ripreso dal sito dell'Università di Palermo:
Osservatorio per le Arti Decorative
in Italia "Maria Accascina
di Rosalia
Francesca Margiotta
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Le suppellettili liturgiche provenienti da Piana degli Albanesi costituiscono uno straordinario strumento per
accostarsi alla particolare configurazione religiosa e culturale di quella
comunità, tenacemente ancorata ad una tradizione, ma anche profondamente
radicata nel territorio che l’ha accolta. L’incontro tra il mondo
bizantino-greco ed il latino, tra la cultura albanese e quella siciliana, ha
prodotto oggetti di oreficeria artistica impregnati di un profondo sensus fidei[1], che nelle
forme si distinguono in parte dal patrimonio isolano, per la loro specifica
collocazione rituale e per l’appartenenza culturale dei committenti, nonostante
un comune orientamento stilistico risalente alla formazione degli orafi ed
argentieri locali che realizzarono i preziosi manufatti.
Le opere di
argenteria selezionate giungono soprattutto da Piana degli Albanesi e da
Mezzojuso[2] e sono per lo più realizzate da argentieri
palermitani del XVIII e XIX secolo, con qualche episodio tardo cinquecentesco e
secentesco.
È
significativo che tra le più antiche opere rintracciate nel territorio
dell’Eparchia, vi sia una “vasca battesimale” (η Κολυμβήθρα), strumento dei
riti dell’Iniziazione cristiana, che trova diversa espressione nelle due
Liturgie. La grande vasca di rame della fine del XVI secolo della chiesa di San
Nicolò di Mira di Mezzojuso , espressione artistica di grande eleganza, è stata
giustamente collocata storicamente nell’ambito della temperie manierista che
vide protagonisti a Palermo i Gagini[3]. L’opera, sostenuta da piedini
zoomorfi e ornata da mascheroni, è strettamente raffrontabile con quella
dipinta nel 1619 nella tela di Francesco Quaraisima, custodita nella chiesa dei
Ss. Filippo e Giacomo di Caccamo[4]. Altro raffronto tipologico offre la più
tarda vasca raffigurata sulla tela Nascita della Vergine (1650) del messinese Giovan
Battista Quagliata[5]. Pressoché coevo all’opera di Piana è il
manufatto in rame dorato e sbalzato della chiesa di San Nicolò di Contessa
Entellina, che presenta un corpo centrale caratterizzato da grossi baccelli[6] .
La
realizzazione di oggetti in rame è attestata anche a Piana degli Albanesi in un
periodo molto più tardo. Il 23 novembre 1755 magister Giovanni La Rosa di Palermo riceve
onze 11 e tarì 2 dal procuratore della Chiesa Madre pro pretio
di n. novi lampieri di ramo giallo con suoi cappelletti di ramo giallo e sue
frinze di seta ed ancora
il 2 ottobre 1772 Giovan Battista Cangiamila di Palermo riceve onze 3 dal
sacerdote don Gioacchino Petta, procuratore della Matrice di Piana, pro pretio
di otto balli di ramo giallo per servitio delli lampieri della Maggior Chiesa
per cambiatura d’un lampiere rinovato di ramo giallo per conciatura delli
lampieri vecchi, per cambiatura d’una campanella. Si ricorreva al rame probabilmente
per limitare le spese in un periodo in cui nella Matrice Chiesa fervevano tanti
lavori, tra le opere realizzate va ricordato un paliotto di marmo per la
cappella del SS. Rosario, commissionato dal sacerdote Onofrio Bua, procuratore pro tempore, a Giovan Battista Mascarello il 27
agosto 1767, per la cui caparra furono versate onze 3 e tarì 18[7].
La “vasca
battesimale” ha grandi dimensioni per consentire di immergere agevolmente e far
riemergere il battezzando, lavandolo nell’acqua santificata, detta appunto
lustrale[8]. Dopo l’invocazione dello Spirito Santo, con la quale
il sacerdote benedice l’acqua, viene amministrato il Battesimo mediante
triplice immersione, invocando le tre persone della Trinità, il Padre, il
Figlio e lo Spirito Santo, simboleggiando, come scrive Giovanni Crisostomo, «la
discesa agli inferi e l’uscita da questa dimora»[9].
Successivamente
il neonato riceverà la Cresima, «secondo sacramento dell’iniziazione cristiana,
che trasmette l’energia dello Spirito Santo e i suoi molteplici doni al
neo-battezzato per il cammino, la crescita e il perfezionamento della nuova
vita in Cristo, ricevuta dal battesimo»[10], e l’Eucaristia.
L’abluzione con l’acqua benedetta nel rito battesimale
latino ha portato alla realizzazione di piccoli recipienti per raccogliere
l’acqua dal fonte e riversarla sul capo del battezzando, tra cui coppette,
conchiglie, mestoli battesimali, saliere, vasetti per l’olio santo[11]. Tali
oggetti sono generalmente corredati da un bacile per raccogliere l’acqua e
fungere da sostegno[12]. Si ricorda tra tutti la coppetta a forma di
conchiglia di collezione privata trapanese, realizzata da argentiere
palermitano del 1689, caratterizzata dalla presenza di un uccello nella parte
superiore, dal forte valore iniziatico; il mestolo battesimale di collezione
privata palermitana del 1748-49 e il completo per il sale, non omogeneo, del
Tesoro del Duomo di Monreale, eseguito da argentieri palermitani dei secoli
XVII-XVIII-XIX[13].
Utilizzato
dal sacerdote di rito bizantino-greco per le unzioni prebattesimali è il crisma
o olio dei catecumeni, chiamato dalla liturgia “olio dell’esultanza”, che
protegge il battezzando dagli assalti del demonio[14] e che nella
chiesa orientale viene consacrato dai sacerdoti per antica tradizione[15]. Per
l’amministrazione del Sacramento della Cresima ai neobattezzati viene adoperato
il Santo Myron, unguento profumato ricavato dall’olio e dal balsamo, misto a
varie sostanze odorifere, consacrato dal Vescovo, che serve anche per la
consacrazione delle icone, del calice e del discario[16]. Questi
oli, insieme a quello usato per l’Estrema Unzione, sono contenuti in pregiati
vasi per lo più d’argento che, soprattutto per la custodia del Myron, devono
contenere all’interno una boccetta di vetro dentro la quale vi è una piccola
asta che si immerge nel liquido e permette di prelevare una piccola quantità
del santo unguento[17].
Esempi di
vasi porta oli sono quelli esposti in mostra, provenienti da Piana degli
Albanesi e da Contessa Entellina[18] (fig. 3) e custoditi presso il
Museo Diocesano di Piana degli Albanesi intitolato a monsignor Giuseppe
Perniciaro, eletto vescovo il 26 ottobre 1937, nella stessa data di erezione
dell’Eparchia, e consacrato il 16 gennaio 1938[19]. I manufatti di Piana, realizzati
in argento sbalzato e cesellato, recano lo stemma della città di Palermo,
l’aquila a volo basso, e la sigla consolare GGSC, da riferire a Giovanni
Giorgio Stella, che detiene la prestigiosa carica all’interno della maestranza
dal 21 gennaio 1651 al 4 gennaio 1652[20]. Gli altri esemplari in piombo con
iscrizioni in greco sono da ascrivere a maestranze siciliane del XVII secolo.
Uno dei
primi oggetti usati nella Protesi, parte iniziale della divina Liturgia
bizantina, posto sull’omonimo altare, situato nell’abside a sinistra di chi
guarda l’iconostasi, luogo liturgico che simboleggia Betlemme e la grotta della
nascita di Cristo[21], è la “lancia per il pane” (η lógχh), coltello
a doppio taglio, cui viene associata l’immagine del soldato romano che ha
trafitto il costato di Cristo sulla croce[22]. Il suo uso rivela la diversa
evoluzione della forma liturgica tra rito greco e rito latino, pur nella comune
origine. Ridotto all’essenziale nella chiesa latina[23], il rito
della frazione del pane è ancora particolarmente vivo in quella greca e
costituisce l’inizio della divina Liturgia eucaristica, accompagnato da
preghiere che fanno memoria del sacrificio di Cristo. La forma di questo
oggetto liturgico è genericamente di piccola lancia con manico cruciforme che
serve al sacerdote appunto per tagliare la prosforà (η προσφορά), il pane fermentato
offerto dai fedeli per la celebrazione liturgica[24], la cui
parte centrale porta impresso il monogramma di Cristo (IC XC NI KA, Gesù Cristo
Vince) e dal quale si prendono alcune particelle che verranno consacrate per la
comunione dei fedeli[25], mentre ciò che resta viene benedetto e alla fine
della Liturgia distribuito ai fedeli[26].
Databile al
1752-53 è la lancia priva di decorazioni (fig. 4), proveniente dalla Cattedrale
di San Demetrio di Piana degli Albanesi[27], opera di ignoto argentiere
palermitano, poiché reca il marchio della maestranza del capoluogo siciliano,
l’aquila con le ali a volo alto, ed il punzone del console Giovanni Costanza,
che ricopre la più alta carica dal 25 giugno 1751 al 27 giugno 1754[28].
Altrettanto
semplice doveva essere l’analogo oggetto liturgico citato in un inventario
della Chiesa Madre di rito greco, intitolata a San Nicola, di Contessa Entellina[29].
