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venerdì 3 luglio 2020

Questioni politiche e sociali. Dalla Rivoluzione francese alla Riforma agraria in Sicilia.

Questione agraria e Risorgimento erano 
state due facce della stessa medaglia.

Dal riformismo borbonico alla 
Riforma agraria degli anni cinquanta del '900

In più occasioni abbiamo accennato sul Blog alla vicenda garibaldina in Sicilia che ha visto la partecipazione di parecchi "contessioti", nell'ordine di alcune centinaia di contadini accorsi al seguito di alcuni leader locali (i Vaccaro, e non solamente loro), infiammati non tanto dall'idea di una Italia unita da Trapani a Torino ma dalla speranza di risolvere la gravosa situazione agraria dell'isola. La questione che già dagli anni 1734-35 del Settecento con l'istituzione del Regno Meridionale borbonico sembrava stesse a cuore ai regnanti borbonici che sembrarono possedere l'intenzione di ridurre o addirittura annullare il potere, eccessivo, dei baroni nel governo dell'isola.
Effettivamente i Borboni, nella fase iniziale del loro regno e per tutto il periodo dell'Illuminismo, impressero una forte spinta riformatrice all'assetto istituzionale ed economico dell'isola ma tranne alcuni successi, raramente la spuntarono contro i baroni.

Nel Settecento lo stato meridionale borbonico incarnava e possedeva ancora le medesime strutture e gli stessi principi di governo risalenti alla monarchia normanna (quindi, di sei/sette secoli precedenti).
Quando il vicerè di Carlo di Borbone, conte di Montemar, si insediò a Palermo, l'elité di allora, i baroni,  lo impegnarono a rispettare, oltre ai capisaldi e ai privilegi del regno di Sicilia, i capitoli della città di Palermo e delle altre realtà dell'isola. 
In pratica nel Settecento inoltrato nulla doveva essere rimodulato dell'assetto istituzionale tramandato dai re normanni. Il feudalesimo della prima ora non poteva, non doveva, essere rimodulato.
Il 3 luglio 1735, dopo aver neutralizzato l'ultimo presidio degli Asburgo, a Messina, Carlo di Borbone giurò nella Cattedrale di Palermo fedeltà ai "privilegi" e alle prerogative dell'antico regno di Sicilia. 

In seguito al giuramento ricevette -col voto dei tre bracci del parlamento feudale: 
-- Braccio feudale o militare, comprendeva i 56 Nobili, di cui i primi 10 assumevano l'appellativo di pari del regno,
--Il Braccio ecclesiastico, comprendeva i 63 Arcivescovi, Vescovi, Abati e Archimandriti (così erano chiamati i superiori dei Monasteri di rito greco).
--Il Braccio Demaniale, comprendeva le 42 Città demaniali, ovvero le Città appartenenti alla Corona. Le Città regie avevano particolari prerogative e privilegi, come il vanto di possedere una reliquia del Santo Patrono o l'onore di fregiarsi dell'appellativo regale, attribuito loro già da Federico II nel 1233 e continuato ad essere usato anche sotto i re che lo seguirono,
il titolo di Re di Sicilia, di Gerusalemme, infante di Spagna, duca di Parma, Piacenza e Castro, gran principe ereditario di Toscana

Carlo, che probabilmente si sentì imbrigliato da un assetto che risaliva all'anno mille normanno, dopo pochi mesi di permanenza nel palazzo reale palermitano, preferì fissare come sua sede Napoli al posto di Palermo. 
I baroni accettarono con rassegnazione la decisione regia avendo avuto la sensazione che col nuovo re borbonico tutto in Sicilia era cambiato tranne la convinzione che tutto sarebbe rimasto fermo all'assetto feudale dell'anno mille.

In Sicilia il monarca, oltre che capo del governo
era anche capo della chiesa.
A Napoli molte erano le differenze di governo rispetto all'isola. Nell'isola il re, avvalendosi della Legazia apostolica, era pure il Capo della Chiesa isolana; chiesa che costituiva come sopra abbiamo rappresentato un ramo del Parlamento. In quanto Re e Capo della Chiesa egli nominava tutti i Vescovi e gli Abati dell'Isola, i quali a loro volta stavano a capo di poco meno della metà dei feudi dell'Isola.
Quest'assetto di estrema dipendenza dei vertici ecclesiastici dal Re era motivo ed occasione di un forte controllo del territorio e -in qualche modo- strumento di pressione sui Baroni che -ove ritenuti infedeli- potevano rischiare di vedere trasmessi alla Chiesa parte o interamente i loro domini.
Il Papa ?
Il Papa, in Sicilia, non poteva esercitare il suo ruolo di governo universale dei fedeli, se non quello -molto più semplice- di autorità morale.

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