I “compiti delle vacanze”
Vivere è sperare di nascere del tutto,
ciò che in ciascuno di noi è abbozzato chiede
pieno compimento: per questo usiamo la metafora
della chiamata o vocazione, la vita ci interpella,
rispondere è il nostro compito.
Ma che cosa ci chiede esattamente la vita?
Mentre un animale è guidato dal suo istinto,
bussola infallibile per «venire al mondo»,
nel caso degli umani l’istinto è povero:
per «venire al mondo» abbiamo bisogno di
«fare esperienza». Ma oggi il mondo viene
a noi attraverso gli schermi, e quindi l’esplorazione
e l’esperienza sono in qualche modo rappresentate
più che presenti.
Questa perdita di «realtà», che ha i suoi estremi
nei casi di cronaca degli ultimi tempi, non è indolore:
se non tocco il mondo e non ne sono toccato,
ma mi intrattengo con le sue immagini,
non mi sentirò chiamato da nulla e rimarrò privo
di destino, il modo di venire al mondo unico e
originale di ciascuno. Per questo per le vacanze,
noi educatori, potremmo inventare qualche
«esercizio di destino», allenamento a venire al
mondo, cioè permettere alla vita di chiamarci a
nascere di più. Le vacanze servono a questo,
ad affinare il lavoro che si fa a casa e a scuola,
che è trovare risposta alla domanda:
«Perché sei venuto al mondo?».
Dalla risposta dipende poi ogni possibile
successiva «incarnazione»: esistenziale, relazionale, professionale.
I cosiddetti «compiti delle vacanze» dovrebbero essere modi di facilitare l’incontro tra noi e il mondo.
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