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domenica 20 febbraio 2022

Alle radici del Cristianesimo

 Vocabolario

La legislazione: ..Inoltre, l'indomani dell'esodo, l'influenza cananea si fece sentire fortemente sull'espressione delle leggi e sulle forme del culto.

  Il decalogo, le "dieci parole" scritte sulle tavole del Sinai, promulga la legge fondamentale, morale e religiosa, dell'alleanza. Esso è dato due volte (Es. 20,2-17 e Dt 5,6-18) con varianti abbastanza notevoli: questi due testi risalgono a una forma primitiva, più corta, la cui origine mosaica non è contraddetta da nessun argomento valido.

  Il Codice (elohista) dell'alleanza (Es. 20,22-23, 33) ; più strettamente: Es. 20,24-39,9) è stato inserito tra il decalogo e la conclusione dell'alleanza del Sinai, ma risponde ad una situazione posteriore all'epoca di Mosè. E' il diritto di una società di pastori e di contadini e l'interesse che dedica alle bestie dell'aratura, ai lavori dei campi e della vigna, alle case, suppone che la sedementazione sia già un fatto compiuto. Solo allora Israele ha potuto conoscere e praticare il diritto consuetudinario a cui questo codice si ispira e che spiega i suoi paralleli con i codici mesopotamici; ma il Codice dell'alleanza è penetrato dello spirito dello jahvismo, spesso in reazione contro la civiltà di Canaan. Raggruppa, senza un piano sistematico, raccolte di precetti, che si distinguono per il loro oggetto e per la loro formulazione, ora "casuistica" o condizionale e ora "apodittica" o imperativa. La raccolta ha avuto dapprima una esistenza indipendente. E' certo anteriore al Deuteronomio che la utilizza; non contiene nessun riferimento alle istituzioni della monarchia e può dunque risalire al periodo dei Giudici. La sua inserzione nei racconti del Sinai è anteriore alla composizione del Deuteronomio.  (Gianfranco Ravasi, biblista italiano, teologo ed ebraista, cardinale   18-10-1942).

Un personaggio alla volta

Quando l'inquietudine  è 

spinta al cammino.

1)   Il senso della vita. (Dio nel mondo: colloquio di Joseph Ratzinger con Peter Seewald).

Domanda: Il filosofo ebreo delle religioni, Martin Buber, ha descritto una volta un importante attributo dell'amore di Dio chiamandolo "la facoltà di trarre fuori". Dice Buber: "La facoltà di trarre fuori fa partev dell'essenza di Dio fin dall'inizio". Trar fuori dai garbugli, trar fuori dall'ottusità, trar fuori dalla solitudine e dall'isolamento".

Risposta:  A questo proposito possiamo prendere a modello in una certa misura l'esodo del popolo ebraico  dalla schiavitù in Egitto. Ma tutto ha già inizio con la chiamata di Abramo. Dio trae Abramo fuori dalla sua famiglia  e lo spinge a mettersi in cammino. Fondamentalmente ognuno deve compiere  il proprio esodo. Non deve solo lasciare il grembo materno e diventare autonomo ma anche fuoruscire  dalla chiusura in se stesso. Deve staccarsi da sé, oltrepassare se stesso, e solo allora raggiungerà per così dire la terra promessa, quello spazio di libertà in cui può contribuire a costruire il mondo. Abbiamo già parlato di questa legge fondamentale del superamento di sé come dell'essenza stessa dell'amore. Naturalmente anche l'atto di colui che mi ama deve essere un atto di questo genere. Deve tirarmi fuori dalla sfera d'influenza di quell'istinto che mi spinge a compiere le scelte più accomodanti , che mi permette  di rimanere chiuso in me stesso. 

Domanda: Un grande conoscitore dell'animo umano, Erich Fromm, si è posto l'interrogativo del perché dell'amore: perché abbiamo bisogno d'amare?

 From credette di aver individuato la causa nella terribile esperienza della solitudine, della separazione originata dalla cacciata dal Paradiso. Solo perciò l'uomo avvertirebbe una forte esigenza di conformismo fino alle esperienze orgiastiche di gruppo. Viceversa la diffusione dell'alcolismo, della tossicodipendenza e del suicidio nel mondo contemporaneo sarebbero il sintomo di un relativo rifiuto del conformismo.

