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martedì 16 maggio 2023

Con Leopoldo Franchetti. La Sicilia di ieri e di oggi

    Leopoldo Franchetti:  La diagnosi aveva fondamenta storiche“l’abolizione di diritto del sistema feudale non produsse nessuna rivoluzione sociale, appunto perché i feudi furono lasciati in libera proprietà agli antichi Baroni: onde al legame tra il coltivatore e il suolo che prima era costituito dalla stessa servitù feudale, non si sostituì come altrove l’altro vincolo di proprietà, ma invece quel legame fu semplicemente rotto, e il contadino si trovò libero in diritto, senza doveri ma anche senza diritti, e quindi ridotto di fatto a maggiore schiavitù di prima per effetto della propria miseria”.

 Alla sopravvivenza del sistema feudale erano anche imputati il sistema clientelare e la mentalità individualista, più in generale una violenza padronale raccapricciante che non si fermava neppure davanti allo sfruttamento del lavoro minorile nelle zolfare: per dodici ore al giorno, i carusi, ragazzi di sette o al massimo dieci anni, trasportavano sulla schiena i materiali estratti dal profondo delle cave sino in superficie; i più piccoli portavano sulle spalle, incredibile a dirsi, un peso dai 25 ai 30 chili.

Nascita: 31 maggio 1847, Livorno

Morte: 4 novembre 1917.

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CONDIZIONI   GENERALI


I. Palermo e i suoi dintorni

17. Il Governo centrale non sostiene i suoi funzionari,

L'indagine in Sicilia di Leopoldo Franchetti

è una sorta di Grand Tour dell'arretratezza 

e della miseria  compiuto nel 1876. 

===
Vi stiamo ritrovando
ciò che i nonni
ci raccontavano nelle
serate invernali, quando
si stava -tutti i familiari-
seduti
attorno al braciere.







Con siffatti mezzi d'azione e d'informazione, un prefetto di Palermo ha da resistere agli inganni e alle lusinghe di chi cerca di farsi di lui un istrumento, impedire i disordini e i furti nelle amministrazioni locali, le prepotenze dappertutto; ristabilire e mantenere l'ordine pubblico. E neanche può far calcolo  sull'aiuto del Governo  che l'ha mandato. Pure, l'Italia, annettendosi la Sicilia, ha assunto una grave responsabilità. Qualunque Governo italiano ha l'obbligo di rendere la pace a quelle popolazioni e di far loro conoscere che cosa sia la legge, di sacrificare a questo fine qualunque interesse  di partito od altro. Ma invece vediamo i Ministri italiani d'ogni partito, dare per primi l'esempio  di quelle transazioni  interessate che sono la rovina di Sicilia, riconoscere nell'interesse delle elezioni politiche quelle potenze locali che dovrebbero anzi cercar di distruggere, e trattare con loro. Il Prefetto stesso deve, per ubbidire ai superiori, imitarli, e così dimenticare  il vero fine della sua missione; anzi, nuocergli. Una volta aperta la porta agli intrighi, si vede a Roma l'influenza del prefetto avversata, spesso vittoriosamente, da quella delle persone che egli ha ufficio di combattere; i loro rapporti creduti talvolta più dei suoi.  Gli viene tolto ogni mezzo di agire efficacemente, si vede rifiutare gli impiegati che egli chiede. Se malgrado tutto ciò egli riesce a operare qualche miglioramento, almeno superficiale, sopraggiunge un cambiamento di Ministero, vengono al potere o vicino al potere persone le quali hanno amicizie, legami, interessi con quelle che il prefetto ha dovuto inimicarsi per fare il suo dovere. Segue la reazione. Sotto colore di politica, gl'impegni migliori  e più coscienziosi  sono sacrificati  a rancori personali, è distrutta l'opera incominciata, si ricade più basso che mai e, quel che è peggio, si conferma sempre più  nel pubblico l'opiniome  della potenza infallibile  e incrollabile  nell'Isola e fuori, di quelle persone che la tiranneggiano  e la sfruttano a loro profitto.
  Per far diversione al sentimento suscitato da un quadrocosì lugubre, si possono ascoltare i racconti dei fatti che accadono  al di là dei monti che contornano la città. Si sente parlare dell'infinita miseria dei più, della ricchezza, della prepotenza di pochi. Si sente dire di campagne  e paesi padroneggiati  da briganti prfesenti  ad un tempo dappertutto, che eseguiscono le loro vendette  con una rapidità ed una crudeltà spaventevole sotto gli occhi di un'intera popolazione, quasi sotto quelli della Forza pubblica, e dei quali pure la Forza non riesce a scoprire traccia in nessun luogo.
  Con questa impressione e sotto questi auspici, il viaggiatore lascia Palermo, per inoltrarsi nell'interno dell'Isola.
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 Fermiamo, per qualche tempo, il percorso conoscitivo sulla Sicilia dei nostri bisnonni (sul trentennio di fine Ottocento), tracciato da Franchetti. 
 Contiamo di riprenderlo col II capitolo fra qualche tempo. Esso porta il titolo: Le province infestate dai malfattori.

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