Suppellettile
fondamentale nella divina Liturgia del rito bizantino - ma anche in quello
latino - è il calice (τò ποτήριον), destinato a contenere il vino della
celebrazione eucaristica e piccoli pezzi di pane con i quali vengono comunicati
i fedeli[30]. Ne è un esempio il calice in argento sbalzato della
chiesa dell’Odigitria di Piana degli Albanesi[31] (fig. 5). Il prezioso manufatto
propone la tipologia secentesca caratterizzata dalle aggettanti testine di
cherubini alate, analogamente proposte da svariate opere coeve sparse in tutta
l’isola, tra cui il calice della Chiesa Madre di Polizzi Generosa del 1686-87[32] e quello
della chiesa dei Padri Cappuccini di Bisacquino del 1696-97, siglato da un
ignoto argentiere FL, che fa seguire alle sue iniziali un asterisco come segno
distintivo[33]. Il manufatto di Piana reca la triplice punzonatura
composta dal marchio di Palermo, l’aquila coronata a volo basso, le iniziali
del console Giuseppe Cristadoro, che lo vidimò nel 1696-97 e quelle dell’argentiere
DR da identificare, probabilmente, con Didaco Russo, la cui attività è
documentata solo dal 1701 al 1729[34]. L’artista fu attivo nel 1716 a
Termini Imerese ove realizzò le urne di Santa Candida, di Santa Basilla e di
San Calogero romano[35] ed ancora nel 1718 a Polizzi Generosa dove eseguì una
croce processionale oggi custodita nel Tesoro della Chiesa Madre[36]; nel 1719 e
nel 1723 fu anche a Ciminna e l’anno successivo a Mussomeli[37]. Si
riscontra il marchio DR pure sull’ostensorio della Madonna della Dayna, da
datare dopo il 1715 per la presenza dell’aquila a volo alto, e sul paliotto
della Chiesa Madre di Naro, opera del 1724[38].
Evidenzia il
trapasso dalla base circolare secentesca a quella settecentesca, mistilinea e
tripartita da carnose volute, il calice del Tesoro del Duomo di Monreale (fig.
6) che mostra alla base le tre Virtù teologali, Fede, Speranza e Carità, con i
rispettivi attributi iconografici[39], raffigurazioni di stretta
derivazione serpottesca, che testimoniano gli scambi continui tra le diverse
branche dell’arte[40]. La Fede regge in mano il simbolico calice con
l’ostia e la croce, la Speranza l’ancora e la Carità è raffigurata nell’atto di
allattare un bambino posto sulle sue braccia, similmente al calice del 1748-49
della Maggiore Chiesa di Termini Imerese, realizzato dall’argentiere Pietro
Curiale[41]. L’opera monrealese è stata eseguita nel 1744-1745 da
un anonimo argentiere palermitano dalla sigla GS* contrassegnata da un
asterisco[42]. Tra le produzioni di oreficeria sacra siciliana
caratterizzate da simili ornati si ricorda il calice realizzato per il
Santuario dell’Annunziata di Trapani datato 1751, l’ostensorio del 1745 ed il
calice del 1748, entrambi provenienti dalla chiesa di S. Maria Assunta di
Sambuca di Sicilia[43].
Allo stesso Tesoro della Cattedrale normanna
appartiene il calice (fig. 7), già nella collezione Renda Pitti, investito da
un motivo a spirale che interessa tutta l’alzata e termina nel sottocoppa[44]. L’opera ha
impresso l’incompleto marchio G78 da riferire a Gioacchino Garraffa, che
ricoprì la più alta carica all’interno della maestranza nel 1777 e nel 1778,
data quest’ultima di realizzazione del manufatto[45].
Al posto
della patena, nel rito bizantino-greco, è usato il discario (τò δισράριον) un
piatto circolare metallico con i bordi curvati in alto, atto a contenere la già
citata prosforà[46]. Sul discario si colloca
l’asterisco (o Аστερίσκος) formato da due lamine metalliche incrociate piegate
a semicerchio e fissate al centro da cui pende una stella. Tale oggetto
liturgico, usato affinché il velo che copre il discario stesso non venga a
contatto con il pane eucaristico, simboleggia la stella che guidò i Re Magi
alla grotta di Betlemme dove nacque Gesù, immagine che rievoca un momento della
storia evangelica[47].
Un asterisco
d’argento è citato nell’inventario del 1791 della chiesa di rito latino di
Maria SS.ma della Favara di Contessa Entellina, redatto in occasione della
Sacra Visita di monsignor Antonino Cavalieri, vescovo della diocesi agrigentina[48].
Il pane
eucaristico viene distribuito ai fedeli con la santa labida (η λαβίς),
cucchiaino liturgico destinato a contenere un pezzetto di pane, intriso di vino
consacrato, per la distribuzione della santa comunione ai fedeli.
Si presenta
semplice, senza alcuna decorazione, il cucchiaino custodito in Episcopio.
Quattro cucchiaini per distribuirsi la SS.a Eucaristia, tre di argento dorato ed uno di
ottone, sono elencati in un altro inedito documento del 1797 tra le
suppellettili d’oro e d’argento della sagrestia della Chiesa Madre di San
Nicola di Contessa Entellina[49].
A differenza
del rito bizantino-greco, quello latino non prevede la distribuzione del pane
eucaristico mediante il cucchiaio, se non in rarissimi casi e spesso sostituito
dalle pinze eucaristiche; rari e per lo più circoscritti all’Europa
continentale pure i casi di cucchiai usati nel rito latino per versare alcune
simboliche gocce d’acqua nel vino[50].
Per
conservare le Sacre Specie, nelle chiese bizantino-greche, servono
suppellettili dalle coppe molto capienti. Una panciuta coppa caratterizza la
pisside di argento dorato della chiesa di San Giorgio di Piana (fig. 8)
eseguita da un ignoto argentiere siciliano degli inizi del XVII secolo[51], innestata
alla base da un fusto con nodo ovoidale tipico dell’epoca, che deriva «dalla
cultura della maniera che da Napoli giunge in Sicilia, attraverso opere inviate
e artisti trasferiti nell’isola»[52]. L’opera, riferibile alla pisside
addorata, citata nell’ inventario redatto nel
1715 in occasione della visita pastorale del cardinale Francesco Giudice[53],
è caratterizzata da motivi ad arabeschi ed ingloba vari medaglioni all’interno
dei quali sono raffigurati Cristo Risorto, la Madonna con il Bambino, San
Giovanni Evangelista e San Giorgio nell’atto di uccidere il drago[54], mentre nel
nodo figurano i simboli della Passione di Cristo ed alla base è incisa la
scritta fattu per la confraternita di
santu Giorgiu, sodalizio che aveva sede nell’eponima chiesa[55]. Il
manufatto è raffrontabile tipologicamente con la coeva pisside, non omogenea,
della chiesa di Santa Maria di Gesù di Gratteri, sulla cui coppa sono incise
figure di santi francescani[56], e con la parte superiore della pisside della chiesa
Madre di Caccamo della seconda metà del XVI secolo che presenta incise le scene
dell’Annunciazione, della Natività, della Crocifissione e di San Giorgio e la
principessa[57].
Appartenente
al corredo liturgico della chiesa di San Nicolò di Mira di Mezzojuso è la
pisside (τò Αρτοφόριον) rettangolare, secondo una tipologia esclusivamente
legata al rito bizantino, incisa con eleganti ornati fitomorfi, recante nella
parte superiore i simboli della Passione di Cristo (chiodi, frusta, gallo,
scala, dadi e martello) e conclusa da una croce poggiante sul Golgota con il
simbolico teschio di Adamo (fig. 9). Il manufatto, privo di marchi, ma
ascrivibile ad argentiere siciliano del XVIII secolo[58], richiama
alla memoria per la sua forma la più antica cassetta reliquiaria di San Martino
della Chiesa Madre di Corleone[59].
Presenta una
particolare forma esagonale, ancora una volta di ascendenza bizantina, la
pisside con iscrizioni della chiesa di San Nicolò di Mira di Mezzojuso (fig.
10) che riprende la più antica tipologia di pisside su piede (pediculata) a torre di forma cilindrica con
coperchio incernierato, antecedente al Concilio tridentino, che segnò
l’evoluzione della pisside verso forme simili a quelle del calice, seppure con
coperchio ed imboccatura più larga e quindi coppa maggiormente bombata[60]. L’opera,
esposta alla Mostra delle iconi del 1957-58 e del 1980 e più recentemente a quella Tracce
d’Oriente[61], eseguita da argentiere siciliano nel 1881, è copia
di un più antico manufatto del 1770, trafugato nel 1878[62].
Tipologicamente
affine all’opera di Mezzojuso è la pisside con base esagonale del Tesoro del
Duomo di Siracusa, eseguita da ignoto argentiere messinese nel 1751 che propone
la figura di Gesù Bambino con il globo in mano[63] e quella custodita nel Tesoro del
Duomo di Erice, riferita ad argentiere trapanese del 1819[64].
Ancora molto
capiente, nonostante appartenga al rito latino che dal X-XI secolo sostituisce
il pane con le ostie riducendo notevolmente di dimensioni le pissidi[65], è
l’esemplare facente già parte della collezione Renda Pitti, oggi custodito nel
Tesoro del Duomo di Monreale[66] (fig. 11), che propone in una sezione della base,
tripartita da volute, il martirio di Santo Stefano. Il Protomartire cristiano è
rappresentato in ginocchio di fronte al lapidatore pronto a scagliargli contro
i sassi che tiene in mano. Il Santo volge lo sguardo verso l’alto ove vi è un
puttino con in mano la palma del martirio ed una corona, secondo quanto scritto
negli Atti degli Apostoli: Stefano pieno di Spirito Santo, con lo sguardo fisso
al cielo vide la gloria di Dio… e disse “Ecco, io contemplo i cieli aperti” (7, 55-56)[67]. Nelle altre due sezioni figurano San
Francesco che dona la regola a Santa Chiara e un angioletto in adorazione
dell’Immacolata Concezione, la cui iconografia, similmente alla Vergine senza
macchia del leggio in argento e tartaruga del Museo Diocesano di Palermo, è
tratta dalla visione onirica dell’Apocalisse di San Giovanni: una donna
rivestita del sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di
dodici stelle[68]. La ricchezza decorativa dominata da motivi rocaille, testine di cherubini alati,
simboliche spighe e grappoli d’uva, culmina con la raffigurazione nelle volute
del coperchio dell’Agnus Dei posto sul libro dei sette sigilli, allegorica
raffigurazione di Cristo, del Buon Pastore e del Pellicano. Già nel II secolo
d.C. il Physiologus a proposito del pellicano afferma che, «mentre la
femmina di questo animale soffoca i piccoli, il maschio ridà loro la vita
lacerandosi il petto e facendo cadere il proprio sangue su di essi»[69]. Non a caso
lo ritroviamo anche in molte croci dipinte siciliane del XV secolo, che lo
presentano nel capocroce superiore, sottolineando la funzione salvifica del
Cristo Crocifisso sulla croce[70].
