Il punto di vista dell’antropologo
L’antropologo britannico George Simpson, pur accogliendo l’idea che la vita di noi esseri umani non sia qualcosa di diverso di ogni altro aspetto della natura, e che l’uomo costituisce il modello centrale del vitalismo (1), sostiene:
Sarebbe un grossolano errore pensare che l’uomo sia soltanto un accidente o soltanto un animale: fra tutte le miriade di forme di materia e di vita sulla Terra -per quanto sappiamo, finora, dell’universo- l’uomo è unico. Gli e’ toccato di rappresentare la forma più alta di organizzazione di materia e di energia che sia mai apparsa. Il riconoscimento di questa sua parentela con il resto dell’universo è necessario, ma la sua natura essenziale e’ definita da qualità che l’uomo non ha in comune con le scimmie, i pesci, gli alberi, il fuoco, o qualsiasi cosa che non sia se stesso.
L’uomo possiede -di fatto- quelle qualità che lo rendono unico nella sua diversità. Egli sa “riprogettarsi” secondo quanto dicono i biologi. Egli sa darsi persino un’altra natura. Se poi molti uomini dei nostri giorni, scrive il rabbino Abraham Herschel “hanno cessato d’interrogarsi sulla natura dei gesti che compiono” ciò e’ dovuto al “vuoto di molti uomini d’oggi”.
(1) Teoria ottocentesca in opposizione al meccanicismo assoluto, secondo la quale i fenomeni vitali non possono essere ridotti a interpretazioni chimico-fisiche, in quanto governati da entità immateriali, trascendenti o immanenti; sussite ancora oggi come semplice opposizione al riduzionismo.

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