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giovedì 1 maggio 2014

Monaci Basiliani. In Sicilia il Cristianesimo fu bizantino n. 5

Con il regno di Ruggero II (+ 1154), il clero bizantino e soprattutto i monaci basiliani  pervennero all'apice della diffusione capillare del territorio dell'isola.
L'energico sovrano, nel suo programma di riassetto della Chiesa siciliana, impresse un energico impulso al monachesimo basiliano, sostenuto dalla gran parte dei suoi ministri che occupavano i vertici delle istituzioni del regno che erano di etnia greca, come i grandi ammiragli Cristodulo e Giorgio d'Antiochia. Consiglieri del Re erano figure del calibro di Filagato Kerameus, compositore di splendide omelie, e di Nilo Doxapatris, autore della celebre Storia dei cinque Patriarchi, giunto in Sicilia da Costantinopoli, dove aveva ricoperto prestigiose cariche ecclesiali e civili.
Per la Corte di Re Ruggero, Costantinopoli sappresentò sempre un riferimento da emulare, dall'organizzazione della Cancelleria di palazzo ad aspetti dell'ideologia regale e del cerimoniale di Corte.
Questa tendenza filo costantinopolitana si ripercorse felicemente sui monaci basiliani dell'isola.
Il consigliere ecclesiastico di Ruggero fu il monaco calabrese Bartolomeo di Simeri: uomo di vasta esperienza religiosa, aveva fndato nei monti della Sila il monastero di Santa Maria del Patirion e si era recato fino a Costantinopoli per rifornire di libri, arredi e sacre icone la sua abazia.
L'accusa di due monaci benedettini di S. Michele di Mileto che, infastiditi dalla sua popolarità, lo avevano diffamato presso i funzionari di corte, condusse Bartolomeo a Messina (città che fungeva da capitale) per discolparsi dinnanzi a Ruggero II in persona, che non soltanto ne riconobbe l'innocenza, ma ne sollecitò il coinvolgimento per costruire proprio lì, a Messina, un grande Monastero basiliano.
Fu così che fu costruito il monastero di San Salvatore "in Lingua Phari", costruito fra il 1122 e il 1132, sull'estremità della stretta penisola che forma il porto naturale messinese.

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