L’opera di Monreale che reca il marchio della città di
Palermo, l’aquila a volo alto, e le iniziali del console del 1763-64 Nunzio
Gino, è stata realizzata dall’argentiere Vincenzo Papadopoli che era solito
apporre sui suoi manufatti le proprie iniziali, contraddistinte da due
asterischi V*P*, sigla più volte rilevata da Maria Concetta Di Natale in opere
del Tesoro della Matrice di Castelbuono[71]. L’artista palermitano, la cui
identità è stata confermata da un documento d’archivio relativo al reliquiario
di San Calogero della Maggiore Chiesa di Petralia Sottana del 1771[72], è
documentato in attività dal 1762 al 1789, anno della sua morte[73]. Analoghe
soluzioni decorative presenta la pisside del Tesoro della Matrice Nuova di
Castelbuono, realizzata dallo stesso argentiere tra il 1770 e il 1771[74].
Di
proporzioni molto più contenute è la pisside proveniente dalla Cappella della
“Real Casina” di Ficuzza[75] (fig. 12), fatta costruire da re Ferdinando IV di
Borbone, nella seconda metà del XVIII secolo, su disegno del progettista di
corte Carlo Chenchi e sotto la direzione dei lavori dell’architetto palermitano
Venanzio Marvuglia[76]. L’opera, totalmente ricoperta da decorazioni
figurate che si intrecciano e si susseguono, è un pregevole esempio di
argenteria napoletana della seconda metà del XVIII secolo, che dimostra la
straordinaria abilità degli argentieri partenopei, purtroppo ignoti per
l’assenza di punzoni.
Un posto
d’onore nelle chiese orientali ha il libro degli Evangeli, situato sulla Sacra
Mensa. Il libro liturgico contiene le pericopi evangeliche della liturgia
quotidiana dei quattro evangelisti, divise ed ordinate secondo il calendario
liturgico bizantino, le pericopi evangeliche dell’anno ecclesiastico, le
ufficiature varie, e l’Ευαγγέλιστάριον, cioè le tavole e le rubriche indicanti l’ordine delle
letture nell’ufficiatura[77].
Pregevole
esempio di Evangeliario (τò Ευαγγέλιον) è quello con copertina in argento sbalzato del Museo Diocesano
“Mons. Giuseppe Perniciaro” di Piana degli Albanesi realizzato da artista
slavo, che reca incisa in uno scudo la data 1898[78]. Il
manufatto presenta da entrambi i lati una decorazione con volute, motivi
floreali e fitomorfi formanti cornici mistilinee e includenti due diverse
scene. Nel recto, infatti, figura Cristo Crocifisso con ai piedi il simbolico
teschio di Adamo e lateralmente la Vergine dolente e Santa Maria Maddalena,
mentre nel verso è effigiato Cristo Risorto, posto al di sopra del sepolcro
scoperchiato, secondo l’iconografia post-tridentina, e con il vessillo in mano,
iconografia di derivazione occidentale poiché la Resurrezione nella tradizione
bizantina è rappresentata dal Cristo che libera dagli inferi i progenitori e i
Giusti del Vecchio Testamento, come nella croce della chiesa di S. Maria di
tutte le Grazie di Mezzojuso[79]. Agli angoli, da un lato, sono inseriti le figure dei
Profeti Davide, Salomone, Isaia e Geremia, che hanno predetto la Resurrezione
di Cristo, mentre dall’altro i quattro evangelisti accompagnati dai «quattro
animali della visione di Ezechiele (Ez 1,5-14), donde il simbolismo che sempre
li accompagna nelle arti figurative. Secondo S. Girolamo (Comm. In
Matth. Prol.; Comm. In Ez ad I, 7 e sg.) Matteo è simboleggiato nell’uomo perché il suo
Evangelo inizia con la genealogia umana di Cristo; Marco nel leone, perché
inizia con Giovanni Battista nel deserto; Luca nel vitello, perché inizia con
Zaccaria; Giovanni nell’aquila, per la sublimità con cui descrive la divinità
del Verbo»[80].
La raffigurazione degli Evangelisti accompagnati dai
loro simboli è presente anche sulla base del calice in argento e argento dorato
della fine del XVII - inizi del XVIII secolo della chiesa di Maria SS.ma della
Favara di Contessa Entellina[81], costruita, secondo una pia credenza popolare, in
tempi molto antichi, presso una fonte ove era stata rinvenuta una lastra di
pietra con l’effigie della Madonna[82].
Importanza
rilevante durante il rito bizantino-greco assume l’incensazione. Il turibolo
(τò θυμιατήριον) usato ha solitamente dimensioni molto più contenute rispetto a
quello del rito latino, dal momento che, a differenza di quest’ultimo,
nell’incensazione viene tenuto con una sola mano. Si presenta generalmente
sostenuto da quattro catenelle fornite da dodici sonagli, tre per ciascuna
catena, il cui allegro suono vuole ricordare i dodici apostoli che annunziarono
l’Evangelo nel mondo e serve per profumare l’altare, i santi doni (il pane e il
vino destinati a divenire Eucaristia), le icone, le persone e ogni oggetto[83]. A
differenza del rito latino l’incenso puro viene utilizzato solo nelle liturgie
funebri, nelle altre occasioni viene aromatizzato con profumazioni di fiori ed
erbe[84].
Il turibolo
e la navicella portaincenso scelti tra gli esemplari di rito latino, facevano
parte delle sacre suppellettili commissionate a Napoli dal re Ferdinando di
Borbone per la cappella della “Real Casina” di caccia di Ficuzza[85] (fig. 13),
ornata all’altare maggiore dalla tela raffigurante Santa
Rosalia di Giuseppe
Velasco[86]. Le opere, caratterizzate da una decorazione rocaille, nonostante siano prive di marchi
sono databili alla metà del XVIII secolo.
Nella
liturgia pontificale al momento del Grande Ingresso vengono portati in
processione, aperta dalla croce, oltre al calice e alla patena, anche la corona
o mitra ed il bastone pastorale. Tra le suppellettili legate a questo momento
della Liturgia, presenta una consueta tipologia la croce astile in argento
sbalzato proveniente dalla Cattedrale di San Demetrio di Piana degli Albanesi[87]. La croce,
poggiante su grosso nodo con ornati fitomorfi che la congiunge all’asta,
presenta la figura del Crocifisso, verosimilmente non omogeneo al resto
dell’opera, realizzato in rame dorato, con il capo reclinato sulla spalla
destra e lo sguardo rivolto al cielo, prefigurando «un superamento del momento
della morte verso la Resurrezione»[88]. Elementi a traforo con inserimento
di testine di cherubini ornano le parti terminali dei bracci. Il manufatto,
punzonato con il marchio della città di Palermo, caratterizzato dall’aquila a
volo alto, e quello del console del 1739 Giovanni Costanza, è stato realizzato
dall’argentiere palermitano Antonino Nicchi che sigla le sue opere con le
iniziali intervallate da un puntino[89]. L’argentiere, documentato dal 1727
al 1781, anno della sua morte[90], già individuato da Maria Accascina[91], realizza
un gruppo di pregiate suppellettili per il monastero benedettino del Rosario di
Palma di Montechiaro[92].
Il pastorale
(ποιμαντική ‘Рάβδος) di madreperla, avorio e tartaruga custodito in Episcopio è
da riferire ad artista greco della seconda metà del XVIII secolo[93] (fig. 14).
Anche le maestranze siciliane, soprattutto quelle trapanesi, erano esperte in
questo tipo di lavorazioni[94]. Una delle tante sculture in avorio eseguite da tali
maestranze è, ad esempio, il gruppo della Madonna del Rosario del secolo XVIII
di collezione privata palermitana, posto in una scarabattola lignea
impiallacciata da lamine di tartaruga e impreziosita da decori floreali in
madreperla[95]. L’opera di Piana culmina con un globo sormontato da
due anse a testa di serpente contrapposte, simbolo della prudenza che deve
avere il Vescovo nel dirigere il gregge[96]. Tale forma «è attestata verso la
fine del 300 o l’inizio del 400 da Simeone di Tessalonica: se la croce è “il
trofeo per mezzo del quale vinciamo”, i serpenti rivolti verso di essa rammentano
questa parola di Cristo (Matteo 10, 16): “Ecco, io vi mando come pecore in
mezzo ai lupi, siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le
colombe”»[97].
Simile
impostazione tipologica dell’opera di Piana degli Albanesi presenta il pastorale
posto accanto a San Gregorio, in uno dei sei affreschi dei Padri della
Chiesa greca eseguiti,
nel 1752 circa, da Olivio Sozzi nella chiesa di Santa Maria di tutte le Grazie
di Mezzojuso (fig. 15)[98] e quello raffigurato nella tempera su muro Il ritorno
di Nicodemo al soglio Vescovile di Palermo di Palazzo dei Normanni di Palermo, opera del 1830
circa di Vincenzo Riolo[99]. Un’altra opera che ripropone un pastorale pressoché
identico a questo di Piana è riprodotto nella tela del XIX secolo ritraente San
Spiridione della Cattedrale di San Demetrio dello stesso centro.
Proveniente
dal monastero delle suore benedettine di San Castrenze di Monreale[100]
è invece il baculo pastorale (fig. 17), commissionato, come si evince
dall’iscrizione, dalla badessa donna Nunzia Fulci ad un ignoto argentiere
palermitano e marchiato dal console Francesco Cappello in carica dal 21 luglio
1745 al 22 agosto 1746[101]. Il manufatto culmina con un riccio ornato da foglie
d’acanto terminante con la statuina di San Benedetto, in atteggiamento
estatico. Tipologicamente simile doveva essere il perduto pastorale,
commissionato il 23 gennaio 1606 dai monaci dell’abbazia di Santa Maria del
Bosco all’orefice e argentiere Pietro di Capua[102], citato nell’inventario del 1642
relativo al monastero nemorense[103].
