L'uomo,
l'egoismo, l'imprevidenza, l'urbanizzazione cementificata
Poi c’è un’altra
questione: quelli esondati — tipo l’Idice, 78 chilometri di lunghezza, o il
Sillaro, 66 — sono tutti fiumiciattoli piccoli e «la loro modesta
portata, in un suolo già saturo per l’alluvione di inizio maggio — spiega Mauro Rossi, geologo dell’Istituto di ricerca per la protezione
idrogeologica del Cnr — si è di colpo ingrossata per via delle precipitazioni
intense delle ultime 48 ore.
Difficile
dire se una maggiore presenza di bacini di
laminazione — i «parcheggi
temporanei» delle acque che straripano — avrebbe risparmiato l’alluvione alla
Romagna. Sono «difese che non si possono costruire da tutte le parti, perché stravolgerebbero la realtà di questi
piccoli centri. Se da un lato possono essere la soluzione dei problemi,
dall’altro ne creerebbero altri, dalla modifica del
paesaggio a un problema di evaporazione che
può danneggiare le coltivazioni in caso di siccità. Va detto anche che il
territorio tra colline e pianura è costituito da materiale che accetta poca acqua e dunque il riassorbimento è minimo».
Tutto va
inquadrato in uno scenario che vede «una frequenza sempre maggiore di eventi
estremi — dice il presidente del Consiglio nazionale dei
geologi Francesco
Violo — che impatta in un territorio urbanizzato negli ultimi anni in maniera molto intensiva, con alte percentuali di
consumo di suolo».
«Bombe d’acqua» e
piogge prolungate «amplificano le difficoltà anche in questa parte dell’Italia
dove la manutenzione si fa». Semmai «i parametri dei calcoli idraulici svolti
nel passato per le opere di difesa non sono più
idonei».
La soluzione? «Aggiornare il modo di progettare, adattarsi alle condizioni nuove, con piani per interventi strutturali e con presidi territoriali in grado di monitorare il territorio intervenendo con tempestività».
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