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giovedì 17 novembre 2011

Anton Blok e la vicenda socio-economica di Contessa Entellina

Nello spirito di quanto abbiamo già scritto in altre occasioni, proseguiamo la lettura insieme del libro su Contessa Entellina scritto un trentennio fà dall'antropologo olandese Anton Blok.
Lo scopo, lo ricordiamo, è quello di conoscere, contribuire a far conoscere, la Storia ed il passato della nostra Comunità in una ottica socio-economica che ci faccia mettere da parte i miti che i libri di orgoglio etnico ci propinano quando ci parlano dei nostri antenati come parenti, congiunti di Giorgio Castriota e/o di origini aristocratiche.
La nostra Comunità ha tratto origine, sì, da esuli arbëresh, ma è sempre stata una comunità agricola, o per meglio dire contadina, che ha vissuto insieme al resto della popolazione di Sicilia il bello ed il brutto della vicenda storica degli ultimi 500 anni dell'isola (cfr. il libro di Matteo Mandalà:  "Mundus vult decipi").

Quella da noi riportata è una libera interpretazione del libro di Anton Blok, ed invitiamo pertanto chi lo desideri a leggere il testo originale, che riporta in dettaglio vicende e fatti specifici accaduti nel nostro paese nell'intento di supportare la tesi di fondo dell'autore su cui ci siamo abbondantemente soffermati in altri scritti.
E' davvero un peccato che l'unico libro di Storia, con la "S" maiuscola, esistente finora su Contessa Entellina con presupposti storiografici, scientifici e di analisi antropologica sia così poco conosciuto all'interno della comunità.
ANTON BLOK
La mafia di un villaggio siciliano 1860-1960 -
Edizioni di Comunità

Capitolo terzo
La Terra
paragrafo secondo
Il lavoro agricolo

Sin dalla fondazione del paese l'attività prevalente se non esclusiva degli abitanti di Contessa Entellina e' sempre stata la cerealicoltura assieme all'allevamento. Qui è sempre stata marginale la coltura dell'olivicoltura e del vigneto. D'altronde il 90% della superficie e' destinata a cereali o pascolo.
L'aridocoltura del grano ha seguito il ritmo che qui riportiamo:
-La semina nel periodo novembre-aprile, a secondo della varietà del seme,
-il raccolto in luglio.
Il sistema di rotazione ha per secoli visto il susseguirdi di:

--maggese,
--grano,
--pascolo.
Il maggese sopperiva il mancato utilizzo del concime e l'assenza delle piogge estive.
Tradizionalmente i campi venivano arati con rudimentali aratri di legno tirati da buoi o muli. Le macchine agricole arrivarono sul latifondo contessioto negli anni venti del Novecento, ma ebbero sufficiente diffusione a cominciare dagli anni sessanta.
Il latifondo ai fini della coltivazione veniva subaffittato dall'amministratore del feudo o dal gabelloti in piccoli lotti per il periodo 1' settembre-31 agosto.
Il gabelloto era la figura caratterizzante il latifondo: egli assumeva in affitto per 6 anni la gestione del feudo (tenuta) pagando in anticipo il relativo canone al proprietario assenteista. La gestione diretta dei feudi avveniva invece incaricando, da parte del latifondista assenteista, una persona di fiducia che veniva retribuita con compenso annuo.
Anton Blok evidenzia nel libro che alle figure di gabelloto/amministratore attribuirà, nel proseguo dell'anali da lui condotta, la qualifica di "imprenditori agricoli" dal momento che impiegavano le loro attitudini al fine di conseguire un profitto. Generalmente costoro riuscivano a conservare il ruolo per parecchio tempo, ben oltre i sei anni inizialmente contrattualizzati.
Il calendario lavorativo sul latifondo era scandito dai seguenti tempi:
-in maggio gli aratori preparavano il maggese,
-in settembre i terreni venivano assegnati ai contadini-mezzadri,
-in novembre seguivano nuove arature da parte degli assegnatari,
-in dicembre la semina,
-in primavera la sarchiatura,
-in luglio-agosto il raccolto con relativo trasporto e trebbiatura.
I contadini-mezzadri in genere erano proprietari di muli ed aratri (erano pertanto dei burgisi). L'imprenditore -come piu' sopra delineato- forniva loro le sementi e nel corso dell'inverno concedeva anche -per la sopravvivenza- anticipi in natura sul futuro raccolto. Il diritto di pascolo sui terreni coltivati competeva all'imprenditore che poteva subbaffitarlo ovvero sfruttarolo mediante rapporti societari con i pastori ed allevatori.