Nonostante
l’ostensione non facesse parte delle pratiche liturgiche bizantino-greche,
arrivati in Italia gli albanesi vennero a contatto con la tradizione liturgica
latina mutuandone alcuni aspetti ed adeguandosi alle innovazioni introdotte dal
Concilio di Trento.
Alla fine
del XIX secolo si ha notizia che Ferdinando II di Borbone, con il Real Rescritto
del 5 agosto 1845, ordinava alla Matrice greca di Palazzo Adriano di «fare la
processione del Corpus Domini, alla quale dovranno intervenire il Parroco ed il
Clero latino; nella intelligenza che il primo posto a sinistra sarà occupato
dal Parroco Latino e così di seguito il Clero Greco occuperà il lato destro ed
il Latino il sinistro, con farsi procedere ciascuno dei due Cleri dalla propria
croce, e con cantare ciascuno secondo il proprio rito, alternando»,
disposizioni però che furono oggetto di controversie[104].
Dall’osservazione
degli “ostensori” recentemente esposti alla mostra Tracce
d’Oriente emerge la
diversa soluzione adottata per la teca espositiva che si fa quadrangolare[105] poiché
doveva accogliere le “Sacre Specie”, il pane generalmente tagliato in forma
rettangolare o quadrata, o circolare[106] secondo gli schemi dell’ostensorio
a disco raggiato la cui tipologia in uso dalla metà del XV secolo, allude
all’identificazione simbolica dell’Eucaristia con il sole, secondo il versetto
biblico “in sole posuit tabernaculum suum” (Salmi, XVIII, 5)[107].
Fin dalla
sua prima affermazione, l’ostensorio è accomunato, sia lessicalmente che
morfologicamente, al reliquiario con cui condivide la funzione di contenitore
di sacre specie, considerando per analogia l’ostia consacrata la più alta
reliquia[108].
È stata più
volte chiarita e sottolineata l’evoluzione di questo sacro contenitore che vede
principalmente distinguersi le tipologie di ostensorio architettonico[109], a lungo
perdurante in Sicilia anche nella sua forma monumentale, e di ostensorio
raggiato[110], che ebbe la sua esplosione nel Seicento.
Le due
tipologie appaiono riunite negli ostensori dell’Eparchia di Piana degli
Albanesi dove radi raggi si dipartono da un ricettacolo quadrangolare di foggia
architettonica assimilabile alle quadrature pittoriche settecentesche. Il
riferimento trova anche una sua giusta logica nella familiarità del fedele di
rito bizantino con la venerazione delle icone, delle immagini sacre definite
dai teologi finestre sul mistero «varchi per immettersi in dimensioni diverse
dall’umano, luoghi all’interno dei quali si penetra solo in virtù della
contemplazione, con la speranza di trovare risposte ai misteri della vita e
della morte, della fede e della sofferenza, richiamandosi alla mymesis, ossia
alla testimonianza della fede attraverso l’ispirazione al modello originario»[111]. L’ostia
posta entro una cornice si fa icona da adorare, e da cui ricevere la luce
divina emanata dai raggi che la circondano.
Appartengono
alla tipologia degli ostensori raggiati ma con ricettacolo architettonico i due
esemplari esposti in mostra, provenienti dalle chiese di San Giorgio di Piana
degli Albanesi e di San Nicolò di Mira di Mezzojuso[112].
Il manufatto
della chiesa di San Giorgio di Piana degli Albanesi[113] (fig. 18),
in argento e argento dorato, con base gradinata e polilobata ornata da motivi
fitomorfi e con teca quadrangolare, reca il marchio della città di Palermo,
l’aquila a volo alto con la sigla RUP ed il marchio del console GC24, da
riferire a Giuseppe Cristadoro che ricopre la più alta carica all’interno della
maestranza dal 7 luglio 1721 al 3 luglio 1725[114].
L’ostensorio
della chiesa di San Nicolò di Mira di Mezzojuso (fig. 19), con base tripartita
da volute e caratterizzato da un angelo che sorregge la teca quadrangolare, è
opera di argentiere palermitano del 1735[115]. L’opera, citata in un inventario
del 1849 tra i giogali della chiesa dedicata al Santo[116], reca,
infatti, l’aquila di Palermo a volo alto e il punzone AG735 da riferire ad
Antonino Gulotta in carica dall’8 luglio 1735 al 26 giugno 1736[117]. L’identità
dell’abile argentiere si cela dietro la sigla GIF. Splendido esempio di
ostensorio, classificato da Benedetta Montevecchi come architettonico, è la
perduta opera del XVIII secolo della Cattedrale di San Demetrio di Piana degli
Albanesi[118].
Simile
impostazione tipologica e stilistica presenta l’ostensorio con San Michele
Arcangelo della chiesa di S. Maria Odigitria di Piana degli Albanesi,
realizzato nel 1748 da un anonimo argentiere palermitano[119].
Certamente
legati alla devozione della comunità latina dell’Eparchia sono i due ostensori
raggiati custoditi nel Museo Diocesano “Mons. Giuseppe Perniciaro” di Piana
degli Albanesi. Il più antico, riccamente decorato con motivi fitomorfi ed
aggettanti testine di cherubini alate (fig. 20), presenta una raggiera, formata
dall’alternarsi di lance e fiamme, culminante con elementi stellari[120], analogamente
alla decorazione terminale dell’ostensorio di Palazzo Abatellis prodotto dalle
maestranze trapanesi del corallo[121]. L’opera in esame reca l’aquila a
volo basso, il punzone del console del 1698-1699 Virginio Cappello (V.C.98)[122] e le
iniziali dell’argentiere FM.
L’altro
manufatto[123] (fig. 21), ancora pervaso da decori secenteschi, è
più tardo, ha impresso infatti lo stemma di Palermo con l’aquila a volo alto,
la sigla del console Nicola Lugaro, accompagnata dalle ultime tre cifre della
data 1715 (NL715)[124].
Dalla chiesa
di San Vito dello stesso centro proviene l’ostensorio con teca circolare,
vidimato nel 1739 dal console Giovanni Costanza, da attribuire, come la croce
astile della Cattedrale di San Demetrio, all’argentiere palermitano Antonino
Nicchi[125]. Il manufatto, analogamente al citato calice, reca
alla base le Virtù Teologali, Fede, Speranza e Carità, mentre il fusto è
caratterizzato da una microscultura di un angelo con funzione di raccordo tra
teca e base, che rievoca quelli posti a sostegno del sarcofago di Santa Rosalia[126]. Tale
soluzione è stata adottata in svariate opere prodotte tra il XVII e il XVIII
secolo, tra cui nel reliquiario dei Ss. Pietro e Paolo della Cappella Palatina
di Palermo, ove una figura angelica regge un vaso da cui diparte una
composizione circolare di fiori e foglie contenente le reliquie dei santi[127].
Impreziosisce
l’ostensorio di Piana l’inserimento nella raggiera di una sculturina
raffigurante il volto di Cristo in corallo. L’uso del prezioso elemento marino
per la decorazione di parati e oggetti liturgici non è soltanto dettato dal
perdurare del gusto barocco, quanto alla sua simbologia il cui valore
apotropaico, che nel mondo classico affondava le sue radici nel mito di Medusa
dall’anguiferum caput, tramandato nelle Metamorphoses di Ovidio, veniva reinterpretato
dalla cultura tardo-antica secondo principi cristologici, quale
rappresentazione del salvifico sangue di Cristo[128].
Un angelo con le ali spiegate è inserito anche come
elemento di raccordo tra il fusto ad andamento tortile e la fitta raggiera
nell’ostensorio del 1776-1777 del palazzo arcivescovile di Monreale (fig. 22),
proveniente dalla chiesa di San Gaetano della cittadina normanna[129]. L’opera
appartiene ad una diffusa tipologia che trova significativi esempi
nell’ostensorio del 1764 del Museo Diocesano di Palermo ed in quello della
Chiesa Madre di Polizzi Generosa del 1775-1776[130].
L’ostensorio
raggiato con teca quadrata della chiesa di rito greco di San Nicolò di Mira di
Mezzojuso[131] (fig. 23), realizzato da argentiere siciliano del
1813, aderisce al gusto neoclassico che semplificò e irrigidì le forme, non
mutandone sostanzialmente le tipologie fondamentali. L’opera presenta una base
mistilinea con scene bibliche tratte dal Vecchio e dal Nuovo Testamento e fusto
collegato alla raggiera da un angelo nell’atto di benedire, secondo la
tradizione greca, accostando il pollice e l’anulare. Un esemplare più antico
con teca quadrata era l’ostensorio del secolo XVIII della Cattedrale di San
Demetrio di Piana degli Albanesi, purtroppo trafugato[132].
La teca
quadrangolare compare sovente anche nei reliquiari del XVIII secolo detti a
palmetta, come nel reliquiario di San Vito dell’omonima chiesa di Piana degli
Albanesi (fig. 24), citato nell’inventario stilato in occasione della Visita
Pastorale del cardinale Francesco Giudice e databile al primo decennio del
XVIII secolo[133], probabilmente eseguito da Salvatore Calascibetta o
Calaxibetta, attivo a Palermo dal 1705 fino al 1747[134]. Il console
della maestranza è Giacinto Omodei che in tale periodo ricoprì più volte la prestigiosa
carica[135]. Il ricettacolo della reliquia è inglobato in una
ricca decorazione floreale, tra cui spiccano anemoni e tulipani, che ritroviamo
in molteplici espressioni artistiche del periodo, ne sono un significativo
esempio gli splendidi marmi mischi siciliani.
