A questo punto si fece vivo in me il desiderio di conferire col duce prima della riunione del Gran Consiglio. Domandai di essere ricevuto. L'udienza fu fissata per le ore 17 del 22 luglio.
Nell'anticamera della sala del Mappamondo incontrai il maresciallo Kesserling per il quale il duce aveva riservato un colloquio di un'ora. Per me 15 minuti. Il mio colloquio col duce sarebbe durato invece un'ora e un quarto.
Mentre io parlavo, anticipando a Mussolini quello che avrei detto in Gran Consiglio, mi accorsi che aveva sotto gli occhi il testo del mio ordine del giorno, evidentemente trasmessogli dal segretario del partito. Nessuna ambiguità, nessun infingimento.
Il duce doveva sapere, primo fra tutti, le ragioni e lo scopo della nostra azione.
Ricordo le parole esatte che il duce, pacatamente, disse prima di congedarmi. "Hai finito?" mi domandò glacialmente. "Ho finito". "Ebbene sappi - replicò - alcune cose che dovrai ben fissarti in mente e sulle quali ti invito a meditare quando sarai uscito di qua: 1. La guerra è ben lungi dall'essere perduta; avvenimenti straordinari si verificheranno fra poco nel campo politico e militare, tali da capovolgere interamente le sorti della guerra. Germania e Russia si accorderanno, l'Inghilterra sarà distrutta. 2. Io non cedo i poteri a nessuno; il fascismo è forte, la nazione è con me, io sono il capo, mi hanno obbedito e mi obbediranno. 3. C'è, è vero, molto disfattismo in giro, fuori e dentro il regime, ma esso sarà curato a dovere come si merita, non appena io giudicherò che sarà venuto il momento. 4. Per tutto il resto, arrivederci dopo domani in Gran Consiglio.
Puoi andare". [...]
A ventuno anni di distanza dalla marcia su Roma, Mussolini era ormai in evidente declino e fu deposto dai suoi stessi gerarchi, quelli che, negli anni di dittatura, egli stesso si era premurato di selezionare e nominare. Erano sostanzialmente degli yesman, gente che concorse alle più assurde decisioni negli anni più bui del regime, compresa l’approvazione delle leggi razziali.
La sera del 24 luglio 1943 la misura era colma persino per i fedelissimi: e fu così che venne portato all’ordine del giorno della seduta un punto per disarcionare il capo del governo, su proposta del presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, l'alleato di ferro del Duce, Dino Grandi.
Gli storici confermano che dietro all’operazione c’era la regia di Vittorio Emanuele III. In quella drammatica riunione fu evidente che la situazione era ormai senza sbocchi, Grandi non fece mistero di vedere nel passaggio delle funzioni di comandante in capo delle operazioni di guerra da Mussolini al sovrano. Del resto, il ricorso al Gran Consiglio del Fascismo – che non veniva convocato dal 1939 – si era reso obbligatorio proprio per ripristinare l’articolo 5 dello Statuto Albertino, che affidava in mano al re le funzioni demandate al dittatore.
Per chi vuole leggere qualcosa in più
La sfiducia a Mussolini.
La mozione viene presentata da Dino Grandi e passa con
19 voti favorevoli (Acerbo, Albini, Alfieri, Balella, Bastianini, Bignardi, Bottai, Cianetti (ritira il giorno successivo), Ciano, De Bono, de Marsico, De Stefani, De Vecchi, Federzoni, Gottardi, Grandi, Marinelli, Pareschi, Rossoni),
7 contrari (Biggini, Buffarini-Guidi, Farinacci, Frattari, Galbiati, Polverelli, Scorza, Tringali Casanova) e un astenuto (Suardo).
“Il Gran Consiglio del Fascismo, riunendosi in queste ore di supremo cimento, volge innanzi tutto il suo pensiero agli eroici combattenti di ogni arma che, fianco a fianco con la gente di Sicilia, in cui più alta risplende l'univoca fede del popolo italiano, rinnovano le nobili tradizioni di strenuo valore e d'indomito spirito di sacrificio delle nostre gloriose Forze Armate.
Esaminata la situazione interna e internazionale e la condotta politica e militare della guerra;
proclama
il dovere sacro per tutti gli italiani di difendere ad ogni costo l'unità, l'indipendenza, la libertà della Patria, i frutti dei sacrifici e degli sforzi di quattro generazioni dal Risorgimento ad oggi, la vita e l'avvenire del popolo italiano;
afferma
la necessità dell'unione morale e materiale di tutti gli italiani in questa ora grave e decisiva per i destini della Nazione;
dichiara
che a tale scopo è necessario l'immediato ripristino di tutte le funzioni statali, attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al Governo, al Parlamento, alle Corporazioni i compiti e le responsabilità stabilite dalle nostre leggi statutarie e costituzionali;
invita
il Governo a pregare la Maestà del Re, verso il quale si rivolge fedele e fiducioso il cuore di tutta la Nazione, affinché Egli voglia per l'onore e la salvezza della Patria assumere con l'effettivo comando delle Forze Armate di terra, di mare, dell'aria, secondo l'articolo 5 dello Statuto del Regno, quella suprema iniziativa di decisione che le nostre istituzioni a Lui attribuiscono e che sono sempre state in tutta la nostra storia nazionale il retaggio glorioso della nostra Augusta Dinastia di Savoia".
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