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venerdì 23 gennaio 2015

Uomini, fatti, eventi. Come li ricordiamo oggi

23 Gennaio

In quel 23 gennaio 1973  lo studente Roberto Franceschi viene ucciso nel corso di una manifestazione dell’Università Bocconi. 
La prima versione è quella di un sasso lanciato dai manifestanti, poi piano piano la verità: a sparare è stata la polizia. 
Roberto resterà in coma per una settimana e morirà il 30 gennaio.

«Roberto era estremamente duro contro la superficialità, la faciloneria, il disprezzo per la cultura e la scienza: Egli era convinto che una attività politica non sorretta da una seria e continua analisi della situazione è sterile e cieca, per questo rifiutava la contrapposizione radicale tra politica e studio ritenendoli complementari: l’una stimola l’altro e viceversa…» fu scritto da un suo compagno di studio.

Perchè rievochiamo, in questa rubrica il passato ? 
Perchè ciò che capita oggi è figlio del passato, di come il passato ci ha forgiati.

Il 23 gennaio 1973 i gruppi della sinistra extraparlamentare avevano indetto uno sciopero nazionale studentesco. Era programmata un’assemblea del Movimento Studentesco presso l’Università Bocconi in serata. Fino ad allora le assemblee serali nelle università erano sempre state aperte alla partecipazione di chi avesse voluto prendervi parte. 
Il Rettore della Bocconi, stabilì che potessero accedere all’Università solo gli iscritti, mostrando il libretto. La polizia, avvertita dal Rettore, circondò l’università con un nucleo di un centinaio di agenti della Celere, per far rispettare con la forza le disposizioni. 
Seguirono contestazioni da parte dei giovani e nacque un breve scontro. Mentre i contestatori si allontanavano, agenti e funzionari di polizia spararono vari colpi d’arma da fuoco ad altezza d’uomo. Furono colpiti, alle spalle mentre fuggivano, lo studente Roberto Franceschi (raggiunto al capo) e l’operaio Roberto Piacentini (alla schiena). 
anni70franceschiPiacentini, operaio della Cinemeccanica, venne subito caricato su un’auto che lo condusse al Policlinico. Franceschi fu invece soccorso da quattro compagni e trascinato, in preda ad una grave emorragia, nell’atrio di un edificio. Un medico e uno studente gli praticarono il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca. Rimase senza conoscenza e in coma per una settimana prima della morte.

Il 3 febbraio si svolsero i funerali con la partecipazione pacifica ed immensa con alla testa il sindaco socialista, ex capo partigiano, Aldo Aniasi; il  Presidente della Camera dei Deputati, Sandro Pertini, inviò una corona d’alloro in segno di solidarietà.


La Questura avanzò la versione dell’‘agente in preda a raptus’: affermò infatti che l’agente di PS Gianni Gallo avrebbe sparato in stato di semi-incoscienza.
Si sono svolti diversi processi per accertare la verità sull’assassinio di Roberto Franceschi. La vicenda giudiziaria si protrasse per oltre vent’anni, furono stabilite responsabilità generiche delle forze dell’ordine, ma non si arrivò alla condanna del responsabile. 
Il primo processo si aprì nel 1979, dopo 6 anni dall’uccisione di Roberto. Furono cinque gli imputati. Il secondo processo penale, nei confronti del vicequestore imputato di omicidio volontario si concluse nel 1984 con l’assoluzione per insufficienza di prove. 
La famiglia di Franceschi decise quindi di agire in sede civile contro il Ministero dell’Interno per il risarcimento del danno. Si accertò che il colpo omicida era partito da uomini delle forze di polizia, che a sparare furono almeno in cinque e che l’impiego delle armi da fuoco contro i manifestanti era avvenuto in assenza di legittimi presupposti.

I processi di risarcimento  nel 1990 e  nell’ultima sentenza del 1999 fissarono in 600 milioni di lire il dovuto ai famliari e con essi è stata finanziata la Fondazione Roberto Franceschi.

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