In Episcopio
si custodisce anche una pregevole croce benedizionale[136] (fig. 25)
utilizzata il giorno dell’Epifania. Dopo il solenne Pontificale, infatti,
l’Eparca, il clero e i fedeli si recano in processione presso la fontana
secentesca dei Tre cannoli, commissionata dai Giurati e ubicata nella piazza
principale, e al canto Nё Jordan rievocano la discesa dello Spirito Santo sul Cristo
dopo il battesimo. Il Vescovo immerge nell’acqua benedetta della fontana la
croce e il candelabro a tre ceri, mentre dal tetto della chiesa dell’Odigitria,
viene fatta scendere una colomba bianca[137]. Durante la cerimonia, sulla
fontana viene posta una tela dipinta da Pietro Antonio Novelli, raffigurante
proprio il Battesimo di Cristo nel fiume Giordano [138].
L’opera in
esame con struttura in filigrana d’argento inglobante una crocetta in legno di
bosso, scolpito come altri esemplari più antichi presenti nell’Eparchia[139], è da
ascrivere ad argentiere del monte Athos della seconda metà del XX secolo[140], che si
rifà a modelli bizantini più antichi.
La
lavorazione della filigrana d’argento risulta ampiamente documentata anche in
Sicilia. A Messina è attestata già nel XVII secolo grazie ad opere punzonate
con lo stemma della città, ma un documento del 1699 attesta che era diffusa
pure a Palermo[141], notizia confermata anche dal manoscritto dei Capitoli
della professione degli orefici e argentieri di questa felice e fedelissima
città di Palermo[142].
Tra le più significative opere siciliane realizzate in
filigrana su anima di rame dorato sono il pastorale, l’ostensorio e la
palmatoria dell’arcivescovo Giovanni Roano di Monreale (figg. 26a, b, c),
arricchiti da una varietà di gemme, tra cui rubini, zaffiri e smeraldi[143].
L’ostensorio di impianto secentesco ha base poligonale, fusto con nodo centrale
e raggiera con alternanza di lance e fiamme conclusa da elementi floreali,
ornati che si riscontrano soprattutto in ostensori di produzione messinese,
come ad esempio in quello del 1697 della chiesa delle Giummarre di Sciacca
ascritto a Filippo Juvarra[144]. Il raffronto con il calice di filigrana d’argento di
Sebastiano Juvarra dell’abbazia di Montecassino[145] ha spinto
ad ipotizzare un’attribuzione allo stesso argentiere messinese per le
suppellettili in filigrana d’argento del Tesoro del Duomo di Monreale[146].
Citata in un
inventario del 1755 assieme alle opere sopra citate è la chiusura di piviale a
forma di sole con nel verso lo stemma dell’arcivescovo (fig. 27), descritta
come una gioia pettorale d’argento dorata.
Tale monile,
osserva Maria Concetta Di Natale, «trova preciso riferimento in un disegno del Llibres dei
Passanties dell’Instituto Municipal de Historia de la Ciutad di Barcellona, realizzato nel 1619 dall’orafo Gabriel Macip, che
doveva sostenere la prova d’esame»[147].
Tradizionale
per l’uso della benedizione è nel rito latino l’aspersorio sempre accompagnato
dal secchiello per contenere l’acqua benedetta, variante mobile delle
acquasantiere fisse[148]. Tra questi manufatti, generalmente simili
tipologicamente, si inserisce il servizio per aspersione della sagrestia del
Duomo di Monreale (fig. 28) realizzato verosimilmente dall’argentiere
palermitano Benedetto Mercurio nella prima metà del XVIII secolo[149].
Copie di
antiche opere sono i candelabri “dicerio” (con due ceri) e “tricerio” (con tre
ceri), custoditi in Episcopio, realizzati recentemente dall’argentiere Piero
Accardi per sostituire gli esemplari del XIX secolo, trafugati nel 1978[150]. Tali
suppellettili, sulle quali vengono fissate delle candele che si incrociano nel
punto più alto per formare una sola fiamma, usate dal Vescovo solo nella
Liturgia pontificale per benedire il popolo, mentre, con esse, il diacono e
l’ipodiacono accompagnano il Vescovo alla sua cattedra. Il dicerio e il
tricerio simboleggiano rispettivamente le due nature in Cristo, divina ed
umana, e la Trinità santa e sono state introdotti nella liturgia verosimilmente
in seguito alle controversie trinitarie e cristologiche dei primi secoli del
cristianesimo[151
[1] S. Ferrara,
Premessa, in Arte sacra a
Mezzojuso, catalogo
della mostra a cura di M.C. Di Natale, Palermo 1991, p. 9.
[2] Le suppellettili di argenteria sacra di Mezzojuso
sono state studiate nel 1991 da Maria Concetta Di Natale, in occasione della
mostra Arte sacra a Mezzojuso e pubblicate nel catalogo della
mostra, curato dalla stessa; cfr. M.C. Di
Natale, Oreficeria a Mezzojuso, in Arte sacra…, 1991, pp. 141-147 e schede di A.M. Campo, pp. 149-171.
Per le suppellettili di Piana degli Albanesi, studiate per la prima volta da Daniela Balsano in occasione della sua tesi di laurea dal titolo Le suppellettili d’argento delle chiese di Piana degli Albanesi. Documenti e manufatti, a. a. 2004-2005, relatore Ch.ma Prof.ssa Maria Concetta Di Natale, si veda anche R.F. Margiotta, Le suppellettili liturgiche dell’Eparchia di Piana degli Albanesi, in Tracce d’Oriente. La tradizione liturgica greco-albanese e quella latina in Sicilia, catalogo della mostra (Palermo, Palazzo Bonocore, 26 ottobre – 25 novembre 2007), a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2007, pp. 83-99.
Per le suppellettili di Piana degli Albanesi, studiate per la prima volta da Daniela Balsano in occasione della sua tesi di laurea dal titolo Le suppellettili d’argento delle chiese di Piana degli Albanesi. Documenti e manufatti, a. a. 2004-2005, relatore Ch.ma Prof.ssa Maria Concetta Di Natale, si veda anche R.F. Margiotta, Le suppellettili liturgiche dell’Eparchia di Piana degli Albanesi, in Tracce d’Oriente. La tradizione liturgica greco-albanese e quella latina in Sicilia, catalogo della mostra (Palermo, Palazzo Bonocore, 26 ottobre – 25 novembre 2007), a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2007, pp. 83-99.
[3] A.M. Campo,
scheda 21, in Arte sacra…, 1999, p. 169; R.F.
Margiotta, Le suppellettili…, e S. Anselmo,
scheda 1, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 83-84, 171.
[4] Si veda A.
Cuccia, Caccamo, i segni artistici, Palermo 1988, p. 79; E. D’Amico,
in L. Sarullo, Dizionario
degli artisti siciliani. Pittura, vol. II, a cura di M.A. Spadaro, Palermo 1993, ad vocem.
[5] Per notizie sul pittore cfr. L. Sarullo, Dizionario…, 1993, ad vocem.
[6] R.F. Margiotta,
Le suppellettili…, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 83-84. Eadem, scheda III.1, in Tesori
ritrovati 1968-2008 storia e cultura artistica nell’abbazia di Santa Maria del
Bosco di Calatamauro e nel suo territorio dal XII al XIX secolo, Catalogo della Mostra
(Monreale-Contessa Entellina, dicembre 2008), a cura di M. Guttilla, Piana
degli Albanesi 2009, p. 116.
[7] ASPa, Fondo dei notai defunti, Giorgio Schirò di
Piana, St. VI, vol. 26082, cc. 259 v., 368 v.; ASPa, Fondo dei notai defunti,
Giorgio Schirò di Piana, St. VI, vol. 26090, c. 24 r. e v.; ASPa, Fondo dei
notai defunti, Giorgio Schirò di Piana, St. VI, vol. 26084, c. 382 v.
[8] D. Como,
Glossario, in Battesimo,
Unzione Crismale, Eucaristia. Tradizione liturgica e spiritualità delle Chiese
bizantine, in
«Oriente cristiano», a. XXIII, nn. 3-4, luglio-dicembre 1983, p. 133.
[9] Giovanni
Crisostomo, Omelia XL in I Cor. 15, 29, in PG, vol. 61, col. 34 B.
[10] D.
Como, Glossario, in Battesimo, Unzione Crismale…, in «Oriente cristiano», a. XXIII,
nn. 3-4, luglio-dicembre 1983, p. 160.
[11] B. Montevecchi
– S. Vasco Rocca, Suppellettile ecclesiastica, Firenze 1987, p. 293.
[13]M.C. Di Natale, schede II,84 e II,180, in Ori e
argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della mostra a cura di
M.C. Di Natale, Milano 1989, pp. 243-244, 311; V.
Chiaramonte, scheda I,55, in Gloria Patri. L’arte come linguaggio
del sacro, catalogo
della mostra a cura di G. Mendola, Palermo 2001, p. 137; R.F. Margiotta, Le
suppellettili…, in Tracce
d’Oriente…, 2007, pp.
84-85.
[14] D. Como,
Glossario, in Battesimo,
Unzione Crismale…, in
«Oriente cristiano», a. XXIII, nn. 3-4, luglio-dicembre 1983, p. 112.
[15] G. Musacchia, La liturgia
del Battesimo e della Cresima della Chiesa orientale, versione dal greco con note
mistico-teologiche, Palermo 1878, p. 73.
[16] G. Ferrari,
Il sacramento della Cresima nella teologia bizantina, in «Oriente cristiano», a. V, n.
1, pp. 29-34.
[17]Ibidem.
[18]R.F. Margiotta, Le
suppellettili…, e S. Anselmo, scheda 3, in Tracce
d’Oriente…, 2007, pp.
84, 173. Le opere sono riprodotte anche in Arbёreshё. Storia luoghi e simboli dell’Eparchia di
Piana degli Albanesi, Piana
degli Albanesi 2003, p. 9.
[19] D. Como,
L’eparchia di Piana degli Albanesi. Note Storiche, in Arbёreshё…, 2003, pp. 16, 18.
[20] S. Barraja, I marchi
degli argentieri e orafi di Palermo, saggio introduttivo di M.C. Di Natale, Palermo 1996,
p. 65.
