Per non dimenticare
L'intervento del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, in occasione del "giorno della memoria", diffuso dalla Rai.
"Per fare davvero i conti con la Shoah non dobbiamo rivolgere lo sguardo soltanto al passato. Perché il virus della discriminazione, dell'odio, della sopraffazione, del razzismo non è confinato in una isolata dimensione storica, ma attiene strettamente ai comportamenti dell'uomo. E debellarlo riguarda il destino stesso del genere umano".
La scritta "Juden hier" (qui abitano degli ebrei) sulla porta dell'abitazione di Aldo Rolfi, figlio di una donna sopravvissuta ai campi di sterminio, Lidia Beccaria Rolfi, è "ignobile" e dimostra come "purtroppo l'antisemitismo non sia scomparso" ha detto il presidente Mattarella a proposito della scritta comparsa a Mondovì qualche giorno fa.
Il capo dello Stato ha ricordato anche la recente scomparsa di tre dei sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti: Alberto Sed, Piero Terracina e Franco Schoenheit. "Desidero riferirmi a loro con un'intensa espressione ebraica, che si utilizza quando scompare una persona cara: 'Che il loro ricordo sia di benedizione. Il loro ricordo, il ricordo delle indicibili sofferenze patite da una moltitudine di persone, impegna, ancor di più a tramandare la memoria della Shoah; e a riflettere sulle sue origini e sulle sue devastanti conseguenze".
Mattarella ha ricordato che "la Shoah, per il suo carattere unico e terribile, trascende la dimensione storica del suo tempo e diventa monito perenne e lezione universale. Nell'arco di un quinquennio - ha proseguito - il regime nazista ha cancellato la vita di quasi sei milioni di donne, uomini, bambini perché ebrei. Le conseguenze dell'abominio razzista si riversarono, luttuosamente e inevitabilmente, sul mondo intero. Perché la Shoah riguardava, e riguarda, tutti, non soltanto gli ebrei, che ne furono le vittime designate. In quegli anni orrendi e funesti - dominati dalla violenza, dall'odio, dalla sopraffazione - fu infatti posto a rischio il concetto stesso di umanità . E il suo futuro".
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Liliana Segre
"Il mio corpo è stato prigioniero, ma la mia mente ha sempre volato. Quella non avevano potuto tenerla prigioniera: io ho sempre pensato con la mia testa". Così la senatrice a vita, Liliana Segre, ha raccontato la deportazione nei campi di concentramento agli studenti milanesi nel Teatro degli Arcimboldi a Milano. Lei, sopravvissuta al campo di sterminio nazista di Auschwitz, ha parlato agli studenti in vista del Giorno della Memoria, la scorsa settimana.
Ai giovani ha rivolto un appello: "E' la libertà di pensiero che dovete difendere", contro quell'indifferenza che invece regnò in Europa durante la Shoah: "Non ci fu nemmeno un ferroviere a domandarsi come mai quei treni partivano pieni e tornavano vuoti". "Anche gli Alleati - ha detto ancora la senatrice a vita - non bombardarono le ferrovie, le fabbriche e men che meno i campi di concentramento. Nessuno si occupò di noi e nessuno accettò di sapere la verità di quei campi. Nemmeno quando qualcuno riuscì a scappare e a parlare col primo ministro inglese Churchill per raccontare che cosa stava avvenendo in Europa".
Finita la guerra "vidi quelle persone che avevo così tanto temuto buttare via le divise con cui ci avevano spaventato. Anzi con cui avevano spaventato gli eserciti di tutta Europa. Senza i russi e gli americani avrebbero vinto tutto", ha fatto notare ancora Segre. Sottolineando che "sono stati i partigiani ad aiutare a ritrovare la libertà".
Liliana Segre è poi arrivata a parlare del momento in cui le porte del campo di concentramento in cui fu prigioniera, Ravensbruck, "si aprirono". "Oggi per noi è scontato andare dove vogliamo ma quel giorno arrivò l'ordine di uscire dal campo. E noi, debolissime, non sopportavamo nemmeno la gioia".
Nonostante questo "mi resi conto che era un momento eccezionale: la storia stava cambiando". In quel momento vidi il mio carceriere, il capo di quell'ultimo campo mettersi in mutande e tornare a casa, padre amoroso quale sarà sicuramente stato. Io mi ero nutrita di odio e di vendetta. Ma non raccolsi quella pistola e diventai quella donna libera e di pace che sono anche adesso".
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Pochi di noi contessioti sanno che decine di contessioti soffrirono fame, stenti e freddo nei campi di concentramento dislocati nella Prussia Orientale, a non molta distanza da Auschwitz.
Campi che raccolsero militari non disposti ad aderire alla repubblica-fantoccio filo nazista di Salò creata dai fascisti nostrani. Ad essi toccarono lavori forzati in territori con la neve ghiacciata alta più di un metro vestiti con stracci che qualche persona a cui non era venuto meno il senso di umanità riusciva, di nascosto, a far pervenire a loro.
Contiamo, nel contesto della storia della seconda guerra mondiale che periodicamene sviluppiamo sul Blog, di narrarne la viicenda personale.