Feudalesimo a Kuntisa
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In Sicilia il viceré Domenico Caracciolo, in carica dal 1781, lottò contro la feudalità, combattendo i delinquenti protetti dai nobili, colpendo il privilegio del porto darmi, abolendo i diritti di pedaggio, le dogane interne, le corvées dei contadini. Inoltre decretò che i magistrati - fino ad allora di nomina baronale - venissero scelti per elezione, anche nei comuni che restavano "feudo" di qualche signore. Nella sua opera riformatrice Caracciolo incontrò l'opposizione del Parlamento siciliano, in mano ai nobili, che bocciò il progetto di un nuovo censimento e di un catasto di tutte le proprietà.
Nel 1786 il vicerè fu richiamato a Napoli, ma le riforme proseguirono, in parte, con il nuovo governatore Francesco Maria Venanzio d'Aquino, che nel maggio 1789, proprio alla vigilia della Rivoluzione francese, abolì in Sicilia ogni forma di servitù personale.
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Quando nel XV secolo gli arbëreshe cominciarono ad arrivare sui feudi dei Cardona, nella Sicilia Occidentale, il regime politico-sociale-istituzionale vigente nell'Isola era quello feudale. Si trattava di un regime che ormai stava al confine tra il feudalesimo medievale ed il feudalesimo dell'età moderna. Il primo quadro presentava atteggiamenti flessibili alla crisi del potere pubblico (quello spagnolo) nel senso che nei casi di necessità si rendeva disponibile alle necessità della monarchia di cui si sentiva asservita, il secondo quadro vede invece il baronaggio siciliano molto più rapace e capace di compromessi (=collusione) col potere statuale ed anche, di volta in volta, persino capace di reazioni conflittuali (=collisione) con esso.
In pratica, alle origini della "modernità" in Sicilia e in tutto il meridione italiano non si impose lo stato centralizzato e si assistette al dominio -contrattato- fra il baronaggio da una parte e l'autorità statuale (spagnola). Si impose nella pratica una dialettica che permise al regime feudale continuità e persino significative mutazioni di potere incrementale per i baroni.
E'
fondata la tesi che gli arbëreshe arrivati alle pendici del Castello
di Calatamauro non seppero mai chi fosse, e dove stesse, il monarca della
Sicilia. Loro unico interlocutore, che instaurò con loro -tramite la sua corte-
intese e assetti che fossero di natura "pubblicistica" o di natura
"privatistica" fu sempre ed unicamente un membro dei Cardona-Peralta (o meglio i loro rappresentanti).
Andando avanti nella narrazione -molto semplificata sul blog- vedremo quale fu e come si svolse il ruolo della "corte",
istituita per Kuntisa dai Cardona, fino ad arrivare agli ultimi baroni Colonna e finalmente all'imporsi dello Stato il 15 ottobre 1781 quando da Napoli arrivò a Palermo (ma proveniva da
Parigi) il viceré Domenico
Caracciolo.
Si trattò di un
illuminista, uno spirito libero fra i più noti dell'epoca. Venne in Sicilia col
preciso mandato di lottare contro i privilegi feudali e traghettare l'Isola
nell' età moderna.
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