 Fromm compie poi un passo ulteriore. Dice che non possiamo risolvere  questo problema del distacco con il lavoro, il successo, l'adeguamento o appunto con le esperienze orgiastiche, perché questi appagamenti sarebbero solo passeggeri. LKa vera risposta alla questione esistenziale sarebbe esclusivamente nell'unione con un'altra persona, nell'amore. Dice Fromm: "Il desiderio di un'unione interpersonale è nell'uomo l'aspirazione più forte. E' il desiderio più importante, la forza che tiene unita la razza umana, il clan, la famiglia, la società. La rinuncia a ciò è follia o annichilimento -autoannientamento o annientamento d'altri. Senza amore l'umanità non potrebbe esistere un solo giorno".

Risposta: E' interessante che Froimm parli della solitudine come negazione della vocazione interiore dell'uomo. Se la solitudine consiste nel non essere amati, nell'essere abbandonati, nell'essere sé soltanto, e se in questo modo nella propria vita si crea un vuoto, questa condizione rappresenta effettivamente  ciò che più possa temere l'uomo. Da questa prospettiva  si constata una volta di più che l'uomo, creato ad immagine di Dio, è fatto per essere amato e per amare a sua volta.

 Credo che qui si debba davvero far tornare in gioco l'idea dell'uomo come immagine di Dio. Dio è amore. Nella Trinità l'amore si autorappresenta nella sua essenza. L'uomo è immagine di Dio, è colui che è ugualmente predisposto, sulla base della propria dinamica più intima, a dare e a ricevere amore.

 Il cammino che conduce all'amore autentico è legato all'accettazione dell'idea del perdere se stesso, quindi con la fatica dell'esodo. Da questo punto di vista , il cammino è ostacolato dalle tentazioni rappresentate da rapidi appagamenti, dai surrogati di felicità che Lei ha appena nominati.

 Successivamente si intuisce che questo surrogato ci offre solo enormi illusioni e ci fa precipitare nell'abisso di un'insostenibile solitudine, del vuoto assoluto. Sono immagini infernali quelle che descrivono la condizione di chi costruisce la  propria esistenza sull'effimero. Perchè, se ci chiediamo cosa  significhi essere dannati , ne concluderemo che significa proprio questo: non trovare più gusto per alcunché, non apprezzare più niente, non amare più nessuno né essere amati a propria volta. Perdere la capacità di amare, essere espulsi da questa sfera esistenziale, significa sperimentare il vuoto assoluto, in cui l'uomo vive in contraddizione con se stesso ed esperisce il fallimento esistenziale.

 Se dunque il tratto fondamentale dell'uomo è essere simile a Dio, essere com lui essenzialmente amore, allora l'umanità nel suo complesso e ogni singolo individuo possono esistere solo nella misura in cui l'amore  è presente e ci viene insegnato il percorso che ci consentirà di farlo vivere. Possiamo, una volta di più, far riferimento a Cristo: l'opera redentiva di Cristo consiste nel renderci tangibili l'amore di Dio per noi. Lo offre ad ognuno di noi e la sua via crucis  ci accompagna lungo il percorso in cui anche noi accetteremo di perdere noi stessi per amore. E, trasformando la legge dell'amore nel dono dell'amore, che supera l'estrema solitudine, quella del nostro essere irredenti.  (Segue)   Il senso della vita. (Dio nel mondo: colloquio di Joseph Ratzinger con Peter Seewald).

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Chiesa e rito bizantino

Il Cristianesimo di impostazione costantinopolitano ha raccolto l'eredità dell'intero Oriente Cristiano ed ha pure esercitato il suo influsso su tutte le chiese, compresa quella romana, durante i secoli della "pentarchia" quando l'intera cristianità dipendeva dalla sede imperiale di Costantinopoli.

Nella ritualità si coglie il linguaggio e la cultura classica della civiltà greco-romana. Questo alle orecchie correnti del terzo millennio può suonare ora complesso, pregnante e fecondo ma, se si vuole, di continuo tentativo di sintesi.

In esso si coglie il linguaggio aulico ed ufficiale da corte imperiale e nello stesso tempo quello popolareggiante, immediato, cioè meno rigido racchiuso in formule e moduli propri del linguaggio corrente e popolare.

Nel complesso l'intero linguaggio risente di orientamento teologico.

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