Gli allevatori si spostavano da stagione in stagione sui territori della zona, solamente i piccoli pastori ogni sera portavano il gregge all'interno del paese.
Il sistema della rotazione triennale ed i rapporti di affitto breve impedivano ai contadini di potersi insediare stabilmente sul lotto di terreno, cosicché ogni sera anche costoro rientravano in paese.

Sul latifondo gli animali domestici più in uso erano le pecore, i muli ed i bovini. I muli servivano per i trasporti, le arature e le trebbiature. La viabilità non consentiva l'uso di carri cosicché i trasporti avvenivano esclusivamente a dorso di mulo. In ogni masseria esistevano anche i cavalli per l'uso di sorveglianza dei sovrastanti e dei campieri.
Le pecore assicuravano nel sistema economico fondato sul latifondo la produzione di formaggi, ricotta, carne e lana; i principali prodotti che la masseria immetteva comunque sul mercato palermitano ed anche estero erano comunque il grano ed i formaggi.


Il pascoloIl pascolo naturale era riferibile a quei terreni che erano inadatti alla cerealicoltura, mentre il pascolo coltivato comprendeva i prati da taglio e quelli su cui era stata seminata sulla o veccia. Su quest'ultimo tipo di pascolo il bestiame vi veniva condotto solo per poche settimane in inverno e all'inizio della primavera in modo che nel mese di maggio si potesse mietere il fieno prima di iniziare l'aratura che sarebbe in autunno servita alla semina del grano.
Gli allevamenti in conseguenza della scadente qualità dei pascoli venivano spostati in continuazione da un luogo all'altro. Questi spostamenti erano inoltre influenzati dal tipo di rapporto che gli allevatori riuscivano ad intrattenere con i detentori della terra, gli imprenditori. I rapporti di amicizia e di parentela erano indispensabili allo scopo.
In paese come pure in campagna esistevano solamente stalle per muli e cavalli dal momento che il resto del bestiame era allevato in vista di un nomadismo continuo. La stessa produzione del formaggio non avveniva in luoghi predisposti ma in prossimità delle capanne di rami e paglia (in arbresh: calive; in siciliano: paghiaru) costruite dai pastori al seguito delle greggi.

Il contadinoAnche i contadini svolgevano il proprio ciclo lavorativo condizionato dal nomadismo. La loro vita, il loro sostentamento era infatti  condizionato dal latifondo su cui dovevano lavorare con ruoli spesso  differenziati:
- mezzadri
- giornalieri
- mandriani
- aratori
- potatori
- guardiani.
Condizionati dal sistema della rotazione, dalla necessita' di manodopera in particolari periodi dell'anno e dal bisogno di dover lavorare, i contadini erano costretti a spostarsi frequentemente da una tenuta all'altra. Era improbabile che ottenessero il lotto sufficiente per il sostentamento della rispettiva famiglia su un unico feudo, cosicché dovevano affittare in più luoghi i terreni da coltivare. Da queste considerazioni, a cui bisogna aggiungere l'insicurezza delle campagne, discende il carattere itinerante a dorso di mulo di buona parte delle ore della giornata trascorso dai contadini.
L'insicurezza e la carenza dell'ordine pubblico nelle campagne inducevano il contadino a dover pagare tributi a tutori privati che gli evitassero di finire vittima di aggressioni. L'insieme di tutti ngli oneri a cui si era vtenuti facevano sì che alla fine di un anno di lavoro il mezzadro portasse a casa meno di un quarto del raccolto.
Dal momento che il sistema di conduzione del latifondo era fondato per interdire la stabilizzazione del contadino sulla terra era ovvio che il luogo di residenza della gente fosse, a fine giornata, all'interno del centro abitato, sulla cui piazza gli agenti degli imprenditori (come in precedenza caratterizzati) concludevano i rapporti di lavoro con i mezzadri e con i braccianti.

