In Sicilia gli ulivi piantati
nei secoli scorsi sono tutti sui declivi che generalmente guardano a
Sud, come se fosse una necessità l’avere il sole in faccia.
Questo è -per
esempio- il posizionamento degli uliveti più antichi di Contessa Entellina che
si insistono negli ex feudi di Serradamo, Contesse e Bagnitelle, là dove i primi
arbëreshe lì piantarono nel XV secolo. Più recentemente però sono diffusi un po’
ovunque, persino nei giardini di casa, nella zona di trasferimento dell’abitato
post-terremoto.
Adesso la coltura è più
sistematica ed accurata rispetto a cinquecento anni fà; le piante vengono potate,
concimate, talora irrigate e curate come figli. Gli ulivi in estate danno
colore alla campagna arsa di Sicilia assieme al pomodoro e al grano duro e
soprattutto alle viti.
I frantoi che fino a cinquant’anni fa esistevano in ogni
centro rurale oggi non sempre esistono nelle zone in cui gli uliveti si trovano.
I produttori di Contessa Entellina, grazie ai camionisti ingaggiati dai
titolari dei frantoi della zona, portano le olive a Chiusa Sclafani, a Sambuca
di Sicilia, a Santa Margherita Belice, a Salaparuta ….
Certo, chi vende l’olio non
può ritenersi gratificato per le cure dedicate, esso è pagato quest'anno al prezzo di €.
3,5 – 4,00 al litro.
Fare soldi non è stato mai
(storicamente) il primo pensiero dei contadini, oggi agricoltori, di Contessa Entellina.
Qui da noi, da secoli, i contadini -privi di terra- hanno sognato di sopravvivere
sul latifondo, ed oggi i loro discendenti non hanno dimestichezza nè col
marketing né ancor meno con la finanza globalizzata.
Nei tre feudi Serradamo,
Contesse e Bagnitelle i sassi tolti al terreno servivano per fare i muretti a
secco. Ma allora, nella società contadina la campagna era piena di gente.
Adesso il nostro paese, Contessa Entellina, è come un condominio o comunque un piccolo villaggio: 1800 abitanti
in tutto, e tanti sono gli anziani.
Negli ultimi decenni sono
stati piantati tanti alberi di ulivo per la semplice ragione che essi
richiedono meno lavoro rispetto ad altre colture, e soprattutto perché colorano
in estate l’aridità del territorio.
D’altronde l'ulivo vive
meglio in collina, fino a 600 metri, piuttosto che in pianura. Il gelo
invernale non lo uccide, e in collina dopo il freddo arriva subito dopo il sole.
Nella nostra terra ci sono
tantissimi grandi e vecchi ulivi che avranno due-trecento-quattrocento-cinquecento
anni, ed hanno resistito per tutto questo tempo al caldo e alle intemperie; ci
sono inoltre altri ulivi che hanno poco più di mezzo secolo, sono quelli
piantati subito dopo la riforma agraria col
supporto dell’ERAS. Molti altre piante sono state piantate negli ultimi
quindici anni grazie anche ad una promozione sostenuta originariamente dal Comune.
L' olio potrebbe diventare
business, però deve essere coltivato in vista dei gusti del mercato, deve
essere imbottigliato e deve essere ritenuto un tesoro prezioso da mostrare al consumatore come
tale.
Ad esso andrebbe associata
una immagine, una idea, un marchio. L’olio -da trattare come un tesoro- in una isola in cui esso abbonda, deve puntare,
dovrebbe puntare col suo marchio a diventare un prodotto di nicchia che aggreghi attorno ad
esso una folla di appassionati.
Però una agricoltura svolta con pochi giovani, una
agricoltura svolta come attività secondaria rispetto ad altre fonti di reddito perché
ereditata come mezzo di pura sopravvivenza, una agricoltura che non riesce a
dotarsi nemmeno di un frantoio locale, come può pensare di vendere l’olio a prezzi se non soddisfacenti almeno
remunerativi dei costi sostenuti ?
La raccolta delle olive è già
stata avviata da un paio di settimane e -in più luoghi- si svolge in condizioni difficoltose perché costringe
la gente a lavorare su pendii scoscesi. Gli sbattitori con i moderni attrezzi
meccanici scuotono i rami, inutilmente attenti a non ferire le olive e le fanno
cadere nelle reti.
Ancora una volta, in questi
giorni, si ripete l'antico rito contadino, quello che prescinde dal mercato a cui il
frutto viene comunque ceduto per pochi euro, pur vivendo noi nel terzo millennio
ossia in un periodo in cui il prodotto, qualsiasi prodotto, viene pagato dal consumatore non per ciò che esso è nella sostanza, ma per ciò che esso
appare, solo perchè colpisce l’immaginario.
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