Leopoldo Franchetti: La diagnosi aveva fondamenta storiche: “l’abolizione di diritto del sistema feudale non produsse nessuna rivoluzione sociale, appunto perché i feudi furono lasciati in libera proprietà agli antichi Baroni: onde al legame tra il coltivatore e il suolo che prima era costituito dalla stessa servitù feudale, non si sostituì come altrove l’altro vincolo di proprietà, ma invece quel legame fu semplicemente rotto, e il contadino si trovò libero in diritto, senza doveri ma anche senza diritti, e quindi ridotto di fatto a maggiore schiavitù di prima per effetto della propria miseria”.
Alla sopravvivenza del sistema feudale erano anche imputati il sistema clientelare e la mentalità individualista, più in generale una violenza padronale raccapricciante che non si fermava neppure davanti allo sfruttamento del lavoro minorile nelle zolfare: per dodici ore al giorno, i carusi, ragazzi di sette o al massimo dieci anni, trasportavano sulla schiena i materiali estratti dal profondo delle cave sino in superficie; i più piccoli portavano sulle spalle, incredibile a dirsi, un peso dai 25 ai 30 chili.
Nascita: 31 maggio 1847, Livorno
Morte: 4 novembre 1917.
Con siffatti mezzi d'azione e d'informazione, un prefetto di Palermo ha da resistere agli inganni e alle lusinghe di chi cerca di farsi di lui un istrumento, impedire i disordini e i furti nelle amministrazioni locali, le prepotenze dappertutto; ristabilire e mantenere l'ordine pubblico. E neanche può far calcolo sull'aiuto del Governo che l'ha mandato. Pure, l'Italia, annettendosi la Sicilia, ha assunto una grave responsabilità. Qualunque Governo italiano ha l'obbligo di rendere la pace a quelle popolazioni e di far loro conoscere che cosa sia la legge, di sacrificare a questo fine qualunque interesse di partito od altro. Ma invece vediamo i Ministri italiani d'ogni partito, dare per primi l'esempio di quelle transazioni interessate che sono la rovina di Sicilia, riconoscere nell'interesse delle elezioni politiche quelle potenze locali che dovrebbero anzi cercar di distruggere, e trattare con loro. Il Prefetto stesso deve, per ubbidire ai superiori, imitarli, e così dimenticare il vero fine della sua missione; anzi, nuocergli. Una volta aperta la porta agli intrighi, si vede a Roma l'influenza del prefetto avversata, spesso vittoriosamente, da quella delle persone che egli ha ufficio di combattere; i loro rapporti creduti talvolta più dei suoi. Gli viene tolto ogni mezzo di agire efficacemente, si vede rifiutare gli impiegati che egli chiede. Se malgrado tutto ciò egli riesce a operare qualche miglioramento, almeno superficiale, sopraggiunge un cambiamento di Ministero, vengono al potere o vicino al potere persone le quali hanno amicizie, legami, interessi con quelle che il prefetto ha dovuto inimicarsi per fare il suo dovere. Segue la reazione. Sotto colore di politica, gl'impegni migliori e più coscienziosi sono sacrificati a rancori personali, è distrutta l'opera incominciata, si ricade più basso che mai e, quel che è peggio, si conferma sempre più nel pubblico l'opiniome della potenza infallibile e incrollabile nell'Isola e fuori, di quelle persone che la tiranneggiano e la sfruttano a loro profitto.
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