Il Fascismo e le donne
Il 20 Gennaio 1927, il regime fascista si è in qualche modo consolidato nel governo del Paese ed avvia parte della propria peculiare visione della vita, con cui punta a caratterizzarsi.
In quella data viene emesso un decreto legge con cui si interviene sui salari delle donne, riducendoli al cinquanta per cento di quelli degli uomini.
Pochi mesi prima il regime aveva regolamentato l'accesso all'insegnamento nelle scuole ed aveva negato alle donne l'insegnamento, nelle scuole superiori, di filosofia, economia e storia.
Il lavoro della donna valeva -sotto il fascismo- esattamente la metà di quello del suo collega, ed era già molto se non le veniva tolto del tutto. Infatti secondo l'ideologia fascista la sua "missione" era una sola, come ricordò più volte Mussolini nei suoi discorsi: quella di "far figli, molti figli, per dare soldati alla patria".
Una seconda offensiva contro le dnne riguardò i pubblici impieghi.
Una legge deI 1933 limitò notevolmente le assunzioni femminili, stabilendo sin dai bandi di concorso l'esclusione delle donne o riservando loro pochi posti. Esse furono praticamente eliminate dalle carriere di categoria A e B, e furono ammesse, salvo rare eccezioni, solo a quelle C.
Più tardi, un decreto precisava addirittura quali impieghi statali potessero essere loro assegnati, e furono naturalmente i meno qualificati e peggio retribuiti: quelli di dattilografa, stenografa, segretaria, addetta alla raccolta di dati statistici, agli schedari, alle biblioteche. La carica di segretario comunale era invece troppo importante per essere ricoperta da una donna, come precisò una sentenza del Consiglio di Stato.
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