Il sistema era fondato e finalizzato quindi per tenere la gente lontana dalla terra, infatti:
-il latifondista viveva in città, a Palermo,
-i gabelloti e gli amministratori preferivano vivere in paese, a Contessa,
- ed i contadini non avevano altra scelta che quella di vivere in paese anche per il rapporto precario che li intratteneva col lotto di terreno ottenuto dall'imprenditore di turno.
D'altronde l'esperienza ha mostrato che anche quando il contadino ha avuto la possibilità di divenire proprietario della terra, e financo di divenire ricco, non ha mai fissato su di essa, sulla terra posseduta la residenza. Sostiene Anton Blok che più un uomo diventa ricco più aumenta la probabilità che recida l'esile legame con la terra e diventi quindi un proprietario assenteista.
A questo punto dell'esposizione l'autore del libro mette in evidenza come il siciliano, e nello specifico il contessioto, non ami, non ritenga apprezzabile o desiderabile il lavoro agricolo. Lo fa cogliendo alcune espressioni e comportamenti dei contadini con cui era venuto in contatto.
1) i contadini nel corso della loro giornata lavorativa raramente cantano e se lo fanno appaiono melanconici.
2) al rientro dal lavoro, pur di non farsi notare, preferiscono fare percorsi più lunghi per raggiungere l'abitazione.
3) se qualcuno chiede loro "come stai ?" la risposta ricorrente e' " cuntrastamu" ossia ci dibattiamo, lottiamo.
4) Ciccio Parrino, un camionista, ha ricordato all'allora giovane antropologo olandese una espressione tutt'oggi in uso "u travaghiu u fici u diavulu" (il lavoro manuale e' opera del diavolo). Lo stesso camionista alla domanda dell'antropologo di esporre quale fosse il genere di lavoro rispettabile rispose "badare al lavoro degli altri".
Il convincimento dell'autore del libro e' che da noi, il disprezzo nei confronti della terra e nei confronti di coloro che sono costretti a lavorarla, discende dal "sistema" storico-latifondistico venutosi a creare e raffronta il "disprezzo" percepito qui col differente atteggiamento gioioso dei contadini ungheresi che invece sulla terra non avevano un rapporto precario bensì un alto grado di controllo e di padronanza.
Significativa e' la riflessione di Blok -quando per evidenziare il disprezzo sociale nei confronti di chi lavora la terra-   fa la distinzione fra
- i civili, coloro che ricevono deferenza e rispetto (i don) e
- i viddani, i campagnoli privi di raffinatezze e civiltà.

la donnaNella società contadina -all'ombra del latifondo- la donna e' esclusa dai lavori sui campi. Il prestigio dell'uomo e' esaltato se e' in condizione di evitare il lavoro manuale nei campi ai suoi familiari. L'uomo può essere affiancato nella fatica dai figli maschi non sposati mentre la moglie e le figlie femmine sono tenute alle incombenze domestiche.
Uscire da questo schema rigido, implica per l'uomo la perdita del proprio onore sia perché evidenzierebbe la sua insufficienza a mantenere la famiglia e sia perché non avrebbe il controllo sessuale su di essa.
Se le condizioni della famiglia erano  molto povere alle donne erano permessi alcuni lavori nei campi leggeri: fare legna, vendemmiare, raccogliere olive.

