Oggi, nella Chiesa cattolica di rito bizantina, si proclama il brano del Vangelo di Matteo 8, 28-9,1
nel territorio dei Gadareni,
gli vennero incontro due indemoniati
uscendo dai sepolcri,
tanto furiosi
che nessuno poteva passare per quella strada.
8,29 Ed ecco gridarono dicendo:
Che tra noi e te.
Figlio di Dio ?
Sei venuto qui
prima del tempo a tormentarci ?
8,30 Ora c'era lontano da loro
una mandria di molti porci al pascolo
...
...
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Come vedete in questo brano gli indemoniati diventano due:
sappiamo da Marco che è uno. Così vediamo in Marco che c'è il
cieco di Betsaida che è uno, in Matteo diventano due; c'è il cieco di
Gerico che è uno, qui diventano due. Chi sarà questo secondo?
Matteo vuol porci su questa pista: chi sarà questo secondo?
È
il lettore.
E fa apposta questi sdoppiamenti per alludere a qualcosa
di preciso: cioè io che leggo sono il secondo che fa la stessa
esperienza del primo.
E sono due indemoniati, due che dicevamo posseduti
visibilmente dal male.
Il Male cosa fa?
Fa dimorare nei sepolcri. E la
scena l'avete in Marco 5, ancora più pittoresca di qui.
La prima caratteristica del male è che ci fa dimorare nel
sepolcro, cioè nella morte. La parola sepolcro, in greco, nemeion, ha
la stessa radice di memoria, di sorte, di morte, ci fa dimorare nel ricordo della morte. E il ricordo della morte diventa il principio della
nostra vita. Siamo schiavi ossessionati da questo.
Qual è l'unica certezza che ha l'uomo? È questo ricordo.
Quindi tutti siamo posseduti da questo ricordo. È anche inutile
rimuoverlo per due semplici motivi: il fatto di sapere di essere
mortali ci fa uomini, se no uno si crede immortale ed è molto
pericoloso, ci fa umani, humus, terra, da cui deriva umano; quindi il
primo aspetto è importante ed è sapere di essere mortali.
Il
secondo è che noi protestiamo contro questa coscienza, e se io
rimuovo questa coscienza non ho altro che angoscia. Devo trovare
la risposta a questa memoria. E il Vangelo è essenzialmente la
risposta alla memoria della morte con la memoria della vita, della
resurrezione, quindi è fondamentale questo scontro.
E la morte è il risultato ultimo del male, la morte come noi la
viviamo; perché la morte se non ci fosse il peccato non sarebbe un
male; siamo mortali, finiamo; la mia fine non è la fine, ma è la
comunione col mio principio. Così come il mio limite è la comunione
con l'altro, non è la mia fine.
Solo se io mi difendo dall'altro,
aggredisco l'altro, il mio limite è la fine mia che devo difendere a
tutti i costi. Quindi il modo con il quale viviamo la morte
angosciante è dovuto alla menzogna che non ci fa sapere di venire
da Dio e di tornare a Dio.
E allora diventa ossessiva, siamo posseduti da questa
memoria ed è interessante che l'indemoniato corre incontro a Gesù,
come la farfalla che, nella luce, si brucia. Cioè è irresistibile la forza
della luce, la forza di Cristo.
Non è che il male è forte. Comunque
questo male era tanto forte, tanto furioso, che nessuno passava per
quella strada, per la quale poi, tra l'altro, dobbiamo passare tutti. E
dice Marco, che si percuoteva con pietre e minacciava tutti quelli
che passavano. Cioè il male è autolesionista innanzitutto e poi
terrorizza gli altri. E aggiunge che era indomabile, aveva infranto i
ceppi e le catene che lo tenevano legato. Cioè un male indomabile.
E anche Gesù domanda: come ti chiami? Legione. È un male
ben organizzato. Una legione.
Ben organizzato, ma anche molteplice. La molteplicità non è
tanto sintomo di ricchezza, quanto piuttosto di divisione, di rottura
di vita. È proprio qualcosa che assomiglia al non essere, spappolato,
diviso, schizofrenico.
Dico una cosa per esemplificare: non è lecito ridurre tutto
questo discorso alla presentazione di un caso di una grave
psicopatologia. Però si può capire qualcosa di quello che avviene
pensando a situazioni in cui una persona è chiusa in se stessa. Quel
sepolcro che è il suo ego, questa persona urla, grida, sembra
chiedere soccorso, però preclude di fatto una comunicazione con gli
altri, sbarra le strade.
Come vedete, questo primo versetto ci vuole un po'
descrivere la condizione che è in ciascuno di noi più o meno
rimossa. Viviamo in questo ricordo, siamo furiosi, chi più chi meno,
facciamo del male a noi e agli altri e non possiamo che vivere questo
ricordo in un modo o in un altro. .... ...
Silvano Fausti
(1940-2015), gesuita, è stato docente di Teologia
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