di camicie, i bambini e le donne occupano i vicoli: vicolo Capraio, vicolo del Forno ai mastri d'acqua"

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