[21] G.
Chatziemmanouil, La Divina Liturgia. “Ecco io sono con voi… sino alla
fine del mondo”, traduzione
e presentazione di A. Ranzolin, Città del Vaticano 2002, p. 56.
[22]D. Como, Glossario, in Battesimo,
Unzione Crismale…, in
«Oriente cristiano», a. XXIII, nn. 3-4, luglio-dicembre 1983, p. 136. Si veda
anche G. Chatziemmanouil, La Divina
Liturgia…, 2002, p.
68.
[23] B. Montevecchi
– S. Vasco Rocca, Suppellettile…, 1987, p. 142.
[24] Il pane della proposizione o dell’offerta simboleggia
«la straordinaria ricchezza della bontà di Dio, ossia il fatto che il Figlio di
Dio si sia fatto uomo e abbia offerto se stesso in sacrificio e oblazione… per
la vita e la salvezza del mondo». Cfr. Germano
di Costantinopoli, Storia ecclesiastica e contemplazione mistica, PG 98, 397A.
[25] D. Como,
Glossario, in Battesimo,
Unzione Crismale…, in
«Oriente cristiano», a. XXIII, nn. 3-4, luglio-dicembre 1983, p. 149.
[26] D. Como,
Glossario, in Battesimo,
Unzione Crismale…, in
«Oriente cristiano», a. XXIII, nn. 3-4, luglio-dicembre 1983, p. 101.
[27] D. Balsano,
Le suppellettili d’argento…, tesi di laurea, a. a. 2004-2005; R.F. Margiotta, Le
suppellettili…, e D. Balsano, scheda 19, in Tracce
d’Oriente…, 2007, pp.
85, 190.
[28] S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 77.
[29]ASPa, Fondo dei notai defunti, Schirò Pitracca
Giuseppe di Contessa Entellina, st. VI, vol. 21004, c. 41 r.
[30]G. Chatziemmanouil, La Divina
Liturgia…, 2002, p.
56.
[31] D. Balsano,
Le suppellettili d’argento…, tesi di laurea, a. a. 2004-2005; R.F. Margiotta, Le
suppellettili…, e D. Balsano, scheda 6, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 85, 177.
[32] S. Anselmo, scheda
II, 27, in Polizzi. Tesori di una città demaniale, “Quaderni di Museologia e Storia
del Collezionismo”, collana diretta da M.C. Di Natale, n. 4, Caltanissetta
2006, p. 82.
[33] R.F. Margiotta,
Alcuni esempi di argenteria sacra a Bisacquino, in T.
Salvaggio, Bisacquino. Frammenti di memorie, Palermo 2006, p. 124; Eadem, Tesori d’arte a Bisacquino, “Quaderni di museologia e storia
del collezionismo”, collana di studi diretta da M.C. Di Natale, n. 6,
Caltanissetta 2008, pp. 107-108.
[34] S. Barraja, Gli orafi e
argentieri attraverso i manoscritti della maestranza, in Splendori di
Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, catalogo della mostra a cura di
M.C. Di Natale, Milano 2001, p. 676.
[35] M. Vitella, schede
15 e 19, in Gli argenti della Maggior Chiesa di Termini Imerese, con saggio introduttivo di M.C. Di
Natale, Termini Imerese 1996, pp. 78-79, 83-85.
[36] S. Anselmo, scheda
II, 30, in Polizzi…, 2006, p. 83.
[37] Cfr. G. Cusmano,
schede 15 e 18, in Argenteria sacra a Ciminna dal Cinquecento
all’Ottocento, Palermo
1994, pp. 15, 19; I. Barcellona, schede
2, 4, 5, in Ori argenti e stoffe di Maria SS. dei Miracoli.
Mussomeli tra culto e arte, Caltanissetta 2000, pp. 123, 125, 126.
[38] A. Scarpulla, Argenti e
paramenti sacri delle chiese di Marineo, Palermo 2000, pp. 17-18; G. Ingaglio, scheda 139, in Splendori…, 2001, p. 451.
[39] M.C. Di Natale,
Dallo scriptorium al Tesoro di S. Maria La Nuova, in L’anno di
Guglielmo. Monreale, percorsi tra arte e cultura, a cura di A. Gerbino, Palermo
1989, p. 199; R.F. Margiotta, Le
suppellettili…, e L. Sciortino,
scheda 16, in Tracce d’Oriente…,
2007, pp. 85, 86, 187; R. Bernini,
scheda 9, in Argenti e cultura Rococò nella Sicilia Centro Occidentale
1735-1789, catalogo della mostra (Lubecca, 21 ottobre 2007 – 6 gennaio 2008), a
cura di S. Grasso – M. C. Gulisano, Palermo, p. 173.
[40] M.C. Di Natale,
Gli argenti in Sicilia tra rito e decoro e scheda II, 177, in Ori e
argenti…, 1989, pp.
158, 309-310; Eadem, I tesori
nella contea dei Ventimiglia. Oreficeria a Geraci Siculo, Palermo 2006, p. 54. Per la
decorazione a stucco degli oratori palermitani si veda P. Palazzotto, Palermo. Guida agli oratori, presentazione di D. Garstang,
Palermo 2004.
[41] M.C. Di Natale,
scheda II, 177, in Ori e argenti…, 1989, pp. 309-310; M.
Vitella, scheda 27, in Gli argenti…, 1996, pp. 94-95; Idem, scheda 27, in Splendori…, 2001, p. 465.
[42] Cfr. R.F.
Margiotta, Le suppellettili…, e L.
Sciortino, scheda 16, in Tracce
d’Oriente…, 2007, pp.
85, 86 187.
[43] M. Vitella, scheda
II.28, in Il Tesoro nascosto. Gioie e argenti per la Madonna di
Trapani, catalogo
della mostra a cura di M.C. Di Natale e V. Abbate, Palermo 1995, pp. 230-231; R. Vadalà, schede 19 e 20, in Segni
mariani nella terra dell’Emiro. La Madonna dell’Udienza a Sambuca di Sicilia
tra devozione e arte, a cura di
M.C. Di Natale, Sambuca di Sicilia 1997, pp. 89-90.
[44] M.C. Di Natale,
Dallo scriptorium…, in L’anno di Guglielmo…, 1989, p. 199; V. Chiaramonte, scheda I, 61, in Gloria Patri…, 2001, p. 144; R.F. Margiotta, Le
suppellettili…, e L. Sciortino, scheda 22, in Tracce
d’Oriente…, 2007, pp.
86, 193.
[45] S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 80.
[46] Con il termine discario è anche chiamato il piatto
sul quale sono posti i pani dell’artoclasia, che vengono distribuiti ai fedeli
durante la veglia notturna. Cfr. D. Como,
Glossario, in Battesimo,
Unzione Crismale…, in
«Oriente cristiano», a. XXIII, nn. 3-4, luglio-dicembre 1983, p. 116.
[47] D. Como,
Glossario, in Battesimo,
Unzione Crismale…, in
«Oriente cristiano», a. XXIII, nn. 3-4, luglio-dicembre 1983, p. 103. Si veda
anche B. Montevecchi – S. Vasco Rocca,
Suppellettile…, 1987, p.
141.
[48] Cfr. N. Zichì, Le opere
d’arte della chiesa di Maria SS.ma della Favara di Contessa Entellina, a. a. 2005-2006, relatore Ch.ma
Prof.ssa M.C. Di Natale.
[49] Cfr. A. Zichì, Le opere
d’arte della chiesa della Santissima Annunziata e San Nicolò di Contessa
Entellina, a. a.
2005-2006, relatore Ch.ma Prof.ssa M.C. Di Natale.
[50] B. Montevecchi
– S. Vasco Rocca, Suppellettile…, 1987, pp. 143, 146.
[51] D. Balsano,
Le suppellettili…, tesi di
laurea, a. a. 2004-2005; R.F. Margiotta, Le
suppellettili…, e D. Balsano, scheda 2, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 86, 172.
[52]M.C. Di Natale, Il Tesoro…, 2000, p. 31.
[53] D. Balsano, Appendice
Documentaria, in Le
suppellettili…, tesi di
laurea, a. a. 2004-2005.
[54] Per l’iconografia del Santo cfr. M.C. Di Natale, San Giorgio
nella cultura artistica siciliana, in R. Cedrini – M.C. Di Natale, Il Santo e
il drago, Palermo
1993.
[55] Cfr. R.F.
Margiotta, Le suppellettili…, e D. Balsano,
scheda 2, in Tracce
d’Oriente…, 2007, pp.
86, 172.
[56] R.F. Margiotta,
scheda I, 2, in S. Anselmo - R.F.
Margiotta, I tesori delle chiese di Gratteri, “Quaderni di Museologia e Storia
del Collezionismo”, collana diretta da M.C. Di Natale, n. 2, Caltanissetta
2005, pp. 37, 38.
[57] M.C. Di Natale,
scheda II, 19, in Ori e argenti…, 1989, p. 192.
[58] Cfr. A.M.
Campo, scheda 8, in Arte sacra…, 1991, p. 156; A.
Pantano, scheda III, 13, in Fate questo in memoria di me.
L’Eucaristia nell’esperienza delle chiese di Sicilia, a cura di G. Ingaglio, Agrigento
2005, pp. 131-132. Si veda anche R.F.
Margiotta, Le suppellettili…, e S. Anselmo,
scheda 8, in Tracce
d’Oriente…, 2007, pp.
86, 87, 179.
[59] G. Travagliato,
scheda II, 30, in Gloria Patri…, 2001, pp. 200-201.
[60] B. Montevecchi
– S. Vasco Rocca, Suppellettile…, 1987, pp. 127-132.
[61] G. Valentini, Mostra delle
iconi a Piana degli Albanesi 1957-58, Palermo 1958, p. 78; C.
Valenziano (a cura di), Mostra delle iconi, Eparchia di
Piana degli Albanesi, Palermo
1980, fig. n. 63. R.F. Margiotta, Le
suppellettili…, e S. Anselmo, scheda 25, in Tracce
d’Oriente…, 2007, pp.