Il paragrafo sul 'lavoro agricolo' da noi oggi liberamente interpretato si chiude con lo stralcio di due relazioni sulle inchieste parlamentari condotte nel Circondario.
1) relazione DamianiContessa Entellina e' situato nel circondario di Corleone, che comprende otto centri, con una popolazione totale di 60.000 abitanti circa, ed una estensione appena superiore ai 970 km2. La densità e' quindi di circa 60 abitanti al km2. Riguardo allo sfruttamento della terra, predominano i cereali e i pascoli naturali, con il 60 e il 32 per cento rispettivamente. Non vi sono opere di irrigazione, ma diversi torrentelli (asciutti d'estate) attraversano il territorio. Si esportano grano e formaggio: a Contessa Entellina si producono annualmente 900 quintali di formaggio in tutto. La rete stradale e' in pessime condizioni: molti paesi infatti non hanno costruito le strade previste dalla legge del 1869. Predomina il latifondo, in particolare a Contessa Entellina, dove la terra e' concentrata in poche mani. In questo paese, la vendita delle terre della chiesa non ha avuto effetto sulla distribuzione della terra. La pubblica sicurezza e' insufficiente in tutta la zona e per questo e' molto frequente l'abigeato. I latifondisti affittano le loro proprietà ai gabelloti e vivono altrove. La forma più diffusa di subaffitto e' la cosiddetta mezzadria, un contratto che dura uno o due anni e concede al coltivatore molto meno della meta' del raccolto. I contadini sono frequentemente in debito verso il proprietario. Donne e bambini lavorano la terra solo raramente. I contadini hanno un aspetto vigoroso e si nutrono di minestre di verdura e pasta, pane e un po di vino. Solo in casi rarissimi la loro dieta comprende carne. Le condizioni abitative sono insalubri: la maggior parte dei contadini vive in un solo locale, che serve da cucina, da abitazione, da stalla, da magazzino e altro. I contadini hanno un'economia frugale, ma dati i loro bassissimi guadagni, non sono in condizione di risparmiare alcunché.
2) relazione LorenzoniIl circondario di Corleone e' uno dei più tipici e interessanti di tutta l'isola perché situato nel centro della regione granaria, in mezzo a un vasto territorio di latifondi; e rispecchia perciò la costituzione sociale propria di questi. Ha territorio molto esteso, coltivato nella massima parte a grano alternato con pascolo. Nel territorio predomina il latifondo. La pubblica sicurezza lascia parecchio a desiderare. Delle forme di delinquenza predominano gli omicidi ed i danneggiamenti per vendetta e gli abigeati, più frequenti d'inverno che in estate, perché, mancando il lavoro, sono più facili i complotti. Corleone e' centro di mafia, sentimento, non organizzazione, e l'omertà rende difficile debellare la delinquenza e la mafia. Ma l'omertà e' inevitabile anche per gli onesti, perché la giustizia non li può proteggere; e chi si confida ad essa può esser certo di venir colpito presto o tardi da gravissimi danni. E' un efficace fattore della poca sicurezza nelle campagne l'assenza quasi assoluta di vie carreggiabili. Contessa Entellina e' quello ove più intensa fu l'emigrazione: tra il 1902 e il 1907, 940 persone lasciarono il paese diretti oltremare. La ragione principale di tale esodo e' la persistenza del latifondo. Nel territorio di Contessa Entellina ci sono 19 latifondi, tutti più estesi di 200 ettari, che coprono all'incirca 7000 ettari, cioè più del 50% del territorio. Siccome questi feudi non si offrono in vendita e la proprietà divisa vicina al paese e' poca, gli emigranti non hanno terra da comperare; perciò o non tornano, o ritornati restano per poco tempo e ripartono. La manodopera va facendosi oltremodo rara e costosa e alcune terre si dovettero abbandonare e ridurre a pascolo. I più danneggiati da questo stato di cose sono i piccoli proprietari civili, e quei contadini o mezzadri che prendono terra dai proprietari o dai galeotti, ma che non bastano a coltivare da soli: "questa e' l'epoca più terribile che attraversiamo, dice uno di loro, per la mancanza di braccia a coltivare la terra e il rincaro della manodopera, s'aggiunga a questo lo sfruttamento dei gabelloti e si comprenderà la gravita' della situazione". Ma anche i gabelloti si trovano male, perché avendo conchiuso i contratti in epoca più favorevole, debbono mantenerli mentre la congiuntura e' peggiorata in loro danno. Essi perciò vanno man mano cedendo il campo, e il proprietario cede le terre direttamente ai contadini. "Ma e' giusto che essi spariscano -dice un agricoltore di Contessa Entellina- e' la mano di Dio che li colpisce. Non e' possibile immaginare quale sia, e quale sia stato nel passato lo sfruttamento dei contadini operato dai gabelloti. Per l'avidità di avere le terre, offrivano ai proprietari prezzi elevati, dei quali poi si rifacevano a danno del povero contadino, come venduto. Con la sparizione del gabellato, di questo vampiro, si miglioreranno tanto le condizioni dei contadini che dei proprietari, il guadagno del gabellato risultandone diviso fra contadini e proprietari".
I gabelloti, riconoscendo in parte giuste queste rimostranze, chiedono che una legge permetta loro di rescindere il contratto quando risulti che le condizioni sono radicalmente mutate dalle primitive che servirono di base agli attuali estagli la cui elevatezza "e' la principale causa dello sfruttamento del contadino".
A Contessa Entellina generale e' la richiesta che si obblighino i latifondi vicini al paese a dare in enfiteusi i loro fondi "dividendoli in piccoli poderi, sufficienti al mantenimento di una famiglia". Di loro spontanea volontà "difficilmente i latifondisti si indurrebbero a spezzare i loro possedimenti perché sembra a loro di perdere in potenza, pur guadagnandone in ricchezza". Stante l'usura, unanime e' pure il desiderio di ottenere una buona sistemazione del credito. "v'e' bensì -dicono i contadini- un Monte Frumentario; ma essendo necessaria per il prestito la garanzia di una persona solvibile, debbono rivolgersi per averla ai privati, che pretendono un premio del 15 o del 20 per cento".
Come in altri posti del circondario, la viabilità e' pessima, e il territorio di Contessa Entellina e' eminentemente malarico".
Queste condizioni socio-economiche  riportate nelle due inchieste, scrive Blok, sono rimaste sostanzialmente immutate fino agli anni cinquanta del Novecento quando fu attuata la riforma agraria, rivelatasi comunque inefficace nel soddisfare i bisogni dei contadini anche perché i proprietari ebbero possibilità di frammentare e vendere parte dei loro latifondi, cosi sottratti alla riforma.

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