87, 196. Anche Benedetta Montevecchi ha studiato l’opera in esame includendola
tra i reliquiari a pisside (cfr. B.
Montevecchi – S. Vasco Rocca, Suppellettile…, 1987, p. 167).
[62] Cfr. A.M.
Campo, scheda 20, in Arte sacra…, 1991, p. 168. Si veda anche R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e
S. Anselmo, scheda 25, in Tracce
d’Oriente…, 2007, pp.
87, 196.
[63] M. Russo,
Le suppellettili ecclesiastiche, in Pro mundi vita. Eucaristia e arte
nel Duomo di Siracusa, Siracusa
2000, p. 83 e V. Di Piazza, scheda
160, in Splendori…, 2001, p. 465.
[64] D. Ferrara, scheda
III.35, in M. Vitella, Il Tesoro
della Chiesa Madre di Erice, premessa di M.C. Di Natale, Trapani 2004, p. 118.
[65] B. Montevecchi
– S. Vasco Rocca, Suppellettile…, 1987, p. 124.
[66] M.C. Di Natale,
Dallo scriptorium…, in L’anno di Guglielmo…, 1989, p. 199; V. Chiaramonte, scheda I, 62, in Gloria Patri…, 2001, p. 145; R.F. Margiotta, Le
suppellettili…, e L. Sciortino, scheda 20, in Tracce
d’Oriente…, 2007, pp.
87, 191; R. Bernini, scheda 49 , in Argenti e
cultura Rococò nella Sicilia Centro Occidentale 1735-1789, catalogo della mostra (Lubecca, 21
ottobre 2007 – 6 gennaio 2008), a cura di S. Grasso – M. C. Gulisano, Palermo,
pp. 353-354.
[67] Per l’iconografia del santo cfr. M. Liverani, in Biblioteca
Sanctorum, vol. XI,
Roma 1968, ad vocem.
[68]Cfr. M.C. Di
Natale, L’Immacolata nelle arti decorative in Sicilia e R.
Vadalà, Catalogo delle opere, in Bella come la luna pura come il
sole. L’Immacolata nell’arte in Sicilia, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale e M.
Vitella, Palermo 2004, pp. 78-79, a cui si rimanda per la precedente
bibliografia. Si veda anche M.C. Di
Natale, Il museo diocesano di Palermo, Palermo 2006, pp. 59-60.
[69] M.C. Di Natale,
I monili della Madonna della Visitazione di Enna, nota introduttiva di T. Pugliatti,
con un contributo di S. Barraja, appendice documentaria di R. Lombardo e O.
Trovato, Enna 1996, p. 54. Per lo studioso francese M. Devoucoux (Etudes
d’archeologie traditionelle, Parigi 1957), il pellicano è emblema di quella “natura umida” che,
secondo la fisica antica, scompariva con l’effetto del calore per rinascere in
inverno, simboleggiando la resurrezione di Cristo.
[70] M.C. Di Natale,
Le croci dipinte in Sicilia. L’area occidentale dal
XIV al XVI secolo,
introduzione di M. Calvesi, Palermo 1992, p. 47.
[71] M.C. Di Natale,
Il Tesoro della Matrice nuova di Castelbuono nella
contea dei Ventimiglia, “Quaderni
di Museologia e Storia del Collezionismo”, collana diretta da M.C. Di Natale,
n. 1, Caltanissetta 2005.
[72] M.C. Di Natale,
Il Tesoro…, 2005, p. 38. Si veda anche M.V.G. Carapezza, Tradizioni di Sicilia: la festa di
San Calogero a Petralia Sottana (PA), Palermo 2004, p. 33.
[73] S. Barraja, in
L. Sarullo, Dizionario
degli artisti siciliani, vol. IV, Arti Applicate, a cura di M.C. Di Natale, in c. d. s., ad vocem. Cfr. pure M.C. Di Natale, Le suppellettili liturgiche
d’argento del tesoro della Cappella Palatina di Palermo, Prolusione all’Inaugurazione
dell’Anno Accademico 1998-99, 281o dalla fondazione dell’Accademia
Nazionale di Scienze, Lettere e Arti, già del Buon Gusto di Palermo, Palermo
1998, p. 51.
[74] M.C. Di Natale,
scheda 40, in Il Tesoro…, 2005, pp. 94-95.
[75] R.F. Margiotta,
Le suppellettili…, e L.
Sciortino, scheda 23, in Tracce
d’Oriente…, 2007, pp.
87, 88, 194.
[76] G. Fatta – T.
Campisi, La costruzione della Real Casina di Ficuzza, in Il barocco e
la regione corleonese, atti della
giornata di studio (Chiusa Sclafani, 5 ottobre 1997), a cura di A.G. Marchese,
introduzione di M. Giuffrè, Palermo 1999, pp. 169-230; G. Giardina, Il bosco della Ficuzza, in Corleone, coll. Viaggio in Sicilia, Palermo
2000, p. 26.
[77] D. Como,
Glossario, in Battesimo,
Unzione Crismale…, in
«Oriente cristiano», a. XXIII, nn. 3-4, luglio-dicembre 1983, pp. 124-125.
[78]R.F. Margiotta, Le
suppellettili…, in Tracce
d’Oriente…, 2007, pp.
88. L’opera è
riprodotta anche in Arbёreshё…, 2003, p. 22.
[79] Cfr.
M.C. Di Natale, Iconografia del Crocifisso, in Arte sacra…, 1991, p. 63. Si veda anche Eadem, infra.
[80] D. Como,
Glossario, in Battesimo,
Unzione Crismale…, in
«Oriente cristiano», a. XXIII, nn. 3-4, luglio-dicembre 1983, p. 125.
[81] R.F. Margiotta,
Le suppellettili…, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 88. Eadem, scheda III.4, in Tesori
ritrovati…, 2009, p.
118.
[82] A. Schirò, Memorie
storiche intorno alle origini e vicende di Contessa Entellina, Palermo 1902, p. 49.
[83] L’incensazione durante i riti del battesimo assume il
significato di mezzo di espiazione (cfr.
G. Musacchia, La liturgia del Battesimo…, 1878, p. 78), mentre fatta sui
doni indica il rispetto e la venerazione che a questi vengono attribuiti (N. Gogol, Meditazioni
sulla Divina Liturgia, Palermo
1973, p. 31). Il sacerdote utilizza l’incenso anche nella parte finale della
Proscomidia o Preparazione per riempire la chiesa di profumo e salutare tutti i
presenti, «così come gli antichi popoli di Oriente usavano offrire agli ospiti
non appena entravano nelle loro case, di che lavarsi e profumarsi» (N. Gogol, Meditazioni…, 1973, p. 31).
[84] D. Como,
Glossario, in Battesimo,
Unzione Crismale…, in
«Oriente cristiano», a. XXIII, nn. 3-4, luglio-dicembre 1983, pp. 131. «Il fumo
odoroso – scrive San Germano – indica il profumo che precede lo Spirito Santo»
(Storia ecclesiastica e contemplazione mistica, PG 98, 400C). San Simeone di
Tessalonica per spiegare il significato dell’incenso scrive: «Indica la grazia
e il dono e, ancora, il profumo dello Spirito provenienti dal cielo, riversati
nel mondo attraverso Gesù Cristo e ricondotti di nuovo al cielo attraverso di
lui» (Sulla sacra liturgia, 96, PG 155, 288C – 289A).
[85] R.F. Margiotta, Le
suppellettili…, e L. Sciortino, scheda 18, in Tracce
d’Oriente…, 2007, pp.
88, 189.
[86] S. Riccobono, in
L. Sarullo, Dizionario…, 1993, ad vocem.
[87]D. Balsano, Le suppellettili…, tesi di laurea, a. a. 2004-2005; R.F. Margiotta, Le
suppellettili…, e D. Balsano, scheda 14, in Tracce
d’Oriente…, 2007, pp.
88, 89, 185.
[88] M.C. Di Natale,
Le Croci…, 1993, p. 111.
[89] M.C. Di Natale,
Committenza e devozione. Arte decorativa nel Monastero
benedettino del Rosario di Palma di Montechiaro, in Arte e
spiritualità nella terra dei Tomasi di Lampedusa. Il monastero benedettino del
Rosario di Palma di Montechiaro, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale e F.
Messina Cicchetti, Palma di Montechiaro 2002, p. 96.
[90] S. Barraja, Gli orafi…, in Splendori…, 2001, p. 675.
[91] M. Accascina, I marchi
delle argenterie e oreficerie siciliane, Busto Arsizio 1976, p. 57.
[92] M.C. Di Natale,
Committenza e devozione…, in Arte e spiritualità…, 2002, p. 96.
[93] R.F. Margiotta,
Le suppellettili…, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 89, 90.
[94]Cfr. Materiali preziosi dalla terra e dal
mare nell’arte trapanese e della Sicilia occidentale tra il XVIII e il XIX
secolo, catalogo
della mostra a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2003.
[95] R. Margiotta, scheda
II.35, in Materiali preziosi…, 2003, p. 148.
[96] D. Como,
Glossario, in Battesimo,
Unzione Crismale…, in
«Oriente cristiano», a. XXIII, nn. 3-4, luglio-dicembre 1983, p. 145. Si veda
anche P. Manali (a cura di), Piana degli Albanesi Hora E Arbёreshёvet, Palermo 2000, p. 30.
[97] D. Guillaume,
Il valore simbolico dei paramenti sacri, in «Oriente cristiano», a. XXIX, nn. 1-2,
gennaio-giugno 1989, p. 25.
[98] M. Guttilla, Temi e
modelli della pittura siciliana nel Settecento. Gli esempi di Mezzojuso, in Arte sacra…, 1991, pp. 85-86.
[99] Cfr. L. Sarullo,
Dizionario…, 1993, ad vocem.
[100] G. Travagliato,
scheda I,68, in Gloria Patri…, 2001, p. 153; R.F.
Margiotta, Le suppellettili…, e L.
Sciortino, scheda 17, in Tracce
d’Oriente…, 2007, pp.
90, 188.
[101] S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 76.
[102] G. Mendola, Inediti
d’arte nella diocesi di Monreale, in Gloria Patri…, 2001, p. 24.
[103] R.F. Margiotta,
Le arti applicate nell’abbazia di Santa Maria del
Bosco di Calatamauro. Note storiche e documenti, in L’abbazia di
Santa Maria del Bosco di Calatamauro, tra memoria e recupero, Atti del convegno di studi (Chiusa
Sclafani e Santa Maria del Bosco), a cura di A.G. Marchese, introduzione di C.
Naro, Palermo 2006, pp. 299, 315.
[104] G. Millunzi,
Prospetto Storico Dell’Archidiocesi di Monreale. Palazzo Adriano, in «Bollettino Ecclesiastico della
Archidiocesi di Monreale», agosto-settembre 1913, n. 8-9, pp. 54-55.
[105] R.F. Margiotta,
Le suppellettili…, e S. Anselmo,
D. Balsano schede 11, 13, 24, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 182, 184, 195.
[106] R.F. Margiotta,
Le suppellettili…, e S. Anselmo,
D. Balsano schede 7, 10, 15, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 178, 181, 186.
[107] B. Montevecchi
– S. Vasco Rocca, Suppellettile…, 1987, pp. 115-117, 121.
[108] B. Montevecchi
– S. Vasco Rocca, Suppellettile…, 1987, p. 115.
[109] Tra i tanti esempi di ostensori architettonici
presenti in Sicilia, molti dei quali di derivazione gotico-catalana, si ricorda
la custodia monumentale dei Gili del 1534-40 del Duomo di Enna, oggi al Museo
Alessi (cfr. M.C. Di Natale, Oreficeria e
argenteria nella Sicilia occidentale al tempo di Carlo V, in Vincenzo
degli Azani da Pavia e la cultura figurativa in Sicilia nell’età di Carlo V, catalogo della mostra a cura di T.
Viscuso, Siracusa 1999, p. 76, che riporta la precedente bibliografia. Si veda
anche V.U. Vicari, scheda III,4,
in Fate questo in memoria di me. L’Eucaristia nell’Esperienza delle Chiese di
Sicilia, catalogo
della mostra a cura di G. Ingaglio, Catania 2005, pp. 125-126) e quella della
Matrice Vecchia di Castelbuono del 1532 di Bartolomeo Tantillo, artista attivo
nelle Madonie (cfr. M.C. Di Natale, Il Tesoro…, 2000, pp. 25-28).
[110] Pregevole esempio di ostensorio raggiato è quello in
argento dorato, gemme e smalti, della chiesa del Gesù di Casa Professa di
Palermo con alla base le Virtù teologali, che ingloba nel fusto la figura di
Sant’Ignazio (cfr. M.C. Di Natale, scheda
II, 153, in Ori e argenti..., 1989, pp. 289, 230; Eadem, scheda 152, in Splendori…, 2001, pp. 461-462).
[111]M.V. Sirchia, Le sacre icone, in Arbёreshё…, 2003, p. 31.
[112] R.F. Margiotta,
Le suppellettili…, e S. Anselmo,
D. Balsano schede 11, 13, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 92, 182, 184.
[113] Cfr. D.
Balsano, Le suppellettili d’argento…, tesi di laurea, a. a. 2004-2005; R.F. Margiotta, Le
suppellettili…, e D. Balsano, scheda 11, in Tracce
d’Oriente…, 2007, pp.
92, 182.
[114] S. Barraja,
I marchi…, 1996, p.
73.
[115] A.M. Campo,
scheda 4, in Arte sacra…, 1991, p. 152; R.F.
Margiotta, Le suppellettili…, e S. Anselmo,
scheda 13, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 92, 184.
[116] Si veda A.M.
Campo, scheda 4, in Arte sacra…, 1991, p. 152.
[117] S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 75.
[118] B. Montevecchi
– S. Vasco Rocca, Suppellettile…, 1987, p. 119, fig. 64.
[119] G. Davì,
scheda 84, in Il Tesoro dell’Isola. Capolavori siciliani in argento
e corallo dal XV al XVIII secolo, catalogo della mostra a cura di S. Rizzo, vol. II,
Catania 2008, pp. 854-855.
[120] R.F. Margiotta,
Le suppellettili…, e S. Anselmo,
scheda 7, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 92, 178.
[121] V. Abbate,
scheda 85, in L’arte del corallo in Sicilia, catalogo della mostra a cura di C.
Maltese e M.C. Di Natale, Palermo 1986, pp. 79-107.
[122] S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 70.
[123] R.F. Margiotta,
Le suppellettili…, e S. Anselmo,
scheda 10, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 92, 181.
[124] S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 72.
[125] Cfr. D.
Balsano, Le suppellettili d’argento…, tesi di laurea, a. a. 2004-2005; R.F. Margiotta, Le suppellettili…, e
D. Balsano, scheda 15, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 92, 186.
[126] G. Mendola, Tra legni e
metalli. L’attività documentaria di Giancola Viviano, in in Splendori…, 2001, p. 646.
[127] M.C. Di Natale,
scheda II, 86, in Ori e argenti…, 1989, pp. 245, 246; Eadem,
scheda 108, in Splendori…, 2001, pp. 429-430.
[128] M.C. Di Natale,
Il corallo da mito a simbolo nelle espressioni
pittoriche e decorative in Sicilia, in L’arte del corallo…, 1986, pp. 79-107.
[129] R.F. Margiotta,
Le suppellettili…, e L.
Sciortino, scheda 21, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 92, 192.
[130] Cfr. M.
Vitella, scheda 13, in Capolavori…, 1998, p. 119; S. Anselmo, scheda II, 55, in Polizzi…, 2006, pp. 97-98.
[131] A.M. Campo,
scheda 16 , in Arte sacra…, 1991, p. 164 e R.F.
Margiotta, Le suppellettili…, e S. Anselmo,
scheda 24, in Tracce d’Oriente…, 2007, pp. 92, 93,195.
[132] D. Balsano, Appendice
Documentaria, in Le
suppellettili…, tesi di
laurea, a. a. 2004-2005.
[133] D. Balsano,
Le suppellettili d’argento…, tesi di laurea, a. a. 2004-2005; R.F. Margiotta, Le
suppellettili…, e D. Balsano, scheda 9, in Tracce
d’Oriente…, 2007, pp.
93,180.
[134] S. Barraja, Gli orafi…, in Splendori…, 2001, p. 434.
[135] S. Barraja, I marchi…, 1996, pp. 71-72.
[136] R.F. Margiotta, Le
suppellettili…, in Tracce
d’Oriente…, 2007, pp.
93-95. L’opera è riprodotta anche in Arbёreshё…, 2003, p. 20.
[137] La cerimonia è ripetuta in tutti i centri
dell’Eparchia. A Palazzo Adriano, ad esempio, si svolge in Piazza Umberto dove
il sacerdote benedice le acque della fontana ottagonale del 1608 (B. De Marco Spata, I tre Padri
della Fontana Oscar, in
«Palermo», 6 dicembre 2003); P. Manali
(a cura di), Piana degli Albanesi Hora E Arbёreshёvet, Palermo 2000, pp. 32, 33.
[138]Il 26 luglio 1604 Pietro Antonio Novelli si obbligò
con Giuseppe e Michele Matranga, rettori della confraternita di San Giovanni
degli Orfani di Piana, a dipingere quattro quadri, tre affreschi e un quarto
quadro ad olio, per l’omonima cappella dentro la chiesa di San Giorgio (cfr. G. Millunzi, Dei pittori
monrealesi Pietro Antonio Novelli e Pietro Novelli suo figlio, in «Archivio Storico Siciliano»,
Palermo 1913, p. 111). I tre affeschi sono andati distrutti con la cappella,
mentre il quadro ad olio raffigurante il Battesimo di Gesù è tuttora custodito
presso il Collegio di Maria dello stesso centro. Cfr. P. Manali (a cura di), Piana…, 2000, pp. 61.
[139] M.C. Di Natale,
L’iconografia della crocifissione: dalla croce dipinta a quella
benedizionale, in Tracce
d’Oriente…, 2007, pp.
67-77.
[140] R.F. Margiotta,
Le suppellettili…, in Tracce d’Oriente…, 2007, p. 93. L’opera è riprodotta
anche in Arbёreshё…, 2003.
[141] M.C. Di Natale,
scheda 114, in Splendori…, 2001, p. 434; E.
D’Amico, in Catalogo dei documenti, in Ori e
argenti…, 1989, p.
394.
[142] S. Barraja, La
maestranza degli orafi e argentieri di Palermo, in Ori e
argenti…, 1989, p.
372; Idem, I marchi…, 1996, p. 49.
[143]III Mostra
d’arte sacra, Rassegna
Regionale retrospettiva del paramento e dell’arredo, Caltanissetta 1954; S. Giordano, Lo splendore
di Monreale, Palermo
1988, p. 90; M.C. Di Natale, Dallo
scriptorium…, in L’anno di
Guglielmo…, 1989, p.
199; M.C. Di Natale, scheda II,
19, in Ori e argenti…, 1989, p. 192;
L. Sciortino, scheda 1, in La cappella Roano nel Duomo di
Monreale: un percorso di arte e fede, “Quaderni di Museologia e Storia del Collezionismo”,
collana diretta da M.C. Di Natale, n. 3, Caltanissetta 2006, p. 95; R.F. Margiotta, Le
suppellettili…, e L. Sciortino , scheda 4, in Tracce
d’Oriente…, 2007, pp.
93,174-175.
M.C. Di Natale, scheda 114,
in Splendori…, 2001, p.
465.
[144] Cfr. M.C. Di
Natale, scheda II. 106, in Ori e argenti…, 1989, p. 257.
[145] C. Catello, Argenteria
sacra di Montecassino, in “Arte
cristiana”, 1983, p. 101, fig. 17.
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